Natalia Aspesi, la Repubblica 29/09/2009, 29 settembre 2009
LE FOLLIE D’AMORE DEL GRANDE ARCHITETTO
In tarda età, pieno di debiti, si invaghì di un´aristocratica serba che aveva 33 anni meno di lui
La sua vita intima raccontata in una biografia letteraria: passioni erotiche, donne e figli che svelano l´altra faccia del genio
Venerato architetto della prima metà del secolo scorso, inventore di quelle famose "Prairie houses", case della prateria, che celebravano una nuova idea del vivere nella natura, dell´abitazione singola come luogo di una protetta intimità familiare, Frank Lloyd Wright, come persona, era un tipo da cui le donne sarebbero dovute fuggire a gambe levate: figuriamoci gli otto figli (una adottiva, più altri vari di primo letto delle sue signore) che, tra un capolavoro architettonico e l´altro, mise al mondo del tutto casualmente con la prima e l´ultima delle sue tre mogli. Invece, le donne lo volevano a tutti i costi, pur con quel testone e i tacchi alti, e per lui mandavano all´aria i loro matrimoni e abbandonavano i figli avuti col marito cornificato. In tempi in cui gesti così coraggiosi e insensati escludevano le colpevoli dalla società come massime reiette. «Ecco l´ideale che propongo per l´architettura dell´era della macchina, per l´edificio americano ideale: lasciamo che si sviluppi nell´immagine dell´albero», scriveva poetico il geniale ideologo della casa per famiglie salde e felici.
Però, si osa dire che, al di là dei dotti testi, comprese almeno nove biografie, dedicate alle sue rivoluzionarie architetture organiche, la vita di questo genio si può definire, senza ironia: un romanzo. Infatti, uno dei suoi amori (con donna maritata) ispirò con magniloquenza quasi demente La fonte meravigliosa di Ayn Rand (ripubblicato da Corbaccio nel 2004), divenuto nel 1949 un film dallo stesso titolo con Gary Cooper e Patricia Neal e che è oggi insopportabile. La sanguinosa tragedia privata che nel 1914, lo lasciò stordito per alcuni mesi, è stata raccontata da Nora Horan nel romanzo Mio amato Frank (Einaudi, 2007). Quest´anno, invece, il suo ultimo capolavoro architettonico, ovvero il Guggenheim Museum di New York, gli ha dedicato una grande mostra nel cinquantenario della sua morte e dell´inaugurazione del museo stesso, e, con massimo tempismo, il prolifico scrittore T. C. Boyle (che ha il privilegio di vivere nella George G. Steward House, progettata da Wright nel 1909), ha pubblicato uno dei suoi spettacolari romanzi biografici.
Il titolo, Le donne (Feltrinelli, pagg. 448, euro 20), chiarisce che Frank Lloyd Wright e le sue famose architetture sono in ombra rispetto alle vere protagoniste: le quattro donne che con maggior frastuono occuparono la sua vita, o meglio, infestarono la propria con quella del genio americano.
La loro storia ci viene raccontata da un personaggio inventato, un ex allievo giapponese di Wright, che introduce ognuno dei tre capitoli, raffreddando sapientemente il casino sentimentale ed erotico di una vita apparentemente dedicata solo all´arte del costruire. L´autore, già biografo di altri eroi minori della modernità americana, come Will Keith Kellogg, il re dei fiocchi d´avena, e Alfred Kinsey, l´assatanato sessuologo, da principe dei best-seller, ribalta la cronologia della lunga vita di Wright (1867-1959), iniziando il romanzo con l´incontro a Chicago nel 1924 tra il grande narcisista e quella che sarebbe stata la sua terza e ultima moglie. Lui si avvicinava ai sessant´anni ed era pieno di fastidi: una moglie morfinomane momentaneamente lontana, un mucchio di debiti e l´affermarsi di rivali quali Le Corbusier e il Bauhaus, che lo facevano sentire antiquato.
