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 2009  settembre 29 Martedì calendario

ARGENTINA, TORNA LA LOTTA DI CLASSE. GUERRIGLIA TRA POLIZIA E OPERAI


La strada d’accesso agli ingressi della Kraft a Buenos Aires è un tappeto di cartucce, bottiglie rotte, resti di molotov. «Dopo l’inferno di venerdì non è passato più nessuno a pulire - si lamenta Jorge, che lavora al bar a cento metri dalla fabbrica - sono spariti tutti, operai e poliziotti, il padrone ha mandato me a lavare l’asfalto. Ho tolto io con la scopa e lo straccio i cumuli di merda di cavallo. E’ toccato a me, che guadagno sette pesos l’ora per portare birre ai tavoli».
Gli impianti della ex Terrabusi, vecchia fabbrica di dolci di Buenos Aires comprata dalla Kraft Food, erano occupati da 38 giorni. Gli operai chiedono l’annullamento di 155 licenziamenti. «Hanno cacciato i più sindacalizzati» racconta uno di loro che non dà il suo nome perché non vuol perdere «questo che al momento è l’unico lavoro possibile». Indica una porta di alluminio su un lato dell’edificio. «La polizia è entrata da lì» dice. Vicino ai cassonetti c’è un cartello calpestato con scritto «la Kraft es de los trabajadores». La Kraft è dei lavoratori. L’edificio è sorvegliato da poliziotti armati. L’ordine di sgombero è stato eseguito con una violenza insolita per gli ultimi anni nella gestione dei conflitti operai in Argentina. Dopo la coda degli scontri di piazza del Natale 2001 e dopo l’elezione di Nestor Kirchner che a scadenza di mandato è stato sostituito dalla moglie Cristina - entrambi neoperonisti con grande capacità di cooptazione nei movimenti sociali più duri - la polizia ha avuto l’ordine dal governo di vigilare le proteste evitando gli scontri frontali. La regola non scritta vigente da sei anni a Buenos Aires è «non reprimere le manifestazioni di piazza». Questa volta la norma è stata violata. Gli operai hanno resistito ed è intervenuta la polizia a cavallo. Molti feriti e sessantacinque fermi. Scontri così duri non si vedevano dal giugno del 2002, assicura unanime una ventina di disoccupati organizzati che insieme a un centinaio di studenti ha appoggiato la protesta della Kraft tagliando il traffico in ore di punta nel centro di Buenos Aires.
Le cariche venerdì pomeriggio sono durate almeno tre ore. L’Argentina l’ha viste nei canali controllati dal Clarìn, principale giornale nazionale che è la testata di punta di un impero mediatico impegnato da mesi in una guerra senza esclusione di colpi con il governo Kirchner. In ballo c’è la nuova legge sull’informazione che riduce notevolmente il potere del gruppo Clarìn e che è accusata dall’opposizione di mettere i media argentini completamente nelle mani del governo.
Venerdì la guerra del Clarìn con Cristina Kirchner è stata utile. I canali privati hanno trasmesso in diretta le immagini degli scontri. Canal 7, il canale governativo, ha tardato ore nel dare la notizia dello sgombero in corso. i suoi cameramen hanno mostrato i manifestanti correre ed avanzare, mai hanno inquadrato la polizia a cavallo mentre caricava. «Botte da orbi» racconta Patricia. Lei è una di quelli del collettivo universitario che ha fatto della lotta della Kraft la bandiera dell’emergenza sociale argentina. «Non era necessario usare maniere tanto dure - dice - la fabbrica si poteva sgomberare in un altro modo. Qualcosa è andato storto». Patricia è peronista, della stessa corrente dei Kirchner ed è in grande difficoltà a tener buoni i suoi che gridano al «fascismo peronista al governo». «Non credo che la presidente abbia niente da guadagnare da questo gran casino - va ripetendo di assemblea in assemblea - qualcuno dentro il peronismo le ha fatto un brutto scherzo». «Le solite risposte idiote peroniste - le grida dietro un tipo alto ammantato di bandiere rosse - sono talmente militanti, talmente disciplinati, che nemmeno quando li fanno caricare dalla polizia a cavallo capiscono che li stanno fregando».
Dopo una notte convulsa di dichiarazioni di fuoco e scambi d’accuse tra leader di secondi piano peronisti, i sessantacinque detenuti della fabbrica sono stati liberati e gli operai sono tornati in assemblea. La Kraft ha ordinato di riprendere la produzione normalmente lunedì.
Domenica è stato ripulito l’ingresso, non c’è più traccia del filo spinato con cui gli occupanti avevano protetto il portone. Un comunicato firmato dalla Kraft food Argentina annuncia che la situazione dentro gli impianti è stata «normalizzata» dopo l’ordine di sgombero firmato dal giudice Ricardo Acosta. Nemmeno una parola sui licenziamenti e il conflitto in corso per reintegrare i licenziati. Delle dieci persone della commissione interna, solo una può mettere piede in fabbrica. Gli altri, per ordine del magistrato, non devono avvicinarsi agli impianti. Maria del Rosario, che fa parte della commissione interna, è uscita dagli scontri di venerdì con gravi contusioni alla testa e alle spalle. «Mi hanno presa a calci in faccia» racconta un’altra operaia. «In queste condizioni è indecente che altri operai tornino a lavorare, è un tradimento, un insulto a noi che ci abbiamo messo la faccia» si infuria, chiedendo di rimanere anonima. «Non si può portare avanti una lotta collettiva in questo Paese - si lamenta poi, lontana dagli altri- ognuno pensa per sé, un paese di individualisti destinati a fare gregge, inutile provare a cambiarci, siamo un Paese di pecore che belano e gli operai sono come gli altri». Parole insolite per un’argentina, l’orgoglio nazionalista viene sempre prima di tutto, ma l’amarezza oggi è tanta. Avevano pensato di vincere. Speravano di potercela fare. L’affronto della Kraft è stato tale che la reazione dei lavoratori sembrava compatta. Il 18 di agosto erano stati recapitati 155 telegrammi di licenziamento senza diritto all’indennizzo. Ne erano stati inviati già altri giorni prima. In tutto 164 licenziamenti in tronco. Iniziata la protesta, occupato l’impianto, gli operai si sentivano di poter resistere a lungo. Gruppi di piqueteros, disoccupati organizzati per la buona parte in ottime relazioni con il governo, questa volta stavano dalla loro parte, garantivano appoggio fuori dalla fabbrica e risonanza mediatica assicurata. Poi l’impresa ha iniziato un lavoro paziente con alcuni dei licenziati. Sessanta operai hanno firmato un accordo per andarsene con indennizzo. La occupazione è stata mantenuta, ma era diventato vitale il sostegno dei gruppi esterni, degli studenti e dei piqueteros. «Da soli - racconta uno dei licenziati - non ce la facevamo più». «La Cgt - potente confederazione sindacale - si è messa di taverso anche questa volta, sta lì per questo» commentano acidi fuori dai cancelli. Sabato ha condannato in un comunicato «la repressione dei lavoratori nel settore dell’alimentazione» e si è detta preoccupata «per la moltiplicazione dei conflitti suscitati nelle ultime settimane». C’è stato un duro scontro tra il capo del sindacato dei lavoratori dell’alimentazione, Rodolfo Daer, e la commissione interna dei lavoratori dell’impresa che rifiuta la rappresentanza sindacale della Cgt per non aver appoggiato i metodi di protesta radicali scelti dagli operai.