Vari 29/09/2009, 29 settembre 2009
POLANSKI ARRESTATO
EVITATECI IL LODO POLANSKI
Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 29/9/2009
No, il Lodo Polanski no. Per favore. D’accordo, come regista è un genio. Ma è un adulto responsabile delle sue azioni; non può evitare una condanna per aver commesso un reato contro la persona perché a suo tempo ha diretto «Chinatown». O «Il pianista», o «Rosemary’s Baby», o «Luna di fiele» (va bene, quando il film uscì c’era chi lo voleva in galera per Luna di fiele, ma è un’altra storia). La mobilitazione dei suoi amici, del mondo del cinema, del ministro degli Esteri francese, dell’Ump, il partito altrimenti moderato di Nicolas Sarkozy, pare degna di miglior causa. Giusto in Francia, i moderati lettori (spesso elettori di Sarko) del Figaro ieri votavano online; e a stragrande maggioranza erano favorevoli a far giudicare il loro concittadino negli Stati Uniti. Intanto, sempre online, i lettori liberal del New York Times scrivevano cose durissime. Meravigliandosi per il «lassismo delle élites europee», che in America è un tormentone conservatore, in genere.
Ma tant’è: e in tanti non capiscono perché ci dovrebbe essere una certezza del diritto per i normali e poi una certezza del diritto-Vip, meno certa. Specie se il Vip – 32 anni fa ma non è in prescrizione, con qualche probabile irregolarità processuale ma lui nel frattempo era scappato – ha drogato, fatto ubriacare e sodomizzato una tredicenne. Prenderne atto non è da forcaioli, forse. Lo ha spiegato il ministro della Giustizia svizzero, Eveline Widmer-Schlumpfsuch: «Non avevamo altra scelta. La biografia di una persona non deve definire un trattamento di favore davanti alla legge». Certo, Polanski aveva da anni una casa in Svizzera e nessuno lo aveva disturbato. Certo, il suo arresto è un’eccellente diversione mediatica per il pubblico americano in un momento di crisi economica affrontata con fatica e di riforma sanitaria che non decolla; e c’è chi si chiede «ma il governo federale non aveva niente di meglio da fare che incastrare un settantaseienne?». possibile. Ma Polanski non è stato rintracciato per aver scordato di pagare un po’ di multe, tenuto droghe per uso personale o costruito un gazebo abusivo nella sua villa di Los Angeles. Aveva stordito una quasi bambina e le aveva fatto di tutto.
, e resta, un reato grave. E non, come si leggeva ieri su Libération, «une affaire de moeurs vieille de 30 ans». I moeurs, i costumi, sono liberi nell’occidente civile da decenni e si spera lo restino. Tra adulti consenzienti, magari. Il portavoce dell’Ump obietta – e il principio non è insensato – che «l’assenza di prescrizione nel diritto americano rende gli Stati Uniti una democrazia particolare». Però è una democrazia dove Polanski aveva scelto di vivere. E i tempi di prescrizione dovrebbero dipendere dal delitto commesso. E forse lo stupro di una tredicenne non dovrebbe andare mai in prescrizione. un danno gravissimo al diritto di essere tredicenni, soprattutto. Insomma, non «tout le monde est derrière Polanski», non tutti sono con lui. Ma non spieghiamolo ai registi, agli attori e ai ministri francesi; spieghiamolo alle ragazzine (per favore).
ABUSO’ DI UNA RAGAZZA. DOPO TRENT’ANNI ARRESTATO POLANSKI
Giusi Fasano, Corriere della Sera 28/09/2009
Al Zurigo Film Festival il gelo arriva con una telefonata. «Roman Polanski è stato arrestato». Il premio Oscar del film simbolo sull’Olocausto «Il Pianista» è «in stato di fermo da qualche parte in Svizzera».
Nove di ieri mattina: gli organizzatori del Festival, che gli hanno dedicato una retrospettiva e lo aspettano per consegnarli il Golden Eye alla carriera, sembrano smarriti. Cercano conferme al ministero della Giustizia elvetico. A mezzogiorno il ministro fa sapere che «è vero, il regista è in detenzione provvisoria in Svizzera in attesa di estradizione». Più tardi verrà fuori che l’ufficio del Procuratore di Los Angeles aveva pianificato l’arresto di Polanski la scorsa settimana, saputo che si sarebbe recato in Svizzera. Reato: lo stupro della modella tredicenne Samantha Geimer nel ”77, nella villa di Jack Nicholson, a Hollywood. Un episodio che da solo basterebbe a segnare la vita di chiunque. Non quella di Polanski, protagonista del «film» drammatico della sua esistenza. Nato a Parigi nel ”33 da una famiglia ebrea di origine polacca, il cineasta tornò in Polonia nel 1937 e, con il nazismo, finì con la famiglia nel ghetto di Varsavia. Lui riuscì a fuggire, sua madre invece fu portata ad Auschwitz, dove morì. Finita la guerra gli Usa diventarono la sua casa. Il giovane Roman sposò l’attrice Sharon Tate. Ma di nuovo il destino scrisse per lui una pagina nera. Sharon, incinta di otto mesi, fu uccisa dai satanisti di Charles Manson, a Los Angeles, nel ”69.
Poi la faccenda dello stupro. Per quell’episodio (che la vittima gli perdonò pubblicamente chiedendo l’archiviazione del caso) Polanski fu imprigionato per 42 giorni e davanti al giudice confessò il rapporto sessuale (non l’uso di stupefacenti raccontato da lei) ma disse che la ragazzina aveva avuto altre relazioni ed era consenziente. Grazie a quelle parziali ammissioni e dopo aver definito una terapia anti-violenza che si impegnò a seguire, il cineasta patteggiò la condanna con il pubblico ministero di Santa Monica, Los Angeles. Il procuratore gli risparmiò il carcere, gli concesse di uscire su cauzione e lasciò perdere le altre accuse: uso di stupefacenti, perversione e sodomia. Ma al tribunale l’accordo non piaceva e una mattina, dopo una riunione con i suoi legali Polanski capì che, dal tribunale, appunto, non sarebbe arrivata nessuna clemenza. Rischiava 50 anni di prigione. Scelse la fuga in Europa e non tornò mai più negli Stati Uniti dove, nel ”78, fu emesso un mandato d’arresto internazionale.
Regista, attore, sceneggiatore noto in tutto il mondo, Roman Polanski ha vissuto gli ultimi
31 anni in Francia perché lì per i suoi reati non ci sono accordi internazionali che consentirebbero l’estradizione negli Usa. Fino a due giorni fa era sempre stato attento a evitare i Paesi nei quali invece l’estradizione è possibile. Stavolta ha preso l’aereo per la Svizzera che ora sembra pronta ad estradarlo, mentre il ministro della Cultura francese, Frederic Mitterrand, si è detto «stupito » per le modalità dell’arresto e ha fatto sapere di aver discusso della questione con il presidente Nicolas Sarkozy.
