Alberto Arbasino, la Repubblica 29/09/2009, 29 settembre 2009
LA BIBBIA E L’ILLUMINISMO
A 250 anni dalla morte del musicista le celebrazioni in Inghilterra recuperan i suoi oratori ispirati agli episodi più versatili del Vecchio Testamento
Simboli e Maccabei, come i Giuda o i Giosuè, tutti da identificare soprattutto oggi
L´eccelso specialist William Christie dirige efficamente cantanti, orchestra e coro scozzese
Risulta attualissimo il "Sansone" che si lagna sentendosi abbandonato dal Dio di Israele
Le celebrazioni "anglo" dei 250 anni dalla morte di Georg Friedrich Händel forniscono ghiotte o maliziose occasioni stagionali di recuperare i suoi solenni maestosi oratori. Tutti sceneggiati dai più versatili episodi della Bibbia. E già nel Settecento fitti di corsi e ricorsi biblici con puntuali analogie politiche fra le antiche trame israelitiche e le vicende inglesi d´attualità in ogni epoca. Oggidì, ovviamente, ancora di più, a causa dei media. Come quando gli insegnanti declamano «Serva Italia» nelle nostre scuole, mentre in tv qualunque leaderino o paperone enuncia che bisogna allargare il dibattito per trasformare il Paese della Chiacchiera. E mentre in trasferta nel prestigioso Estero, le Nazionali di Calcio e i Presidenti delle Istituzioni e i campioni e tifosi d´auto e moto dovrebbero inneggiare all´Elmo di Scipio, ai bimbi Balilla, a «dovunque è Legnano», riaffermando in Mondovisione che «siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi». Come da secoli ci rinfaccia qualunque straniero di passaggio in pizzeria.
A Edimburgo, l´0ratorio händeliano Judas Maccabeus scelto per inaugurare il Festival impoverito, nasce come "evento" nel turbolento e succulento 1746, a ridosso della vittoria-massacro a Culloden del Duca di Cumberland (il "Macellaio", figlio di Giorgio II) sopra i Giacobiti scozzesi del "Giovane Pretendente" ultimo degli Stuart. Cosi Händel, celebrando un comandante Israelita, vittorioso uccisore contro i Siriani, rendeva ufficialmente omaggio al trionfo militare della nuova dinastia regnante in Inghilterra: gli Hannover, coi loro quattro re Giorgi in fila. Mentre nelle guerre europee di Successione la Francia e la Spagna restavano sempre invasori possibili. Con lotte fra Protestanti e Cattolici, idolatrie "papiste" e popoli eletti con riforme costituzionali. E punizioni divine sollecite come le ricompense: a botta calda, come nei poemi omerici. Mentre «il grande Senato dell´imperiale Roma» accorda libertà di culto a Gerusalemme, già nel secondo secolo avanti Cristo. (E quindi, «Abbasso Bacco»).
Dunque, simboli e Maccabei tutti da identificare (come i Giuda, i Giosuè, i Gorgia e i Giorgi mitici o contemporanei) secondo le propagande e tendenze del momento. Soprattutto oggi, tendenziosamente, con le guerre israeliane in corso. Altro che le allegorie del Settecento, con re inglesi protestanti o cattolici valorizzati quali Davide o Mosè o Salomone ebrei, e i nemici anche connazionali demonizzati come Faraoni tremendi. Non ancora dei Tutankhamon da valorizzare tra le mummie al British Museum. Altro che «radical/rational spirits» secondo l´Illuminismo edimburghese: tolleranza, eguaglianza, libertà, fraternità, David Hume, antisuperstizione, progresso, conchiglie fossili, calvinismo, riforme, lucerne etrusche, Sette Sacramenti di Poussin, dissidenti, accademie, dibattito...
