29 settembre 2009
C’ERA UNA VOLTA IL MURO DI BERLINO
«Schlappe», schiaffone. Difficile trovare altra espressione per il crollo elettorale dell’Spd, il peggior risultato dal 1949, se non forse l’ironia dei manifesti taroccati di Frank-Walter Steinmeier, per quattro anni ministro degli Esteri nella Grande Coalizione rosso-nera e domenica grigio sfidante di frau Merkel alla Cancelleria: naso, fronte, e guance deturpati e sporcati in caricatura. Da Alexanderplatz verso i quartieri a est di Berlino, questa la sorte dei poster socialdemocratici, dai pali della luce alle aiuole.
E se cercate le tracce dei due milioni di elettori Spd che domenica hanno disertato le urne per il rinnovo del Bundestag, il parlamento federale tedesco, o di quel milione finito a ingrossare il successo della Linke, la sinistra dura dei cugini, non c’è posto migliore di Pankow. Un quartierone da 250mila anime appena sopra le villette di Prenzlauer Berg, dove per 28 anni, al vecchio ospedale del distretto, vanto del proto welfare bismarckiano, la famigerata polizia Stasi interrogava e torturava.
Pankow non è Hellersdorf-Marzahn, periferia sputata di Berlino dove la disoccupazione viaggia sopra il 15%, la Linke sfiora il plebiscito (47,6% di consensi) e ci sono sacche di povertà come se il Muro non fosse mai venuto giù. un quartiere contraddittorio, sospeso nelle frustrazioni: un po’ di vecchi "ossi", gli ex abitanti della Germania Est, ma anche molte coppie giovani arrivate da ovest per spendere meno. Papà con le carrozzine, mamme che fanno jogging, tanti cani, gente in bici. Tipico distretto a egemonia socialdemocratica, almeno fino a domenica, quando si consuma il sorpasso a sinistra: Spd che crolla al 25,8% (era al 37,8% nel 2005) e Linke che sale dal 24 al 28%, trasformando Pankow nel palcoscenico dello psicodramma a sinistra.
Che non sia il solito quartiere di reduci dell’Est lo si vede lungo la Greiffswalder Strasse. All’angolo con la Thomas Mann c’è il Muhlen Berg center, brutta copia dei nostri centri commerciali, mecca domenicale dello shopping senza ideologie. « come se la crisi avesse ibernato un quartiere in rapida riconversione, cacciando indietro i progressi di anni», spiega Rudolf, 37 anni, che lavora nella biblioteca del comprensorio.
Palazzine in mattoni appena ristrutturate con il cartello fresco "vendesi" accanto a casermoni di edilizia sovietica ridipinti da poco e impietriti dalla crisi immobiliare; loft di architetti emergenti dirimpetto a vecchi cortili da set delle Vite degli altri, il film sullo spionaggio all’Est.
Se s’infila la vicina Weinert Strasse l’impressione è identica: villette per famiglie neoborghesi inframezzate da un ameno kik diskont, bengodi dei disoccupati berlinesi. E da un paio di knaipe, i baretti/empori con fuori i tavoli di legnaccio dove ossi sempre più vecchi dell’età che hanno, con i sacchetti in mano, si fermano a bere una birra. Tutto attorno, auto posteggiate da tipica working class, con qualche salto nelle comodità del cabrio. «Qui la Spd ha avuto per alcuni anni il suo ancoraggio naturale, ceti che vogliono diventare affluenti mescolati ad anziani sussidiati dal governo federale», prosegue Rudolf, sposato con Sofia e una bimba piccola di 7 mesi appena, Rebecca. Questo fino al voto di domenica. Quando dopo quattro anni di Grosse Koalition e nel bel mezzo della crisi mondiale, anche quartieri non solo di "ostalgici" come Pankow hanno scaricato l’Spd. «Troppa democristianeria, troppi compromessi, troppa subalternità ai poteri forti, e ai banchieri vampiri che hanno portato il mondo sull’orlo della bancarotta», taglia corto Stephane G., 46 anni, sindacalista di Ver.di, una delle principali confederazioni tedesche. Nel quartiere questa campagna è stata un monopolio Linke. Il rosso rubizzo dei suoi cartelli e dei suoi dirigenti erano dappertutto, insieme alle parole infuocate del vecchio Oskar Lafontaine che ancora ieri risuonavano da una radio al primo piano di una palazzina sulla Schieritzstrasse. Rimandava un discorso al Bundestag di qualche tempo fa, quello in cui lo scaltro leone rosso citava Ludwig Erhard sulla vera essenza del Marktwirtschaft, l’economia sociale di mercato.
