Filippo La Porta, Il Messaggero 29/09/2009, 29 settembre 2009
LA CREATIVITA’ NON HA MAESTRI
Si può diventare scrittori frequentando una scuola? Si può imparare l’arte letteraria? Cosa insegnano davvero gli innumerevoli, misteriosi corsi di scrittura creativa diffusi nel nostro paese (con la maggiore concentrazione a Milano e la prestigiosa Holden a Torino)? Anche sulla base della mia esperienza personale di docente credo che si possono aiutare le persone a trovare la propria ”voce”, a riconoscere il genere letterario a loro più congeniale racconto, reportage, saggio,... (spesso infatti gli italiani che scrivono sbagliano genere!), oltre ovviamente ma è il lato forse meno interessante a comporre testi di scrittura ”funzionale” (dal curriculum alla tesi di laurea e al documento aziendale). Però l’equivoco più micidiale dei corsi e laboratori di scrittura creativa è che ci sia un diritto alla creatività, così come esiste un diritto, poniamo, all’istruzione o all’assistenza sanitaria. Neanche la democrazia più illuminata potrà mai garantirlo. No, non diventeremo tutti poeti, secondo la profezia dei surrealisti. E, come recita con brutale realismo un motto all’ingresso dell’antica università di Salamanca: ”Quello che non ti ha dato la natura non te lo potrà dare Salamanca”! vero che negli Stati Uniti la creating writing è dal 1922 materia di insegnamento nelle principali università (con docenti illustri come Roth, Vonnegut, Doctorow, Joyce Carol Oates...), ma il risultato è una produzione serializzata di Scrittori Creativi, che esibiscono tecniche espressive molto simili. La creatività vera dipende da molti fattori, perlopiù imponderabili, non formalizzabili in alcun metodo. Come sottolinea opportunamente il Ricettario di scrittura creativa (Zanichelli) di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi uno dei pochi davvero utili, ricco di esempi ed esercizi non basta un libro di ricette per diventare cuochi provetti. Occorre passione, talento e un pizzico di fortuna.
E proprio Mozzi, che dal 1993 dirige a Padova la ”Piccola scuola di scrittura creativa” pubblica in questi giorni un libro singolare Sono l’ultimo a scendere, Mondadori , che potrebbe essere utilizzato a sua volta come materiale didattico in qualche laboratorio. Si tratta di una selezione delle storie incluse nel suo blog in Rete dal 2003 al 2008. La cosa più notevole è che qui l’autore fa letteratura con la realtà spicciola, banale, limitandosi a metterla in scena con un montaggio minimo. Dialoghetti presi dalla vita quotidiana specie in treno: Eurostar, Interregionali, Eurocity,... che sembrano Beckett (o Campanile). Scambi defatiganti con la burocrazia che evocano Kafka o Frassineti. La asettica narrazione di fatti privati e quotidiani, firmata con il proprio nome e cognome, è già satira e apologo morale, senza bisogno di aggiungere altro. Ne esce un penetrante ritratto di umanità contemporanea, autoctona e migrante, degno del Censis. Eppure alla fine del libro il personaggio che rimane impresso è proprio lui. Stupito, perplesso, lievemente sadico, aggressivamente pedante. Non giudica ma è incuriosito dagli altri, perfino dagli scocciatori e da quelli che lo perseguitano per sottoporgli i loro manoscritti. Depista un tale in cerca di puttane a Padova, apostrofa il funzionario delle ferrovie che per non svegliarlo ”osa” sfilare dal suo libro il biglietto usato come segnalibro (vedi il brano riportato qui sotto), scambia una ragazza per Pulsatilla (ma forse è lei!), esaspera i tassinari, litiga con un edicolante convinto che gli aveva rubato un fumetto, ricompra all’usato un suo romanzo regalato con dedica a una signora ora deceduta. Di fronte al mondo ha un atteggiamento disarmato e interrogante, un po’ da finto tonto (lo è davvero?). Sembra coincidere con la superficie delle cose. Però quando nel libro appare improvvisamente la morte (un suicidio, una malattia) la scrittura si raccoglie entro se stessa, come in una preghiera, o in un rimpianto. E pensando all’amica che se ne è andata conclude che niente si deve lasciare alle spalle.
Proviamo a leggere il suo diario come manuale di sopravvivenza. L’autore fa sempre ”troppe domande” come gli rimprovera la nipotina, quasi per prevenire quelle degli altri. E poi sceglie di essere ”omeopatico” (la burocrazia è ossessiva, quindi io lo sono di più...). Ma probabilmente è solo un modo per non farsi sopraffare dalle cose e per non diventare cinici.