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 2009  settembre 30 Mercoledì calendario

Williams Betty

• Dublino (Irlanda) 22 maggio 1943. Cattolica, nel 1977 ricevette con Mairead Corrigan il Nobel per la pace • «’Non facciamo cose coraggiose, facciamo semplicemente le cose giuste e, per favore, non mi parlate di persone eccezionali: per quanto mi riguarda bevo, fumo e penso che il sesso sia la cosa migliore che può capitarti. E come tutti gli altri mi sono spaventata quando ha saputo del Nobel e ho pensato di rifiutarlo perché temevo, a ragione, che avrebbe cambiato la mia vita e soprattutto quella della mia famiglia”. Betty Williams vive da Nobel dal 1976, quando ricevette il premio perché, dopo un attentato a Belfast in cui morirono tre bambini, andò a bussare casa per casa, per parlare alla gente e dire che con la violenza non si sarebbe arrivati da nessuna parte. Persone capaci di tali iniziative uno se le immagina seriose e più brave a disquisire dei massimi sistemi che a fare battute spiritose. Poi si sente raccontare aneddoti e battute e dare del premio una definizione molto pratica: ”Il Nobel ti apre delle porte per ciò che ti interessa davvero fare, porte che altrimenti resterebbero chiuse - taglia corto Betty Williams - Sinceramente, avrei preferito essere una popstar e fare proclami dal palco, ma mi è toccato imparare giorno dopo giorno a fare il mio lavoro da Nobel, anche grazie agli altri”. E così da usciere in un ufficio si diventa personaggio mondiale, invece che andare a prendere il tè dalla vicina di casa si finisce a scambiare due parole con il Papa e a fare due chiacchiere al telefono con Desmond Tutu. ”Quando si lavora per anni a una causa, come è accaduto per esempio con Tutu contro l’apartheid, si diventa davvero amici, ci si apprezza per come si è, non per le iniziative a cui è legato il nome. Mi piace Shirin Ebadi perché quando la vedi ti sembra indifesa e poi scopri di quanta forza e determinazione è capace, e Rigoberta Menchù perché ha una dolcezza disarmante, che ispira simpatia a prima vista. In comune, i miei amici Nobel, hanno la capacità di accettare le sconfitte e la convinzione che se si fanno le cose in modo onesto niente è impossibile. Prendete Muhammad Yunus, lui è l’esempio migliore di quel che si può fare agendo in modo etico”. E si scopre che tra di loro si danno dei soprannomi: ”Adoro Mikhail Gorbaciov, che mi chiama ”l’anarchica’, e mi piace stuzzicare sua santità il Dalai lama, che ha sempre la battuta pronta. Una volta ero a Dharamsala per un progetto con i bambini tibetani e dopo una giornata di lavoro ci stavamo godendo una tazza di tè. Gli ho detto: ”Santità, dopo tanti anni insieme, non pensa sia venuto il momento di sposarmi?’ Si è lasciato andare a una di quelle sue risate di gusto e mi ha risposto: ”Preferirei una un po’ più giovane’. Quando ci siamo rivisti c’era con me mia figlia, davvero una bella ragazza, e allora gli ho detto: ”Santità, le ho portato una più giovane’, e lui: ”Troppo alta per me’. Questo è il tipo di rapporto tra di noi”. [...] il suo grande progetto di costruzione in Basilicata della prima ”Città della pace”, uno spazio in cui accogliere bambini e nuclei familiari provenienti da aree di conflitto. La città nascerà a Scanzano Jonico, il paese che [...] anni fa divenne famoso perché si oppose alla costruzione di un deposito di scorie nucleari. [...] ”Ero in Italia [...]e quando mi hanno parlato delle proteste della gente contro il deposito di scorie ho detto: ”Andiamo laggiù a dare una mano’. Quando ho visto il coraggio di quelle donne, perché sono le donne le migliori per cambiare le situazioni, ho pensato che sarebbe stato il posto giusto per il nostro progetto [...] A lavorare con me alla Città della Pace ci sono il Dalai lama, Desmond Tutu, Oscar Arias Sánchez, Muhammad Yunus. Ma [...] gli altri non sono lì a mettere il loro nome come un sigillo. Quando ho bisogno di consigli li chiamo al telefono, perché queste sono le persone in grado di darmi le informazioni importanti per fare le cose giuste, eticamente rilevanti. Quando si cominciano progetti come questo, una volta che si è avuta l’idea e si sono superati gli ostacoli burocratici, comincia il vero lavoro e si ha bisogno di poter contare sugli altri per mettere su mattone dopo mattone. Perché insieme ai finanziamenti servirà rimboccarsi le maniche e lavorare, praticamente, Nobel e cittadini, per far andare avanti la città”» (Cristina Nadotti, ”la Repubblica” 10/7/2009).