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 2009  settembre 29 Martedì calendario

ORA DEL DELITTO E MOVENTE LA SFIDA TRA PM E DIFESA


VIGEVANO – Due anni di indagini, venti faldoni di carte, 180 testimoni, un­dicimila euro spesi per le sole fotocopie degli atti. E più di venti fra periti e consu­lenti. Che cosa resta di tutto questo oggi? Cosa rimane in piedi per l’accusa al netto delle superperizie ordinate dal giudice Vi­telli? Come si è modificato nel tempo lo scenario di quest’inchiesta? E quali sono i punti incassati fin qui dalla difesa?

Il vantaggio di Alberto

La perizia medico-legale depositata ieri va oltre le migliori aspettative del­l’imputato. Soprattutto per un detta­glio: perché stabilisce che per massacra­re Chiara a colpi in testa (con un’arma mai trovata) l’assassino ha agito in due momenti e che in tutto l’azione potreb­be aver richiesto «anche alcune decine di minuti».

Questo dettaglio sembra negare la teoria dei 9 mi­nuti che secondo la parte civile sarebbero stati inve­ce sufficienti ad Alberto per uccidere la ragazza e ritornare a casa. Allargare i tempi di «alcune decine di minuti» non è un detta­glio secondario perché, sempre seguendo le indi­cazioni dei periti del giu­dice, Alberto ha un’alibi certo fra le 9.36 e le 12.20, arco di tempo in cui lavo­rò al suo computer porta­tile. Più difficile per lui dimostrare che dormiva fra le 9.10 (quando Chiara di­sattivò l’allarme di casa) e le 9.36. Per questo l’attenzione di accusa e, soprat­tutto parte civile, si è concentrata sulla fascia 9.10-9.36. Ventisei minuti in tut­to. Un arco temporale un po’ troppo stretto per farci stare quelle «decine di minuti» e la fuga verso casa, a meno che non si voglia intendere che il discor­so vale per due sole decine di minuti (quindi 20 in tutto per l’azione) più cin­que/ sei per tornare a casa. Altra cosa sa­rebbe stato indicare l’ora della morte: «Impossibile» spiega il perito che dà una fascia indicativa 7-12. Cade, con la perizia di ieri, anche la «ragionevole cer­tezza » che sul pedale della bicicletta di Alberto ci fosse il sangue di Chiara. C’è il suo Dna, confermano ora i periti, «ma non si può precisare di quale materiale biologico si tratta». Insomma: può esse­re sangue ma anche sudore o saliva. Guarda a favore della difesa un altro pas­saggio- chiave: le macchie di sangue sul pavimento, vicino a Chiara. «Quaranta minuti dopo il passaggio di Stasi alme­no una buona parte del sangue, ed even­tualmente la sua totalità, era secca» af­ferma con certezza la nuova perizia. Quindi lo era in gran parte anche quan­do lui scoprì il cadavere. Per questo non sarebbe rimasta traccia della «limitata quantità eventualmente raccolta calpe­stando il pavimento». Fra il ritrovamen­to del corpo di Chiara e la consegna del­le scarpe passarono molte ore. Alberto le indossò camminando anche sull’erba del suo giardino: ecco spiegato il fatto che fossero linde, oltre all’«effettiva pos­sibilità » che le calzature in sé siano di un materiale che «disperde le tracce». Infine il Dna di Chiara e le impronte di Alberto sul portasapone del bagno. Per l’accusa era la prova che Alberto lo aves­se lavato con cura dal sangue dopo aver­lo usato per pulirsi. E alla fine rimetten­dolo a posto avesse lasciato le impronte digitali. Adesso il perito dice che, sem­mai, si può dire che quell’oggetto lo hanno toccato tutti e due. Nient’altro. «Non è una prova scientifica».

Che cosa resta all’accusa

 una strada in salita quella del pub­blico ministero Rosa Muscio. Ma lei fa sapere che non andrà certo in aula per arrendersi. Sosterrà l’omicidio fra le 9.10 e le 9.36, forte del fatto che se pure i tempi sono risicati (stando alla perizia di ieri) è stata per prima proprio la dife­sa di Alberto a indicare come orario del­la morte la fascia 9-10. A casa si Chiara non ci sono tracce di nessun altro se non di Alberto. E secondo la procura non c’è nessuno fra i 180 testimoni che abbia mai indicato un possibile nemico di Chiara, quindi non c’è motivo di cre­dere che qualcuno abbia pianificato l’omicidio. Alberto, continuerà a soste­nere la dottoressa Muscio, aveva il mo­vente sessuale: «Ossessionato dal ses­so » al punto da chiedere a Chiara «qual­cosa di più dei soliti filmini amatoriali» che lei si sarebbe rifiutata di fare. E poi ci sono le immagini pedopornografiche passate sul computer e salvate nel disco esterno di Alberto: anche quelle, dice la pm, sono parte del movente. Chiara po­trebbe averle scoperte: motivo più che sufficiente per minacciare di denunciar­lo e scatenare il litigio poi degenerato. Le scarpe pulite: punto da sempre cen­trale di questa inchiesta. Il ragionamen­to dell’accusa è: pur ipotizzando che Al­berto dica la verità e cioè che le scarpe consegnate ai carabinieri sono quelle che in effetti indossava quando trovò Chiara morta sulle scala, allora come mai non ce n’è traccia in nessun punto della casa mentre ci sono le tracce delle suole a «carro armato» dei carabinieri o dei soccorritori della prima ora? Resta in piedi, poi, tutta la parte psicologica: Alberto che si comporta in modo fred­do davanti al ritrovamento del cadave­re, Alberto e il feticismo che lo porta a fotografare i fondoschiena e i piedi del­le ragazze anche mentre è con Chiara in vacanza. La dottoressa Muscio ripesche­rà dall’inchiesta anche le bugie del bion­dino di Garlasco. Per esempio quella sul sangue mestruale. Quando il Ris disse che sul pedale della sua bicicletta c’era con «ragionevole certezza» il sangue di Chiara lui si giustificò dicendo che ave­va probabilmente calpestato senza vo­lerlo una goccia, appunto, del sangue mestruale della ragazza. Ma era due an­ni e tante perizie fa.