In serata, i ministri degli Esteri francese e polacco hanno annunciato che chiederanno al segretario di stato Usa Hillary Clinton di rimetterlo in libertà e a Barack Obama di concedergli la grazia. Dicono che lui non ci spera molto. «Sono visto molto spesso come un malefico nano – ha scritto nella sua autobiografia ”. I miei amici e le donne della mia vita ne sanno di più».
DALL’INCUBO DI SHARON TATE ALLE LOLITE TUTTI GLI ECCESSI DI UN ARTISTA ESAGERATO
Giuseppe Videtti, la Repubblica, 28/9/2009
In certe vite, tra fiction e realtà non c´è confine. Roman Polanski (al secolo Rajmund Roman Liebling) non sarebbe stato maestro dell´incubo al cinema se non fosse stato protagonista di un´esistenza dannata. Repulsion, L´inquilino del terzo piano, Frantic, La morte e la fanciulla, persino il più autobiografico Il pianista, sono film che riescono a rendere verosimili i sogni più inquietanti. Il crimine di cui fu accusato nel 1978, quando aveva 45 anni, non colse Hollywood di sorpresa. Nell´ambiente si sapeva che il regista aveva quello che qualcuno scherzando chiamava «il morbo di Nabokov», una predilezione per le lolite. Samantha Gailey (ora conosciuta come Samantha Geimer) aveva 13 anni. Polanski chiese a sua madre il permesso di fotografarla per Vogue Francia. A volte l´ambizione rende le mamme più imprudenti delle figlie e a Polanski fu concessa una fotosession privata con la piccola. Che in tribunale raccontò: «Stava andando tutto bene, poi mi chiese di cambiarmi d´abito di fronte a lui. Non mi sentivo a mio agio, non volevo neanche andare alla seconda seduta». Invece ci andò. L´appuntamento era nella villa di Jack Nicholson, nella zona di Mulholland, a Los Angeles. «Mi scattò foto mentre bevevo champagne», raccontò Samantha ai giudici, aggiungendo che il regista le fece anche ingerire dei tranquillanti prima di sodomizzarla. «Dissi di no diverse volte, poi mi arresi», concluse. La vicenda è stato lo spunto per un documentario (Roman Polanski: Wanted and desired), presentato l´anno scorso al Sundance Festival. La regista Marina Zenovich punta il dito contro i giudici che emisero un verdetto in base all´aura del personaggio, capro espiatorio degli eccessi di Hollywood.
Per l´opinione pubblica, Polanski era diventato una "dark star" già dopo il film Rosemary´s baby, nel 1968. La storia della giovane e ingenua newyorkese (Mia Farrow) che partorisce l´anticristo, complice il marito satanista (John Cassavetes), fu visto come il presagio della tragedia che dopo pochi mesi si sarebbe abbattuta sul regista. Mentre lui si trovava nella residenza londinese, membri della setta satanica dell´infame Charles Manson trucidarono la moglie Sharon Tate, 26 anni, incinta di otto mesi e quattro ospiti della loro villa a Hollywood. In attesa della sentenza definitiva per i fatti del 78 (il regista patteggiò per l´accusa di stupro) Polanski preferì riparare a Londra, poi, per evitare l´estradizione, a Parigi, dove chiese la cittadinanza. Da allora Hollywood è diventata zona off limits per il regista, che nel 1989 ha sposato l´attrice Emmanuelle Seigner. Quando nel 2003 ottenne l´Oscar per Il pianista, fu Harrison Ford (il protagonista di Frantic) a ritirare la statuetta.
I fantasmi ritornano. Nato a Parigi nel 1933 da padre ebreo polacco e da madre russa, dal ”36 il piccolo Rajmund tornò a vivere a Cracovia con i genitori. All´inizio della Seconda Guerra, schedati dai nazisti, furono chiusi nel ghetto. Solo lui schivò la deportazione, grazie all´aiuto di una famiglia cattolica. I fantasmi l´hanno di nuovo assalito pochi giorni fa, quando Susan Atkins, uno dei membri della "famiglia" di Manson che aveva partecipato all´uccisione di Sharon Tate, è morta a 61 anni in una prigione di Chowchilla, in California. E ancora l´altro ieri, quando è finito in manette a Zurigo. Nella sua autobiografia, "Roman by Polanski", pubblicata nel 1985, il regista giura che tutto fu architettato dalla madre dell´aspirante modella Samantha Geimer, che peraltro già nel 1995 si disse favorevole affinché il reato venisse archiviato. Cosa che gli avvocati di Polanski hanno richiesto solo nel dicembre del 2008. «L´unica cosa che voglio è lasciarmi alle spalle quella storia - ha dichiarato il regista tempo fa - Se ho sbagliato, credo di aver pagato. Non ho mai negato che tornare negli Usa e affrontare un processo sarebbe una soluzione. Il fatto è che i media americani ormai si sovrappongono alla giustizia. L´esito di un processo dipende da quello che mostra la televisione. Sarebbe un inferno, non per colpa del sistema giudiziario ma per i media. Non sopporterei l´idea di una folla di gente accampata davanti alla porta di casa e una fila di antenne davanti alla mie finestre».
MA IL MAESTRO DELLE VERITA’ ROVESCIATE
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 28/09/2009
Sembra un film di Polanski: una persona si presenta per ricevere un premio e ad accoglierlo ci sono le guardie per arrestarlo. Proprio quello scherzo del destino o, meglio, quello «spostamento» della realtà che il regista polacco ha messo al centro della sua filosofia cinematografica e che gli si è rivoltato contro. Come a dimostrare che non si tratta solo di una trovata d’artista ma di qualche cosa di ben più concreto. Di ben più «reale».
E forse non poteva essere diversamente, perché tutta la carriera di questo geniale regista è stata costruita proprio sull’intuizione che il mondo che ci circonda non può mai essere letto in un modo solo, e può riservare più di una sorpresa. Era la chiave per capire il significato (e il valore) dei suoi primi film ed è diventata l’elemento di riconoscibilità di tutta la sua produzione. Certo, all’inizio degli anni Sessanta, nella Polonia comunista, questo tipo di cinema non era per niente apprezzato: un mondo dove niente è mai certo e sicuro, dove il reale può nascondere mille altre facce, dove alla fine ci si trovava spesso al punto di partenza (Polanski ha sempre amato la circolarità delle storie, dove la fine riapre i giochi) e la storia non offre nessuno sbocco «positivo»... un cinema così non rispondeva certo ai canoni dell’impegno socialista. E infatti Polanski a trent’anni lascia la sua terra per Parigi (dove la sua famiglia era già temporaneamente emigrata negli anni Trenta), ma la nuova destinazione non modifica né le idee né lo stile. Anzi, finisce per radicare e accentuare le sue convinzioni. Se guardiamo ai suoi film dimenticando per un momento i personaggi e le storie, ci accorgiamo che è proprio a partire dall’ambientazione, da quella geografia concreta ma insieme anche astratta, che inizia lo sfasamento del reale che rende plausibili le trame più insolite: la desolata scogliera dove si «perdono» i personaggi di «Cul-de-sac»; la Transilvania dove l’orrore si nasconde dietro la risata di «Per favore... non mordermi sul collo»; il solidissimo eppur inquietante Dakota Building di «Rosemary baby», dove il rifugio domestico inizia a diventare qualcosa di terribile e di opprimente e, come succede nei film successivi, la casa si trasforma in «prigione»: in «L’inquilino del terzo piano», in «Frantic», persino ne «Il pianista», dove il protagonista scoprirà di trovarsi più protetto nella casa diroccata della fine del film piuttosto che in quella accogliente e familiare dell’inizio...