A Lafontaine in fondo i vecchi compagni dell’Spd continuano a non perdonare iltradimento del ’99, quando ruppe con Shroeder, primo passo di una competition a sinistra deflagrata in queste ore (ieri il presidente dell’Spd Franz Muentefering non ha escluso le dimissioni dal vertice del partito) che lo porterà a fondare con Gregor Gysi e gli eredi della Sed, il partito di governo della ex Ddr, appunto Die Linke, la Sinistra. Il travaso di elettori comincia allora e da quel momento non c’è elezione di lander in cui la Linke non guadagna consensi anche oltre la vecchia geografia del Muro.
All’angolo tra Grellstrasse e Gubitzaskasse, in un piccolo centro ricreativo, domenica si è votato. Seggio n?709. Da qui sono passati tanti genitori che al tempo del Muro erano più che bambini e tanti giovani che quando è venuto giù il sipario di ferro nemmeno erano nati. Una di loro, Margaret, ci passa via inseguendo il suo bimbo che gioca su una moto a pedali. Lavora in un call center. Ceto medio che con la crisi rischia di proletarizzarsi. «Alcuni di noi sono entrati nel programma Hartz4, il sussidio di disoccupazione. Il punto è che abbiamo bisogno di prospettive per i nostri figli», prosegue Margaret. Già e l’Spd? «L’Spd ci ha tradito». Un Volks partei che dopo 150 anni di onorata carriera, risulta sempre meno di popolo. «Dov’era la gente l’altra sera alla Willy Brandt Haus», attacca Margaret. «Semplicemente non c’era. Un po’ di milionari,e un ceto di 50-60enni a suo agio con il potere».
«Linke non sempre è la soluzione», ammette mentre rincasa in Lilli-Henochstrasse Klaus, che ha un negozio di articoli sportivi vicino ad Alexanderplatz. «I cattivi compagni di strada non mancano. Come il vecchio Egon Krenz», ex presidente della Ddr, che si è rifatto vivo in campagna elettorale. O come Gregor Gysi, chiaccherato protagonista postsovietico del Pds, accusato dai titoli di Spiegel di essere un informatore della Stasi. Né mancano i litigi su Nato e Ue al vertice nel triumvirato che guida le danze Lafontaine-Gysi-Lothar Bisky. «Ma in realtà il partito non è solo questo né il paese oggi ha voglia di appassionarsi ad altro che non sia la crisi economica e la disoccupazione », continua Klaus. E sul punto, a Pankow i militanti rossi sono stati efficaci: «Porta a porta continuo, apertura di centri ricreativi, assistenza agli anziani, aiuto alle mamme con prole». In una parola: comunità. «Io ”ammette Klaus-dieci anni fa avevo criticato Lafontaine per la scissione. Domenica, però, l’ho votato».
All’ingresso della Kulturbrauerei, qualche isolato da Pankow, una ex birreria trasformata dalla Linke in centro culturale c’è un piccolo museo del design della Ddr: lampade, tv, radio, macchine da scrivere, poltrone. A guardarci dentro sembra che i migliori creativi del mondo abitassero per trent’anni al di là del Muro... Poi però alla festa di domenica sera coi militanti, in mezzo alle stampelle e alle protesi dei vecchi militanti irriducibili, c’erano centinaia di giovani e di famiglie "normali", distanti dalla vecchia Germania di Honecker, solo spaesati dal rinculo di una crisi che sta sfrangiando la società tedesca come poche altre. «Troppi salti e contrasti», spiega Ludo, che insegna filosofia in un liceo del quartiere. «Magari la gente di Pankow non concorda con l’ortodossia di far pagare di più i ricchi, ma certamente sposa la sinistra radicale quando batte sulle rivendicazioni salariali, sulla necessità di un nuovo equilibrio ambientale, e sulla pochezza dei cugini socialdemocratici». «Borotalco », ironizza Ludo. «L’Spd sta infatti smarrendo consenso in quel ceto medio più esposto ». Traslocato sotto le bandiere del nuovo/ vecchio pifferaio magico Lafontaine. la narrazione anticapitalista mai sopita nella sinistra tedesca che carsicamente ritorna, in bilico tra riformismo e radicalismo. Il che finisce per influenzare tutta la gauche continentale e insieme il futuro stesso dell’Europa.
Questo è oggi Pankow. Metafora di un discorso pubblico, con una Spd così anemica, che rischia di slittare verso una ri-nazionalizzazione delle coscienze, un’ostalgia languida, giocoforza edulcorata del Muro. «Una risacca che risale l’Est ma che fa proseliti ormai anche all’ovest», chiosa Ludo. Vecchie ombre che afferrano i vivi e dove se non a Berlino?