Lucia Zambelli, la Repubblica (Salute) 29/09/2009, 29 settembre 2009
LA MALATTIA E IL LUTTO, QUANDO SCRIVERE AIUTA
La descrizione più bella ed efficace dell´epilessia temporale? Non si trova in un trattato di neurologia, ma ne L´idiota di Dostoevskij. «Nella fortunata estate in cui mi capitò di leggerlo», ricorda Vito Cagli, medico e scrittore, « mi resi conto che la vivacità di un romanzo funziona molto meglio della fredda descrizione medica. Soprattutto quando racconta la malattia vista da dentro: come nel caso di Dostoevskij, che attribuisce al principe Myskin il male di cui egli stesso soffriva».
La scrittura, come del resto anche la lettura, è una grande terapia. Per elaborare il dolore, la paura, il lutto. Per aiutare e accelerare la guarigione. Con Vito Cagli ne hanno parlato a Viareggio altri medici-scrittori, al Festival della Salute che si è concluso domenica con grande successo e affluenza di pubblico (incontro condotto da Sandro Spinsanti). E nel caso di Sylvie Menard, oncologa dell´Istituto Tumori di Milano e autrice dell´autobiografico Si può curare, alle due identità se ne aggiungeva una terza: quella di paziente. «Da quarant´anni ho sempre parlato di cancro», racconta, «allora si può pensare che una come me sia più preparata ad affrontare lo tsunami che ti travolge. Invece no. Quando l´hanno diagnosticato a me, io sono morta. Con questo libro ho voluto raccontare non tanto la devastazione, quanto la speranza di riprendere a vivere. Prima della malattia, per me la morte era quella degli altri: io ero sana e immortale. Prendere consapevolezza della morte ti permette di prendere in mano la propria vita. E innamorarsene».
Scrivere, quindi, per esorcizzare la paura, anestetizzare il dolore, riprendere a vivere. Ma anche per elaborare la propria impotenza di fronte alla sofferenza altrui. Come fa Marco Venturino, anestesista rianimatore e scrittore (suoi Cosa sognano i pesci rossi, metafora dei pazienti in terapia intensiva, e Si è fatto tutto il possibile). «Il dolore del curante», spiega, «è un dolore esistenziale, sordo e profondo, che nasce dalla consapevolezza della propria inadeguatezza, dell´impossibilità di guarire il dolore altrui. Il dolore degli altri ti entra dentro: come puoi trascorrere una serata in allegria con famiglia e amici dopo aver visto morire un bambino senza poter fare niente? Ecco, scrivere aiuta a rielaborare tutto questo. La nostra società lo rimuove continuamente, ma il dolore c´è, e non accenna a scomparire dalle nostre esistenze. Lo si può elaborare, per dargli un senso e una giustificazione».
Ancora più arduo elaborare il lutto. C´è chi prova a farlo scrivendo lettere e e-mail. L´esperienza, unica in Europa, la racconta Nicola Ferrari, psicopedagogista e scrittore, responsabile dei servizi di sostegno alle persone in lutto dell´associazione Maria Bianchi di Suzzara, Mantova. « un´esperienza che nasce dal basso, dalla riflessione e dall´esigenza di persone che avevano perso qualcuno. Non ci sono medici che possano curare il dolore del lutto. Noi cerchiamo di farlo tramite lo scambio epistolare, per lettera o per e-mail. Andiamo nel cuore del processo di elaborazione del lutto, per far sì che la persona si rapporti col vuoto e l´assenza. La morte ci porta via tanto delle persone che amiamo, ma non tutto. E possiamo recuperare il lascito di chi non c´è più».