Con Polanski le certezze non sono mai possibili e il suo cinema dell’ «orrore» non è mai fatto di sangue e squartamenti in bella mostra ma piuttosto di sicurezze cancellate e verità ribaltate: qual è la vera faccia del potente e riverito patriarca Noah Cross in «Chinatown»? Dove finisce la verità e comincia la menzogna nei racconti del marito di Luna di fiele? Chi è veramente il dottore che rivendica la sua estraneità alle torture di cui è accusato in La morte e la fanciulla? I suoi film non danno mai certezze. Dalle loro proiezioni si esce con più dubbi di quelli che si avevano all’ingresso. Ma lungi dall’essere un difetto questo è il vero pregio dei film di Polanski, perché della realtà non ci si può mai fidare. Tanto meno di quella sonnolenta e ordinata della Confederazione svizzera.
POLANSKI ARRESTATO IN SVIZZERA PER LO STUPRO DI TRENT’ANNI FA
Franco Zantonelli, la Repubblica, 28/9/2009
Roman Polanski è finito in prigione in Svizzera, a Zurigo, inseguito da un mandato di cattura internazionale per abuso su una minorenne, una vicenda che risale al 1978. Allora Polanski venne accusato, in California, di violenza carnale ai danni di una 13enne, Samantha Geimer, patteggiò la pena per stupro ma non fu mai estinta l´accusa di abuso, tanto che il regista espatriò in Francia. Al suo arrivo all´aeroporto zurighese, sabato, Polanski ha trovato gli agenti della polizia cantonale pronti ad arrestarlo. Era venuto in Svizzera a ritirare il premio alla carriera del festival cinematografico cittadino, adesso si trova in una delle celle di transito dell´aeroporto, in attesa di estradizione, per la quale gli Usa dovranno presentare domanda entro 40 giorni. E dire che, in Svizzera, come in altri Paesi europei, Polanski, ormai cittadino francese, si sentiva al riparo tanto che, da tempo, possiede uno chalet a Gstaad, insieme ad Ernesto Bertarelli, Vittorio Emanuele di Savoia e Johhny Hallyday.
«L´abbiamo arrestato poiché questa volta sapevamo con certezza che sarebbe arrivato in Svizzera», ha detto Eveline Widmer Schlumpf, responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia. In effetti l´arrivo di Polanski a Zurigo era stato pubblicizzato sui giornali. Secondo il quotidiano "Los Angeles Times", in realtà, l´intervento della polizia di Zurigo è stato sollecitato dalla polizia della contea di Los Angeles, a conoscenza del fatto che Polanski stava per sbarcare in Svizzera. Resta da capire chi abbia impresso il giro di vite contro il regista che da anni girava il mondo indisturbato, tranne gli Usa dove non era neppure andato a ritirare l´Oscar per Il pianista nel 2003.
Ora l´arresto rischia di produrre un incidente internazionale. Contro il provvedimento sono insorte per prime le autorità della Francia. Il presidente Nicolas Sarkozy ha fatto sapere di seguire la vicenda «con attenzione», mentre il ministro della cultura, Frederic Mitterrand, ha parlato di un fatto «assolutamente spaventoso» per «una storia vecchia che non ha davvero senso». Mitterrand aggiunge di essere «dispiaciuto che ad un uomo che ha subito già tante prove difficili, nella sua vita, ne sia toccata un´altra» da parte di «una certa America che fa paura e che stavolta ha mostrato il suo volto». Nella vicenda interviene anche il governo della Polonia, paese d´origine del regista. Il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha annunciato che insieme al collega francese Bernard Kouchner si rivolgerà al Segretario di Stato americano Hillary Clinton, «perché gli americani chiedano alla Svizzera la liberazione di Polanski e prevedano la possibilità di una grazie da parte del presidente Barack Obama». Richiesta sostenuta dal regista Andrzej Wajda e dall´associazione dei registi di Varsavia. Appoggio anche dai colleghi svizzeri di Polanski che giudicano l´arresto «uno scandalo giuridico che nuocerà alla reputazione del nostro paese». Persino la neodirettrice dell´Unesco, la bulgara Irina Bokova, ha parlato di «fatto scioccante» e ha annunciato un suo intervento sulle autorità svizzere «se si tratta di un´ingiustizia».
Dal canto suo la ministra svizzera di Giustizia e Polizia, Eveline Widmer Schlumpf, conferma e difende il provvedimento. «La Svizzera non ha subito alcuna pressione da parte statunitense, la politica non ha nulla a che vedere con questa vicenda» ha detto il ministro d´Oltralpe. E ha spiegato che «le autorità americane hanno diffuso un mandato d´arresto internazionale a partire dal 2005 in relazione a un provvedimento del 1978».
POLANSKI ARRESTATO. «ERA UNA TRAPPOLA»
Domenico Quirico, La Stampa, 28/9/09
Chissà se gli zelanti poliziotti elvetici a cui sabato sera all’aeroporto di Zurigo è stato affidato l’arresto di Raymond Liebling, viaggiatore proveniente da Parigi con doppia nazionalità polacca e francese, sapevano di essere sul punto di scatenare un pandemonio giudiziario-cinematografico internazionale. Sull’ordine di arresto era infissa una motivazione davvero pesante: «ricercato per atti di natura sessuale con minori, segnatamente per un caso che risale al 1977, con una bambina di 13 anni, a Los Angeles». Trent’anni di latitanza: un bel record per un reato così sudicio, avranno pensato gli agenti. E hanno con doppio impegno proceduto all’arresto non appena il ricercato ha calcato l’implacabile suolo elvetico. Così da ieri Roman Polanski, regista maledetto e stimatissimo, è detenuto nel carcere dell’aeroporto.
All’uscita, dapprima inquieti, poi esterrefatti e infine indignati, l’hanno atteso invano i responsabili della delegazione d’onore del festival di Zurigo: l’aveva giustappunto invitato per ricevere una targa di onore alla carriera.
