Niccolò Zancan, La stampa 29/09/2009, 29 settembre 2009
DOMANDE E RISPOSTE
Dov’è la verità oltre le perizie?
Perché il giallo di Garlasco continua a complicarsi?
Succede come per il piccolo Samuele Lorenzi. Come per la studentessa Meredith Kercher. Tutto il dibattimento è incentrato sulle prove scientifiche, con battaglie di periti e vivisezione della scena del crimine. A Garlasco il sangue sul pavimento e sulla bicicletta, oltre alla perizia sul pc di Alberto Stasi. A Cogne le macchie sul pigiama e quelle sugli zoccoli di Annamaria Franzoni. A Perugia le impronte sul coltello, forse impugnato da Amanda Knox. Nessuna certezza assoluta. Poca luce sui moventi, ma perizie e contro perizie. Fino alla sentenza.
Quando inizia il successo del Ris in Italia?
Aprile ”98. Un gruppo di uomini in tuta bianca sale su un treno per analizzare un gabinetto. Forse il posto più contaminato sulla faccia della terra. Pochi ci sperano. Eppure nel bagno del Genova-Ventimiglia, su cui era appena stata uccisa Mariangela Rubino, c’è anche la traccia nitida dell’assassino. Il Dna di Donato Bilancia, poi riconosciuto colpevole di 17 omicidi.
Come evolve il fenomeno?
Quindici anni fa ai laboratori della scientifica arrivavano mille interventi di richieste all’anno. Oggi sono 20 mila. Il 90% degli accertamenti riguarda ricerche genetiche. Comparazioni fra diversi profili di Dna. Nei rapporti conclusivi non si parla mai di certezza, ma di «relazioni estremamente probabili».
Qual è un caso emblematico?
Dobbiaco, una manciata di case fra le montagne della Val Pusteria. Una donna è morta, sfigurata in camera da letto. Sul suo corpo ci sono tracce di sperma. I campioni vengono analizzati dagli esperti, ma non portano da nessuna parte. Il profilo genetico degli abitanti della zona è troppo simile, come se appartenessero tutti alla stessa famiglia. Ci vuole un ulteriore approfondimento. I residenti della valle devono allora sottoporsi a un prelievo di saliva. Trecento tamponi vengono analizzati, fino a quando viene individuato l’assassino: è lo screening genetico più vasto mai fatto in Italia».
Dna a parte, quali sono le armi della scientifica?
Il Crimescope rileva le impronte digitali latenti sulla scena del crimine. Il Luminol è una soluzione che reagisce all’emoglobina presente nel sangue, emettendo una luminescenza bianco-blu osservabile al buio. Il sistema Ionscan serve per individuare eventuali tracce di esplosivo. Inoltre, si fanno perizie tecniche su computer e telefoni. Oppure sulle larve e gli insetti trovati su un cadavere: lavoro per un entomologo.
Perché è così importante il primo sopralluogo?
Perché tutto può contaminare la scena del crimine, fino a corromperla irreparabilmente. Il passaggio dei soccorritori, il fumo di una sigaretta. Sono tracce da sottrarre per cercare di arrivare all’oggettività della scena.
Come lavoravano gli investigatori di una volta?
Fiuto, appostamenti, interrogatori, confidenti. La conoscenza del territorio era decisiva, come le capacità psicologiche e di osservazione. Ma negli Anni 60 e 70 la polizia scientifica aveva già buone carte da giocare. Perizie balistiche, impronte digitali, l’uso delle foto, il registratore e le prime «cimici». Da sempre la scienza è alleata delle indagini. Tecniche nuove e vecchi metodi non si escludono, non dovrebbero. Ma, di fatto, negli ultimi anni la prova scientifica ha preso il sopravvento.
Un caso riaperto grazie alla scienza?
Via Poma. Simonetta Cesaroni viene accoltellata nell’estate del ”90. La sua morte resta un mistero assoluto. Un classico «cold case». Fino al 2009, quando la procura di Roma chiede il rinvio a giudizio per l’ex fidanzato della ragazza, Raniero Brusco. Che cosa è successo nel frattempo? Tracce del suo Dna sono state isolate sul reggiseno della vittima.
La scienza batte sempre la logica?
A Torino c’è una storia esemplare. Clotilde Zambrini, 73 anni, pensionata, viene trovata morta il 9 settembre 2003 nell’alloggio di via Cadorna. Strangolata con un laccio, poi con una calza di nylon. L’assassino le ha conficcato la punta numero 13 di un trapano Black&Decker nel cranio. Gli investigatori individuano un «sospettato perfetto». un pensionato di 68 anni. Nel 1976 era stato fidanzato con Clotilde. Per gelosia l’aveva sfregiata con un collo di bottiglia. Per quel raptus aveva passato 6 mesi in carcere. un solitario. Legge solo gialli. Fa 3 telefonate al mese. In casa sua gli agenti trovano una guida del telefono con cerchiato il cognome Zambrini. Il nodo sul filo del citofono - un particolare nodo da pescatore - è lo stesso del laccio che ha strangolato la donna. L’alibi non regge. Le impronte parziali combaciano. Lo stanno per arrestare, quando arrivano i risultati della scientifica. Il Dna non corrisponde. Scagionato.