Lei, 33 anni di meno e apparentemente soave, si chiamava Olgivanna Lazovich Milanoff Hinzeberg: aristocratica serba di origine montenegrina, dedita purtroppo alla danza sacra, sposata con un architetto russo e madre della piccola Svetlana. Senza por tempo in mezzo, la bella seduttrice, che nel tempo si sarebbe rivelata una dispotica virago (detta Iron lady) si stabilì a Taliesin, la comunità fondata e per ben tre volte ricostruita da Wright nel Wisconsin, dove gli studenti pagavano per vivere vicino al loro nume, pelando patate e zappando la terra. Per quanto assunta come governante per salvare le apparenze, il distratto architetto la mise incinta e, apriti cielo, la moglie Maude Miriam Noel si rifece viva in tutta la sua rancorosa follia.
Boyle costruisce scene magnifiche con questa matura signora che con profumi, vestaglie e scenate anni prima aveva travolto il pover´uomo, abbandonando un marito e tre figli e che, ora, si mette a farne di tutti i colori: insulta Olgivanna che ha appena partorito Jovanna, figlia del peccato, indice conferenze stampa contro i fedifraghi, li denuncia e li fa finire in prigione per aver violato il "Mann Act", legge che persegue, tuttora, sia il traffico di schiavi che «il trasporto di donne per propositi immorali da uno stato all´altro».
Miriam era stata la magica fata, la turbolenta strega, che si era materializzata, con tutti i suoi richiami carnali e intellettuali, tra le macerie in cui si era frantumata orribilmente la vita di Wright in poche ore, in un solo giorno: il 15 agosto del 1914. L´ultima parte di Le donne è dedicata alla donna che ne fu protagonista: Mamah Borthwick Cheney, il primo vero grande amore dell´appassionato Frank, tanto che per lei lasciò Kitty Tobin, la prima moglie, una classica casalinga devota che gli aveva dato sei figli in dieci anni.
Mamah era naturalmente sposata. Moglie di un ingegnere che aveva commissionato la loro casa all´architetto statunitense (oggi la Edwin H. Cheney House è un Bed and Breakfast) nel 1909: era una donna colta e aveva tradotto in inglese i testi della famosa femminista svedese Ellen Key. I due innamorati lasciarono le rispettive famiglie e viaggiarono in Europa. Al loro ritorno la stampa ne fece il centro di un continuo scandalo da prima pagina auspicandone l´arresto. Ma soprattutto Wright perse il lavoro. Solo anni dopo, nel 1916, ottenne un nuovo importante impegno: la costruzione dell´Imperial Hotel di Tokio. Mamah si era stabilita a Taliesin con i due figli di primo letto, John di 12 anni e Martha di 9. Quel giorno d´agosto, Frank era a Chicago a seguire i lavori dei Midway Gardens, un parco dei divertimenti poi abbattuto nel 1929. A mezzogiorno, il cameriere di colore Julian Carlton, assunto da poco insieme alla moglie Gertrude, con un´ascia spaccò la testa a Mamah e ai suoi figli, poi, chiuse la sala dove alcuni uomini della casa stavano pranzando e la incendiò: il calore fece scoppiare i vetri delle finestre e, man mano che gli uomini in fiamme uscivano, lui li aspettava per finirli con la scure. Il bilancio fu di sette morti. Il massacratore, scampato al linciaggio, si lasciò morire di fame e di sete senza spiegare la ragione del suo gesto.
E qui interviene Boyle il romanziere: Carlton uccise perché - mentre picchiava, come gli sembrava giusto, sua moglie - Mamah, che aveva dato da leggere un testo femminista alla donna, gli fece una scenata e lo licenziò. In tanto orrore sanguinario, nella disperazione muta di Wright, c´era chi da lontano tramava. Una certa bella signora dedita alla morfina e stufa della famiglia, scriveva un´accorata lettera di consolazione allo sconosciuto affranto: era solo dicembre e l´inconsolabile amante era già pronto per la peggiore delle sue avventure.