Con precisione elvetica il ministero della Giustizia ha emesso un soddisfatto comunicato in cui ha confermato l’arresto dell’illustre ricercato. «Si trova in detenzione provvisoria in attesa di estradizione sulla base di un mandato di arresto americano. Le autorità statunitensi lo ricercano attivamente ovunque nel mondo a partire dal 2005». Il ministero ha puntualizzato che il detenuto può fare appello per l’eventuale estradizione al tribunale penale e poi al Tribunale Federale che è la più alta istanza giudiziaria della Confederazione. Ultimo ma confortante dettaglio per gli avvocati di Polanski già indaffaratissimi a trovare cavilli: l’estradizione non potrà essere concessa che al termine dell’iter giudiziario svizzero». Ovvero per molto tempo non sarà consegnato agli americani.
Dal gennaio del 1978, ovvero da quando fuggì per non ritornare in carcere braccato come era dalla denuncia dei genitori della bambina, Polanski ha sempre accortamente evitato di incrociare il paziente braccio dell’estradizione. Ha trovato rifugio, cittadinanza e la terza moglie nella ospitalissima Francia, non ha mai messo piede nel Regno Unito. Forse con il passare degli anni ha dimenticato il trattato che lega Svizzera e Stati Uniti.
Non tutti nella Confederazione hanno apprezzato lo zelo giudiziario. Gli organizzatori del festival, per esempio, hanno dato prova di ostinatezza: pur rinunciando a tempo indeterminato alla consegna del premio al detenuto, hanno ricordato in un comunicato che si tratta di «uno dei più straordinari cinematografari del nostro tempo». E hanno dispettosamente mantenuto la serata di omaggio.
Chi ha alzato ancor la voce è stata invece la Polonia. Polanski ha passato la sua infanzia nel ghetto di Varsavia e la madre è morta in un campo di concentramento tedesco. I più celebri cineasti del Paese tra cui Andrzej Waida, hanno inviato una lettera al governo chiedendo di intervenire: «La situazione è scandalosa, è un eccesso di zelo incomprensibile». Il portavoce del ministero degli Esteri Paszkowski, è stato prudente: «Stiamo raccogliendo informazioni sul caso».
Chi non ha dubbi invece è la Francia, Paese che ha naturalizzato Polanski nel 1976. E’ scattato immediatamente il riflesso pavloviano: Parigi si schiera a difesa indignata di qualsiasi cittadino francese, in particolare se artista o intellettuale, senza badare alla natura delle infrazioni penali che costui ha commesso.
In questo caso c’è un motivo in più per impegnarsi a favore del regista: per trent’anni la magistratura e la polizia della République hanno alacremente ignorato i mandati di cattura e le richieste di estradizione americane. Il ministro della Cultura Frédéric Mitterrand, si è detto «stupefatto»: «Mi spiace vivamente che una nuova prova sia così inflitta a chi ne ha già superate tante durante la sua vita ribollente di slancio e di creatività». Il ministro ne ha discusso con il presidente «che segue il dossier con la più grande attenzione e condivide la speranza in una soluzione rapida della situazione che permetta a Polanski di ritrovare i suoi cari al più presto».
Una nuova bufera sui responsabili giudiziari della Confederazione elvetica dopo il caso Gheddafi.
POLANSKI ARRESTATO COME IN UN FILM GROTTESCO
Giuseppe De Bellis, il Giornale 28/09/2009
Qualcuno giri un film sulla storia di Roman Polanski. Dramma, tragedia, comicità, equivoci. C’è tutto, c’è di più. Perché c’è un uomo che non è più latitante. Sul foglio che ha firmato ieri in cella a Zurigo c’è scritto questo: «Arrestato in attesa di estradizione». Non si riapre nessuna storia, ma si chiude un capitolo che trentuno anni non erano riusciti a seppellire. Cioè: per noi era tutto finito, forse per molti non era neanche cominciato. Quanti sapevano ancora dei guai del regista polacco-francese? Noi che l’abbiamo visto lavorare, parlare, ridere, scherzare, avevamo rimosso il suo buco nero. C’era solo l’altra storia, quella dell’omicidio della moglie Sharon Tate. Polanski era un uomo ferito a morte dal dolore, una persona sofferente, un genio sensibile vittima di una tragedia immensa faticosamente superata coi film, col lavoro, con un’altra moglie, con la vita. Lo stupro no. Lo stupro è passato, triturato dal vortice del resto, caduto nell’oblio, avvolto dalla disperazione provocata dall’omicidio di Sharon.
Non ce la ricordavamo più quella strana notte del 1977, quando Roman sedusse una ragazzina di 13 anni a casa di Jack Nicholson promettendole una carriera da star. Ci eravamo dimenticati del processo. Ci era passata di mente la latitanza. Perché Polanski non andò a prendere l’Oscar per il Pianista nel 2003? Lo scrissero tutti, ma nessuno se ne ricordava più. Era un ricercato, Roman. Un genio da cella, scappato perché quella notte nella villa di Nicholson si trasformò in un processo per stupro, pedofilia, sodomia, perversione e uso di droga. Ad accusarlo trent’anni fa c’erano la ragazzina Samantha Geimer e sua madre. Polanski accettò il patteggiamento, ammettendo di aver abusato di Samy, ma ottenendo il ritiro delle altre accuse: 42 giorni di carcere, la sentenza. Mai eseguita, perché il regista partì per l’Europa e non tornò mai più in America. La scusa di un film da finire e invece la voglia di darsela a gambe per paura che la pena potesse aumentare. Decollò, Roman. Basta Hollywood e basta Stati Uniti.
Ha cominciato un’altra esistenza e con lei però anche una vicenda che adesso suona come una commedia dell’assurdo, dove ognuno non fa quello che dovrebbe fare, dove non si sa più chi sia la vittima e chi l’aguzzino, dove il giudice vuole uno show e un regista invece vuole il silenzio. Polanski firmò per il patteggiamento, giusto? Lo fa chi accetta un destino, invece lui è scappato, contravvenendo a un patto non scritto che fanno gli imputati e la corte quando si mettono d’accordo. La sua fuga ha creato decine di complici consapevolmente colpevoli. C’era un mandato internazionale di cattura che nessuno ha rispettato, che nessuno ha applicato, che nessuno ha voluto vedere: per trent’anni Polanski ha girato l’Europa senza essere toccato né infastidito, ha lavorato a decine di film, ha ritirato premi, ha rilasciato interviste, s’è risposato. Viene preso ora, nel Paese più insospettabile nel momento più insospettabile. Perché il paradosso è che l’hanno ammanettato mentre andava a ritirare un premio alla carriera che la Svizzera gli dava. La Svizzera, cioè il posto dove hanno trovato rifugio altri accusati di reati molteplici, compreso qualche gerarca nazista, e che adesso, invece, arresta Polanski seguendo alla lettera un accordo bilaterale che ha con gli Stati Uniti. La lealtà tra Paesi non copre l’altro equivoco paradossale. Roman viene arrestato nel momento in cui Samy, la vittima, l’ha perdonato: «Ho una vita felice e altrettanto auguro a Polanski. Anche se ero giovanissima, mi resi conto che non sarebbe stato un processo equo. Fin dall’inizio il giudice aveva affermato di volerlo sbattere in galera per 100 anni. Quel giudice voleva un processo mediatico».
