Angela Pellicciari, Libero 12/09/2009, 12 settembre 2009
SCUSE AL VATICANO PER L’UNITA’ D’ITALIA
L’altro giorno alla festa dei giovani del PdL ad Atreju il premier Silvio Berlusconi, con una battuta, ha mandato all’aria 150 anni di storiografia ufficiale. Sponsorizzando il mio primo libro Risorgimento da riscrivere (Ares), ha testualmente detto: «In preparazione per l’anno 2011 del centocinquantenario della storia d’Italia consiglio a tutti, ragazzi e meno ragazzi, di andare a rivedere la nostra storia degli ultimi 150 anni», perché «è stata raccontata in una maniera diversa dalla realtà e quindi credo che, per una esigenza di verità, sia bene per tutti andarsi a rinfrescare la memoria e correggere ciò che è stato scritto erroneamente».
Un’altra esigenza di verità è stata sottolineata da Berlusconi, quella relativa all’occupazione italiana della Libia: «Ho chiesto perdono alla Libia per ciò che gli italiani avevano fatto verso il popolo libico». Cosa c’entra la Libia con l’unità d’Italia? C’entra.
Quando praticamente tutto il mondo protestante, liberale e massonico cospirava per l’unificazione italiana formato Savoia, per giustificare l’invasione sabauda è stata propagandata una versione dei fatti radicalmente falsa. Versione che fino a oggi nessun presidente del Consiglio si era mai neanche lontanamente sognato di mettere in dubbio.
La vulgata da correggere
Secondo la leggenda Vittorio Emanuele II sarebbe andato a liberare i popoli gementi sotto il malgoverno pontificio e borbonico. In realtà i popoli hanno pianto, e molto, dopo la liberazione. I Savoia e i loro governi dichiaravano di muoversi in nome di una moralità superiore a quella degli altri Stati: in nome di una monarchia liberale e costituzionale. Se non che, mentre l’articolo 1 dello Statuto dichiarava la religione cattolica unica religione di Stato, sono stati soppressi tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Stato. E così, nel corso di circa venti anni, 57.492 persone, tanti erano i membri degli ordini religiosi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, della missione, della vita che liberamente avevano scelto.
I beni degli ordini religiosi sono in gran parte svenduti ai liberali (l’1% della popolazione) che si appropriano per due lire dell’ingente patrimonio artistico e culturale accumulato nel corso del tempo dall’Italia cattolica. Migliaia di palazzi, intere biblioteche, archivi, quadri, sculture, oggetti sacri ecc. inghiottiti in un battibaleno. Oltre a ciò, più di cento sono le diocesi italiane lasciate senza vescovo, mentre i preti che non cantano il Te Deum - per l’ordine morale che trionfa - sono imprigionati e multati (nel 1859 è entrato in vigore un nuovo codice di diritto penale che toglie al clero qualsiasi libertà di parola). Lo storico marxista Emilio Sereni parla di 2.565.253 ettari di terra appartenenti alla Chiesa o al demanio alienati e venduti. Quali le conseguenze? Povertà diffusa, carceri strapiene, ingiustizia dilagante, smisurato aumento della tassazione, crollo del numero di proprietari terrieri.
L’enciclica di Pio IX
Una propaganda martellante, che ancora oggi perdura, cerca di giustificare la cura liberale in nome della presunta arretratezza culturale e morale dell’Italia preunitaria. così che la storia si è trasformata, per dirla con Leone XIII, in una «congiura contro la verità». Elencando i meriti dell’Italia cattolica, nell’enciclica Nostis et nobiscum del 1846, Pio IX ricorda fra l’altro come, proprio grazie al cattolicesimo, l’Italia non abbia partecipato alla conquista del mondo cui le altre nazioni si erano abbandonate.
Papa Mastai scrive che la fede «distolse gli animi degl’Italiani da quella luce passeggera di gloria, che i lor maggiori, soprastando essi nelle armi, avevano riposto nell’incessante tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nell’assoggettare a durissimo servaggio quel maggior numero di uomini che per loro si potesse». Invece di fare guerre di conquista coloniale, gli italiani hanno eccelso in opere di misericordia: «Di qui nelle precipue città dell’Italia, templi meravigliosi, ed altri monumenti dell’evo cristiano, edificati non già per mano di uomini gementi sotto intollerabile schiavitù, ma eretti dallo zelo di spontanea carità; e per tutto pii Istituti, quali per l’esercizio della Religione, quali per l’educazione della gioventù, quali per coltivare a dovere le lettere e le arti, quali per conforto degl’infermi, quali per sollievo dei bisognosi».
La celebrazione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia è causa di polemiche a non finire. Ci si ripromette di tutto. Si è anche pensato di organizzare a Gaeta una poco probabile riconciliazione tra ”borbonici” e ”piemontesi”! Si evita però accuratamente di fare i conti col convitato di pietra: Pio IX. Si elude lo scoglio centrale: la chiesa e, quindi, il popolo italiano.
E se, per celebrare l’unità d’Italia secondo giustizia e verità, chiedessimo perdono agli italiani e alla Chiesa di allora? Se facessimo con noi stessi quello che il nostro premier ha avuto il coraggio di fare con la Libia? Torneremmo a essere una grande nazione, con una storia formidabile che dura da più di 2000 anni.