In Händel, le lamentazioni israelitiche per l´invasione siriana ma anche per qualche indifferenza divina ai patimenti di Sion vengono superate dall´elezione ereditaria del nuovo leader Giuda Maccabeo al posto del defunto genitore. Come nelle dittature africane d´oggidì. Senza bisogno di unificare la gente con regicidi o traumi, come nel Saul dell´Alfieri e nei casi Stuart: Maria e Carlo I. «Pie orge, pie arie, decenti o decorose tristezze e preghiere, salgano al Signore per muoverlo a pietà», canta un soprano. E il coro implora l´Onnipotente. Infatti, «fra colline di cadaveri e mari di sangue», la risposta sembra positiva. Alterne vicende, però, nei tre atti. Rinforzi per i Siriani, epici recitativi del protagonista, sollevazioni popolari contro il culto di Giove e Bacco, marce, controtenori messaggeri di vittoria, «Hallelujah! Amen». Macché «Sediziose voci», come nel neoclassicismo romantico e sedizioso della Norma. Macché «Viva il vino spumeggiante» o «Libiamo nei lieti calici». La serata di gala, per l´apertura del Festival edimburghese, è sponsorizzata da grandi marche di birre.
L´eccelso specialista William Christie dirige efficacemente gli ottimi cantanti, l´ottima orchestra e l´ottimo coro scozzese. (L´aitante protagonista, William Burden, fu "Candide" alla Scala). Serata assai sobria, qui all´enorme Usher Hall, dove si rammentano messinscene assai impegnative, ai bei dì. Ora, per la mancanza di soldi, solo opere in forma di concerto. E non soltanto L´Olandese volante e The Fairy Queen, Aci e Galatea e un Rinaldo di Händel che gira in un buon allestimento leggero fra il Lussemburgo e Praga. Addirittura il Macbeth verdiano, che si svolge appunto in una Scozia d´immaginazione.
Come la Sinfonia Scozzese di Mendelssohn, sempre all´Usher Hall per commemorare il bicentenario della nascita, e la sua visita alle romantiche rovine e isole e grotte di qui. Philippe Herreweghe direttore tranquillo, orchestra pacata dei Champs-Elysées. Programma "refreshing" con Alexander Lonquich pianista nel Secondo Concerto di Chopin, gentilissimo, su un piano Pleyel d´epoca. Una "tintinnabulation" da "salon", forse, in questi spazi vastissimi. Però neanche un po´ di cashmere o tartan (appropriati al programma, e di produzione o immagine scozzese) in questo abbondante pubblico di local people.
Anche al Gala inaugurale, notevole evento annuale, davanti alle bruttezze ineleganti con fagotti e zainetti e bottiglie e ombrelli e bibite sorseggiate in sala, diventa inevitabile chiedersi se questa è poi la società scozzese attuale. A parte le gallerie spesso imbarazzanti, un parterre di canizie, praticamente nessuno sotto i sessant´anni, neanche uno straniero, pochissime cravatte, una ventina o neanche di giacche blu. Pettinature alla Louise Brooks (Lulu) su anziani e anziane. Una comunità municipale, si osserva: tanti vecchietti con zainetti che evidentemente rincaseranno in autobus. Ci si chiede, allora, se saranno stati così, al di là dei ritratti più o meno lusinghieri nei musei, i leggendari edimburghesi che nel Settecento hanno fatto l´Illuminismo, composto trattati e riviste, concepito e realizzato l´urbanistica più elegante d´Europa, acquistato le magnifiche pitture e sculture esposte alla National Gallery scozzese. E quindi, operazioni di vedute e prospettive sia nel pensiero trattatistico sia nelle sistemazioni urbane: avvalendosi d´ogni collocazione e dislivello per ordinare e comporre paesaggi e scenari. Posizionare assi e assetti, profondità, viste, scorci...
Significativi possono apparire i dettagli mortificanti, se paragonati a situazioni europee analoghe. Il bar del teatrone è un misero cul-de-sac, con bottigliette ordinarie, e neanche uno scotch whisky. E l´albergone di fronte chiude il buffet quando finisce l´Händel: dunque, corse d´anziani al bar per tavolate di birre e noccioline, con qualche sandwich. Al contrario degli altri festival, la "serata" si risolve quindi in ore di lavoro e studio, senza un mangiare e bere festivo, o feriale. In vacanza ormai si dice: un calvario. Ma normalmente, per chi non ha problemi di scuole e brutti voti, l´ora di matematica e fisica può diventare uno sfizio, e non uno strazio.