Allora non si capisce: Roman quella notte del 1977 esagerò con Samantha e lo ammise, però Samy non vuole vederlo punito per questo, perché in realtà la punizione sarebbe esagerata rispetto al crimine. Cioè la vittima che pensa che la vera vittima sia l’aguzzino. Un miscuglio, un intruglio, un caos. Tutti contro tutti e però contro nessuno. Compreso il giudice che qualche mese fa ricevette la richiesta di archiviazione da parte di Polanski. Rifiutata, nonostante anche gli avvocati di Samantha Geimer fossero d’accordo. E tutti a pensare che fosse ovvio: il giudice era lo stesso che voleva condannare il regista a 100 anni. E invece no, era un altro. Però nella Corte di Santa Monica c’era ancora Peter Espinoza, l’ultimo giudice in vita a essersi occupato del caso. Paradossale anche lui: «Il pubblico ministero, all’epoca del processo, ha commesso errori sostanziali». Allora la domanda: archiviamo? «No». In nome della legge. E in nome dell’ultimo equivoco.
QUANDO IL PEDOFILO CI PIACE
Ubaldo Casotto, il Riformista 29/09/2009
Scrive Paolo Mereghetti sul Corriere della sera, commentando l’arresto di Roman Polanski, che il regista sembra caduto dentro un suo film, quei «film che non danno mai certezze... ma lungi dall’essere un difetto questo è il loro vero pregio, perché della realtà non ci si può mai fidare».
Reputo questa frase - «della realtà non ci si può mai fidare» - peggio di una bestemmia e non capisco perché dovrei fidarmi di Mereghetti che la enuncia con apodittica certezza. Ma nello stesso tempo, con queste parole, Mereghetti dà ragione della schizofrenia intellettuale e morale che affligge il dibattito pubblico nel nostro Paese, soprattutto per come è rappresentato dai giornali, e di cui il caso Polanski è un esempio lampante.
Se la realtà non dà certezze, la morale pubblica diventa una coperta stiracchiabile in base alle convenienze o ai soggetti cui si dedice di applicarla.
Ieri a leggere i giornali non sembrava di essere in Italia, né di avere tra le mani gli stessi quotidiani del giorno prima. In alcuni casi il semplice voltare pagina dava l’illusione che si trattasse di due testate diverse. «Ha frequentato o frequenta altre minorenni?» chiede Giuseppe D’Avanzo a pagina undici con un tono inquisitorio che dà per scontato ciò che scontato non è (che Silvio Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali con l’allora diciassettenne Noemi Letizia) e che viene negato da entrambi gli ipotetici protagonisti del fatto. Alle pagine sedici e diciassette il fatto acclarato e confesso di una violenza sessuale di un adulto allora quarantacinquenne con una bambina di tredici anni, sul quale esiste un verdetto di un tribunale americano e un patteggiamento del reo, non sembra bastare come giustificazione per un arresto al quale Polanski si era sottratto fuggendo dagli Stati Uniti trent’anni fa.
L’esecuzione del mandato di un tribunale (ma non erano insindacabili?) viene anzi guardata con sospetto: «Resta da capire chi abbia impresso il giro di vite contro il regista che da anni girava indisturbato per il mondo». Certo, è molto più grave che un evasore fiscale giri indisturbato per l’Italia, dedurrà il lettore che da quelle stesse colonne viene quotidianamente invitato all’indignazione morale.
Lo strupro di una tredicenne («Dissi di no diverse volte, poi mi arresi» ha raccontato al giudice Samantha Gailey aggiungendo che Polanski le fece bere champagne e tranquillanti prima di sodomizzarla) può essere catalogato, come fa il titolo di Repubblica tra gli «eccessi» di un «artista esagerato»? Per di più dopo avergli concesso l’attenuante che «nell’ambiente si sapeva che il regista aveva quello che qualcuno scherzando chiamava "il morbo di Nabokov", una predilezione per le lolite?».
utile ricordare che usciamo da campagne di stampa e inasprimenti legislativi bipartisan che giustamente considerano lo strupro un crimine indicibile, un reato contro la persona, e che l’età della vittima (a tredici anni si frequenta ancora la scuola media) e la sproporzione in anni con lo stupratore non permette di usare il termine "consenziente"?
Vi sembra deontologicamente corretto definire una bambina di tredici anni «un’aspirante fotomodella», in modo da insinuare la sua disponibilità? E che dire del fatto che sarebbe stata offerta al regista dalla madre? Questo non aumenterebbe la responsabilità di Polanski per il disprezzo che avrebbe manifestato nei confronti di quella persona che gli veniva consegnata come una cosa con cui trastullarsi? Se lo fanno le madri islamiche, consegnando le loro figlie minorenni in mano a trenta/quarantenni è uno scandalo, se "l’utilizzatore finale" è un raffinato regista dell’élite culturale europea si tratta di una trappola orchestrata da una mamma arrivista?
E vi sembra un ragionamento sostenuto dalla logica quello di Alberto Crespi sull’Unità, per il quale «nonostante siano passati trentadue anni Polanski è ancora un "latitante" per gli Usa»? Cosa significa quel nonostante, è cambiato qualcosa in questi trentadue anni? Forse le persone, forse in meglio forse in peggio, ma il semplice passare del tempo non muta la sostanza di quel reato e la posizione giuridica di chi, avendolo commesso, ne è stato ritenuto colpevole.
E perché sempre Crespi scrive di «presunto reato» quando tutti sanno che Polanski patteggiò una pena ammettendo un delitto che non può più essere definito "presunto"? Sarà anche questa una conseguenza (il)logica dell’assioma mereghettiano per cui «la realtà non dà mai certezze?».
Poi c’è la cocaina. «Che ci fosse anche la cocaina, - ancora Crespi - è altamente verosimile: nella Hollywood degli anni 70 era diffusissima». Se per questo anche nella Sardegna dei primi anni del Duemila, solo che quella sarda fino a ieri veniva considerata un’aggravante di rapporti mercenari tra adulti consenzienti, quella californiana è un’attenuante dello stupro di una bambina di tredici anni. (A me, sia chiaro non piacciono né i primi né il secondo, ma la disinvoltura di chi si fa giudice a moralità alterna è insopportabile.)
Inevitabile, a questo punto, per Crespi il ricorso alla "sfera morale". «Che il regista in questione fosse una preda abbastanza facile ("morbo di Nabokov", vedi sopra, ndr) è un discorso che riguarda più la sfera morale che quella giuridica»; con il che si sono definitivamente sottratti lo strupro e l’abuso sessuale pedofilo alla loro dimensione penale, per la felicità di molti.
C’è, infine, da notare la "repubblicana" riproposizione acritica delle ragioni per cui Polanski si è sempre rifiutato in questi anni di accettare il giudizio del tribunale, pur riconoscendo che «un processo sarebbe una soluzione». Fa sorridere, sul giornale che non perde occasione per ricordarci che ci si difende "nel" processo e non "dal" processo, leggere queste parole: «Il fatto è che i media americani ormai si sovrappongono alla giustizia. L’esito di un processo dipende da quello che mostra la televisione. Sarebbe un inferno, non per colpa del sistema giudiziario ma dei media». Altri la chiamerebbero "gogna mediatica", ma guai a dire che è un problema che riguardi la giustizia italiana.
P.S. Manca lo spazio per un commento, ma invito i lettori a compulsare con attenzione un’altra pagina di Repubblica di ieri, quella piena di ammirazione per «la particolare esuberanza sessuale» di Fidel Castro, per gli undici figli con sette donne diverse del "grande seduttore", «senza contare tutte le relazioni occasionali o clandestine che lo hanno reso padre». Deduzione: se Silvio Berlusconi vuole conquistare la benevolenza di certi giornali ha due strade: la regia cinematografica o la dittatura. Meglio la prima.
SE IL REGISTA CULT HA LICENZA DI STUPRO-
Renato Farina, il Giornale 29/09/2009
Roman Polanski è un grande artista di cinema, ne sono sicuro. Ma è anche uno stupratore di minorenni. Lo ha confessato lui. Un pedofilo professante: quando aveva 46 anni, si è preso una ragazzina di tredici. Lui famoso, lei nessuno. L’ha fatta sua «con uso di stupefacenti, perversione e sodomia», come testimoniò la ragazzina. Prima di essere ammanettato per ordine del Tribunale di Los Angeles fuggì. Ora è stato arrestato in Svizzera e l’avvocato ne chiede la liberazione supportato dalle proteste di ministri, attori e cineasti.
Dicono: roba di trent’anni fa. Che sarà mai. Mi immagino se la stessa vicenda avesse avuto per protagonista un muratore, un boxeur o - oddio - un prete. Ecco, un prete. Ci sarebbero comitati fuori dal Vaticano, scorribande di firme famose per metterlo di fronte al suo schifo. E sarebbe - dinanzi a un reato acclarato e a una fuga da vili - persino giusto. In questi anni abbiamo visto non tanto campagne contro sacerdoti rei confessi, ma attacchi indiscriminati alla categoria in tonaca sulla base di sospetti e accuse non vagliate. Va così.
Basta che qualcuno alzi un ditino, e il sacerdote può aver salvato migliaia di persone dalla droga e dalla criminalità, ma è morto. Finito. Sia chiaro: qui parliamo non di condanne passate in giudicato, ma di indagini e di processi in corso: se toccano un sacerdote è immediatamente murato vivo, anche i garantisti spariscono. Persino il Partito radicale, che osannò e osanna Pasolini frequentatore di ragazzini, ha militanti specializzati nel costituirsi parte civile purché l’imputato gestisca un oratorio. I magistrati in questi casi buttano via la chiave.
Conosco un caso a Roma. Riguarda un sacerdote. Per me è innocente (si chiama don Ruggero Conti, ha scritto splendidamente della sua vicenda Gian Micalessin sul Giornale); ma quel che più conta è innocente per la legge italiana non avendo alcuna condanna, eppure sta in carcere in condizione di rischio altissimo per la salute, non gli danno nemmeno gli arresti domiciliari, una forma di tortura inaccettabile. Tutti i quotidiani compatti. Titoli di scatola denigratori. Saltano fuori prove a discarico? Tutti zitti. Santoro dedicò una puntata ai preti pedofili (sotto accusa finì anche Ratzinger).
Polanski? reo confesso, pensando di scampare il carcere. scappato quando ha compreso l’impossibilità di farla franca. stato accolto in Europa come un povero perseguitato dalla moralista America. Un magistrato di Zurigo applica un mandato di cattura internazionale come per qualsiasi ometto del globo. Sollevazione a difesa del Genio. E la Svizzera si arrende alla pressione della lobby più stupida e più potente del mondo: quella del cinema.
Ribadisco. Polanski, a giudicare dal suo comportamento, è contemporaneamente un artista capace di capolavori e un uomo di palta. Esagero? Sono veri per me entrambi i fatti. E allora diamogli un Oscar e anche la galera. Non si capisce perché le due cose siano incompatibili.
Il pugile Tyson era un artista del ring, poi ha stuprato una donna. Nessuno ha detto: è un pugile meraviglioso guai se finisce in cella. Si è fatto i suoi anni in divisa arancione. Si è allenato nella palestra del penitenziario. La vita in uno Stato di diritto è così. Se sbagli paghi, non ci sono immunità per gli intellettuali o per i geni. Anzi proprio perché i citati chierici della cultura sono dotati - si presume - di maggior coscienza, intuito, amore per la bellezza sono meno giustificabili quando stuprano le ragazzine (a 13 anni è stupro, il codice una volta diceva «stupro presunto». Io direi: pedofilia infame).
Tutti d’accordo? Invece no. Come è noto e com’era prevedibile. Trascrivo. Costa Gavras, Wong Kar Wai, Monica Bellucci e Fanny Ardant (quella che ha giustificato le Br) stilano un comunicato: « inammissibile servirsi di un evento culturale a carattere internazionale in omaggio a uno dei più grandi registi contemporanei per arrestarlo». Il regista Andrzej Wajda e altri suoi colleghi polacchi hanno lanciato un appello agli Stati Uniti, alla Svizzera e alla Polonia per rimettere in libertà Polanski. Mi spiace ci sia anche Wajda, ma dev’essere solidarietà di cineasti polacchi.
Uno potrebbe dire. In fondo sono passati trent’anni, la ragazza alla fine ha perdonato. Alt! Il fatto non è meno reale se sono passati tanti anni e la ragazza ha usato misericordia con il suo violentatore. Gli stupri sono equiparabili all’omicidio tanto più quando la vittima è una minorenne. La società deve punire comunque, non è un’offesa alla morale, è un delitto contro la persona. E occorre sia chiaro il principio: non c’è alcuna filosofia del sesso libero, della droga impunibile, che consenta di disporre di un minorenne per il proprio piacere.