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Ai colossali "Proms" londinesi, il Sansone (sempre di Händel) risulta evidentemente più attuale degli Illuminismi (più o meno scozzesi) così criticati da Adorno e dal Papa, giacché l´ex-eroe biblico vi figura già prigioniero e incatenato a Gaza. Eyeless (Senz´occhi) in Gaza era già un antico titolo di Aldous Huxley. Ma qui la contemporaneità incombe con emozioni ed esclamazioni come nei quotidiani di stamattina. Sansone infatti, per niente eroico, si lagna fragorosamente sentendosi abbandonato dal Dio di Israele. Viene lungamente accudito da un controtenore con gorgheggi, e dal suo vecchio padre che non osa sindacare i secondi fini divini. E soprattutto, non cessa di rimproverarsi per aver rivelato a Dalila il suo segreto tricologico. (Altro che Pavarotti, «Ma il mio mistero è chiuso in me» nella Turandot. Fra misteriose congetture: «nella sua fredda stanza», con 40º a Pechino, «guarda le stelle», o chissà cosa fa?).
Ma presto arriva Dalila, «accompagnata dalle sue vergini», e con fini sconciamente erotici. Cieco o no, vuole riprendersi Sansone, memore di voluttà indimenticabili. Ma qui lui s´arrabbia moltissimo. Altro che shampoo. Lei fa le fusa e tuba come una tortorella, come un cucù, con un violino. Sono i momenti più geniali e più belli dell´Oratorio. Ma uscita lei, un filisteo mascalzone e verbosissimo irride lungamente Sansone, fra recitativi e cori di idolatri. Poi, dopo fragori spaventevoli, un Messaggero narra il crollo biblico, le vergini ebree portano fiori e corone, il vecchio babbo chiude la trama.
Poche sere dopo, Daniel Barenboim conduce la sua orchestra arabo-israeliana «West-Eastern Divan» con perorazioni pacifiste che qui all´Albert Hall chiunque ovviamente condivide, lontano da Gaza. Waltraud Meier è una bravissima Leonora, come già Birgit Nilsson e Leonie Rysanek e Gundula Janowitz con Karajan e Böhm e Bernstein alla Scala, ai bei tempi di tenori come Jon Vickers e James King e René Kollo. O negli storici dischi di Furtwängler, con la Flagstad o la Mödl e la Schwarzkopf, forse ancora reperibili nei decrescenti e fallimentari scaffali dei «cd classici».
Ora, però, ben altro appare il problema. Chi sarà oggi il detenuto Florestano in balia di potenti arbitrari, e poi liberato per un colpo di grazia dittatoriale o sovrana? Anni fa, in una Leonore beethoveniana a Bologna, un supercarcere molto tecnologico pieno di microschermi e videosorveglianze incontrava ostacoli testuali e pratici: come avvistare dalle torri un drappello in arrivo a cavallo? E come scavare una fossa con una vanga e una zappa, nel caveau d´una banca con vigilantes? Qui, nel politicamente più che corretto in concert, chi sarà mai quel prigioniero ignoto iniquamente recluso e poi scarcerato per interventi dall´alto? Un terrorista libico? Un oppositore iraniano o cubano? Un dissidente georgiano, talibano, ceceno? Gli Illuministi del Settecento proclamerebbero la tolleranza, il ragionamento, il dialogo a Edimburgo, nei club. Domenica mattina, dibattito su Guantanamo e l´Ossezia. Händel pare invece di tendenza, come il Gounod di Sansone e Dalila: tutta la colpa è sempre dei Filistei. Really? Absolutely! In certe messinscene, i Filistei stappano addirittura champagne.
Tutta invece interamente scorretta e trasgressiva, politicamente e privatamente, la Fedra di Racine magnificamente interpretata da Helen Mirren al National Theatre londinese si scatena in una passionalità ancora più violenta che tra le nostre gigione dannunziane estreme: Paola Borboni, Maria Melato, Emma Gramatica. Tutta disperata esplicita, nonché trottolona sveltissima, alle prese con un eccellente figliastro Ippolito, tipico ragazzo d´oggi, duro e puro, vergine, con barba e capelli da picchiatore, e una tendenza per le divise militari. Attorno, antologia e caleidoscopio di grandi vegliardi e maniere tradizionali illustri. Superba veterana, Margaret Tyzack. E stupendo pecione Stanley Townsend, un Teseo caotico frastornato dalle troppe avventure: Minosse e Pasifae, il Minotauro e il filo rosso, Arianna a Nasso, Fedra sua sorella, tresche con Amazzoni, vendette in Epiro, mostri marini dappertutto, una quotidianità fra Savinio e De Chirico... Troppo, troppo. Un po´ di minimalismo, prego.