A me scandalizza anche che - a commento della vicenda - il Corriere della Sera scriva, come si trattasse di un fumetto o di una fiction: «Una vita degna di un film». In questo modo avvolge Polanski di un alone avventuroso, in fondo assolutorio. Infatti si racconta che costui da bambino è stato costretto nel ghetto di Varsavia. Infine si lascia tirare la morale a Frédéric Mitterrand, ministro di Sarkozy (Polanski è un cittadino francese): «Esprimo il mio più profondo rammarico che si sia voluto sottoporre a una nuova prova una persona che ne ha già dovute superare così tante». Le vittime della pedofilia e degli stupri, compresi i loro familiari, sono molto rammaricati per la nuova prova cui è sottoposto Polanski, ma siamo convinti che reggeranno il colpo. Sia detto con il dovuto sarcasmo.
DIFENDERE POLANSKI?
(Maria Corbi, La stampa 29/09/2009)
Roman Polanski, 76 anni, arrestato sabato in Svizzera su richiesta degli Usa, potrebbe essere rimesso presto in libertà dietro pagamento di una cauzione. Lo ha annunciato il portavoce del ministero della Giustizia, precisando che il regista non potrà comunque lasciare il Paese. A causare l’arresto del regista, dopo 32 anni, sarebbe stato il suo legale americano. Nella richiesta d’archiviazione, presentata in luglio in California, affermò «che la procura non aveva mai cercato di arrestare Polanski perchè avrebbe dovuto rispondere di violazioni processuali: hanno deliberatamente prolungato la sua latitanza». A quel punto il procuratore avrebbe organizzato il blitz a Zurigo.
Polanski, satiro o genio? Da punire con la galera o da lasciare libero insieme col suo spirito artistico nonostante una condanna per stupro su una minorenne? Se cineasti di tutto il mondo (inclusi Wajda e Tornatore) si mobilitano per il collega, ci sono altri (come Besson) che la pensano diversamente. Comunque in maniera più complessa.
Lidia Ravera, scrittrice e femminista storica, all’inizio è cauta: «Poiché sono passati più di trent’anni anni si potrebbe valutare se sia stato un raptus o invece un’abitudine. Certo avere un rapporto con una ragazzina di 13 anni è particolarmente odioso, soprattutto se hai l’aura del successo. Il crinale tra rapporto consenziente e violenza nel caso di un uomo potente è molto delicato. Perché una ragazzina con la testa farcita di scemenze può essere consenziente ma questo non esclude la violenza. E’ un atteggiamento sinistro che vediamo anche in Italia dove gli uomini potenti approfittano spesso della giovinezza e della povertà anche culturale di molte donne. una considerazione a latere, m’interessa di più che inchiodare Polanski alle sue responsabilità. Detto questo, per quanto riguarda lui, penso che se si dimostra che è guarito possa anche avere la grazia. E’ brutto quello che ha fatto ma anche che la pena arrivi trent’anni dopo».
Giustizia prima di tutto
Senza possibilità di appello la condanna di Daniela Santanchè: «L’arresto? Mi sembra una cosa giusta, non capisco perché avrebbe dovuto avere l’immunità di status. Per fortuna la giustizia è lenta ma inesorabile. La violenza sulle donne, in questo caso su una bambina, è una piaga che va estirpata, e non giustificata. Bene ha fatto la Svizzera, mentre mi sembra che la Francia protegga molto, basta guardare al caso Battisti. Polanski ha commesso una cosa atroce e quello che è capitato dev’essere di monito a chi pensa di farla franca».
L’arresto di Polanski come segnale che la giustizia esiste e monito per chi cerca di non sottostare alle sue leggi, esce anche nel commento di Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro: «In termini di principio è necessario mantenere la certezza della pena. Certo in questo caso, come in tanti, si pone il problema: ma ha ancora senso quella pena? Non si può però non ragionare sul fatto che chi compie questo genere di reati di solito tende a sfuggire al castigo con sistemi simili a quelli usati dal regista in questi anni, cercando asilo in Paesi dov’è difficile avere l’estradizione. La Svizzera ha fatto bene, mentre mi stupisco della Francia che ha giustificato una persona che ha alle spalle una responsabilità gravissima. E aggiungo che anche il mondo della cultura ha una responsabilità, per non aver preso una posizione decisa di condanna».
L’avvocato Annamaria Bernardini De Pace pensa «a quella povera ragazzina, la vittima, e dubito che si possa mai parlare di consenso quando hai tredici anni. Sono solidale con lei. Non trovo giusto che Roman Polanski in nome della sua arte si sia sottratto alla giustizia. Lui avrebbe dovuto evitare di fare sesso con una tredicenne perfino se fosse stata lei a tentare di stuprarlo. Lei l’ha perdonato? Nessuna giustificazione, comunque. E non capisco questo movimento corale delle nazioni, del mondo del cinema. Questa mi sembra banalmente la classica solidarietà maschile».
No all’accanimento
Solidarietà maschile, appunto, ma soprattutto artistica da Ricky Tognazzi che in verità non glissa sulla gravità di quello che ha commesso Polanski e sinceramente dice: «Se non fosse lui, il mio giudizio sarebbe diverso».
A Polanski il regista italiano concede molte giustificazioni: «E’ stato sicuramente un fatto gravissimo ma anche molto strumentalizzato, come ha ammesso anche la vittima che l’ha perdonato. La verità è che genialità e morale non vanno sempre d’accordo. Polanski è un cineasta straordinario, ha la mia solidarietà perché credo che dopo 30 anni abbia macerato le proprie colpe dentro di sé, radiato dal Paese adottivo. Sento contro di lui un accanimento che non mi piace. E comunque è difficile giudicare dopo tanto tempo».
POLANSKI: "MI OPPORRO’ ALL’ESTRADIZIONE"
Angelo Aquaro, la Repubblica 29/09/2009
Il regista dal carcere annuncia battaglia. Da Bellucci a Wenders petizione per liberarlo
Le indiscrezioni: " un osso degli svizzeri agli Usa per risarcirli dello scandalo Ubs"
A 76 anni Roman Polanski conta le ore nella prigione svizzera in cui è rinchiuso da tre giorni e annuncia battaglia: ricorrerà contro l´estradizione chiesta ieri dagli Stati Uniti. La prima persona con cui ha parlato, quando gli hanno detto, come in un brutto film, che aveva una sola telefonata a disposizione, è stata la moglie Emmanuelle Seigner, la madre di Morgana ed Elvis. «Sono arrivato e mi hanno arrestato: stai tranquilla, ne ho passate tante e anche questa si risolverà». Mica facile però.
Chi o cosa ha fatto scattare a Los Angeles l´ordine di arresto per lo stupro di una 13enne che risale a 32 anni fa? E com´è che la Svizzera, dove Polanski possiede una casa a Gstaad, s´è mossa solo ora? Los Angeles sostiene che gli spostamenti del regista sono annunciati su Internet, già due volte in Svizzera ci avevano provato, visto che in Francia, dove vive, non c´è l´estradizione. Gli svizzeri dicono che gli americani è dal 2005 che chiedono di agire. Eppure l´avvocato Douglas Dalton giura che alla fine del 2008 il procuratore Richard Doyle gli aveva assicurato che non c´era nessuna richiesta.
Una pista nella pista è quella dell´«osso per gli Usa». Gli svizzeri avrebbero voluto accontentare gli americani dopo le polemiche degli ultimi mesi: prima il braccio di ferro sui conti segreti, poi lo scandalo Ubs, fiumi di dollari sottratti al fisco americano. A metà tra tragedia e commedia una gaffe dell´Associated Press. L´agenzia trasmette domenica la «memo» di un capo a un redattore: cerca di capire cosa c´è dietro, guarda che non sia «un osso» degli svizzeri agli americani per l´Ubs. L´ordine finisce per errore nel flusso di notizie e inevitabilmente su Google News.
E la vittima? Oggi Samantha Geimer ha 45 anni, tre figli e nessuna voglia di ripresentarsi davanti al tribunale a rivivere uno stupro di un secolo fa. In un articolo per il Los Angeles Times ha perdonato il regista. Polanski si dichiarò colpevole per patteggiare la pena, ma scappò quando capì che al giudice i 42 giorni già inflitti non sarebbero bastati. L´anno scorso ha provato a riaprire il caso ricusando a posteriori la corte. Parliamone, ha risposto il nuovo magistrato, Peter Espinoza: vieni prima tu. Figuriamoci.
Le nuove prove sarebbero state portate da un film, Roman Polanski: Wanted and desired, per cui pochi giorni fa la regista Marina Zenovich ha vinto un Emmy. E ieri anche il co-fondatore della Miramax, Harvey Weinstein ha appoggiato la petizione dei cineasti francesi contro l´estradizione, come riporta il sito internet Screendaily.com, accogliendo la richiesta del direttore del Festival di Cannes, Thierry Fremaux. «Stiamo chiamando tutti i film-maker che possiamo per aiutare a risolvere questa situazione terribile», ha detto il produttore.
DA CARROLL A CHAPLIN SI FA MA NON SI DICE
Natalia Aspesi, la Repubblica 29/09/2009
Non si era mai vista una simile mobilitazione di artisti e intellettuali in difesa di un intellettuale ed artista, purtroppo inseguito da trentun anni da un mandato di arresto per un reato dei meno artistici ed intellettuali: la violenza sessuale su una ragazzina tredicenne.
Lo scandalo non è quel lontano crimine confesso, ma l´attuale fermo del colpevole. Certo non un colpevole qualunque, ma un premio Oscar, un autore di genio, un regista venerato. Allora, secondo questi autorevoli sostenitori, il talento dovrebbe cancellare la violenza su una ragazzina? E valere di più un bel film di una giovane vita ferita? O al contrario, come pensa la maggior parte del popolo giovane dei blog, uno stupratore resta tale anche se è un grande artista e neppure trent´anni dopo l´offesa può essere mitigata, il reato prescritto, il colpevole assolto?
Roman Polanski è oggi un signore di 76 anni dall´aria fragile e bisognosa di protezione, sposo e padre pare esemplare, certo un´altra persona rispetto al frenetico quarantaquattrenne che non ci pensò su abbastanza e anziché darsela a gambe prima anziché dopo, o corteggiarne la madre, si trovò nel letto una ragazza eccessivamente minorenne. Ognuno allora disse la sua, compresa la giustizia, che accettando di cancellare le accuse di stupro, sodomia, sesso orale, droga, mantenne solo quella di corruzione di minore; ancora di più oggi ognuno giudica il passato e il presente polanskiano secondo i più classici o bizzarri punti di vista e soprattutto con una grande confusione di ruoli. E per esempio la maggior parte delle signore di estrazione femminista dovrebbe compiacersi che finalmente un violentatore di adolescenti pagherà il fio: invece no, anche in Italia sono fuori di sé per il drammatico evento e stanno raccogliendo milioni di firme per ottenere il rilascio del grande umanissimo regista di "Il pianista" e "Chinatown". E i polacchi? A parte un paio di ministri e il presidente della repubblica, gongolano, fanno i complimenti agli Stati Uniti dove la legge è uguale per tutti e attaccano i loro governanti che dovrebbero vergognarsi di difendere un pedofilo.
Arte e pedofilia si sono spesso intrecciate, suscitando più che altro dibatti fumosi e, nel dubbio, si è sempre preferito pensare che se l´artista era devoto alle adolescenti o addirittura alle bambine, era esclusivamente per ragioni intellettuali. Lewis Carroll fotografava piccine con camiciole discinte solo, secondo i suoi estimatori, per immortalarne l´innocenza, Balthus dipingeva bambine con le gambette spalancate, per pura passione grafica e senza un solo pensiero cattivo, Chaplin magari era più sincero, chiedeva alle mamme di certe decenni simili ad angeli di riportargliele qualche anno dopo, non si sa mai, potevano diventare dive.
Anche cinema e adolescenti si sono spesso appaiati, vedi le decine di bambinette massimo dodicenni erotizzate, come Brooke Shields in "Pretty baby" di Louis Malle (del 1978, l´anno in cui Polanski fuggiva in Europa per non finire in galera) o come Kirsten Dunst in "Intervista col vampiro" di Neil Jordan (1994). Dopo trentun anni quella assurda violenza di un uomo adulto e colto su un´adolescente forse non innocente ma certo poco accorta, appare nebulosa, confusa, persino incredibile persino al protagonista, cui nella memoria deve forse tuttora gravare soprattutto il massacro della moglie Sharon Tate avvenuto 40 anni fa. Li ha ricostruiti il giornalista Gerald Posner sul sito di Tina Brown, dailybeast. com: Polanski aveva chiesto alla mamma della bella Samantha Geimer il permesso di fotografarla per Vogue francese e già che c´era gliene aveva fatte in topless. Due settimane dopo invitò l´ambiziosa ragazzina nella casa vuota di Jack Nicholson e con champagne e Quaalude la convinse a fare l´amore, lei «consenziente» secondo le eleganti dichiarazioni del regista al magistrato. Per evitare una richiesta di condanna a 50 anni, il regista si dichiarò colpevole, mentre la famiglia di Samantha cercava di evitare il processo per tenere nascosta la sua identità. Anche i giudici volevano evitarlo ritenendolo per la ragazza un danno peggiore della violenza subita. Polanski scappò a Parigi, in seguito ci furono accordi tra le parti e da tempo Samantha, che ha 45 anni, è sposata con tre figli e vive alla Hawai, lo ha perdonato.
Un esercito di gente di cinema, compresa Bellucci e Ardant, vari ministri della cultura, compreso quello francese, Mitterand, che si è rivolto al presidente Sarkozy, pensano di chiedere l´intervento di Obama per ridare al cinema il grande Polanski. Del resto oggi le minorenni trionfano, sono loro l´immagine vincente delle donne, e hanno affollato le passerelle dell´ultima moda: in offerta speciale, disponibili, irresistibili, pericolose.