Paolo Valentino, Corriere della Sera 29/09/09

, 29 settembre 2009
Obama contro Lula e Zapatero: «A Chicago le Olimpiadi 2016» - A far cadere gli ultimi dubbi devono essere stati i 36 caccia della Dassault, appena ordinati dal governo del Brasile
Obama contro Lula e Zapatero: «A Chicago le Olimpiadi 2016» - A far cadere gli ultimi dubbi devono essere stati i 36 caccia della Dassault, appena ordinati dal governo del Brasile. «Ora che hai preferito i jet francesi a quelli americani della Boeing, m’impegnerò al massimo per Chicago», ha detto con un sorriso minaccioso Barack Obama al presidente brasiliano Lula da Silva, in una pausa del vertice di Pittsburgh. «Attento, potresti perdere per la seconda volta», ha replicato quello. L’episodio è vero, riferito dallo stesso Lula. E se altri sono stati i motivi che hanno spinto il presidente degli Stati Uniti a scendere in campo per la sua città adottiva, lo scambio rende bene la difficoltà e i rischi politici della scommessa. La Casa Bianca ha annunciato ieri che Obama volerà a Copenaghen venerdì prossimo, per appoggiare la candidatura di Chicago nella votazione finale che decide la sede delle Olimpiadi 2016. Sarà il primo capo di Stato americano a impegnarsi personalmente nella contesa dei Giochi. Obama lancerà il suo appello finale insieme alla first-lady Michelle, che secondo un precedente annuncio avrebbe dovuto fare il viaggio da sola, ufficialmente a causa dei troppi impegni del presidente sul fronte della riforma sanitaria. «Spiegheranno insieme perché Chicago sia la scelta migliore e quanto gli Stati Uniti desiderino unire tutto il mondo, per celebrare gli ideali del movimento olimpico», recita il comunicato della presidenza. La decisione di Barack Obama è il logico corollario di un atto d’amore alla città del vento, che dell’identificazione con il suo figlio più celebre ha fatto l’idea forte della campagna: «Il presidente e la first lady – ha detto il sindaco, Richard Daley – simbolizzano la speranza, l’opportunità e l’ispirazione che fanno grande Chicago». E’ un fatto che la nuova Amministrazione si sia mobilitata anima e corpo per portare fra 7 anni i Giochi sulle rive del lago Michigan. E’ stata Valerie Jarrett, amica e ascoltata consigliera del presidente, a guidare l’offensiva, prima come capo di Chicago 2016, il gruppo non-profit che gestisce la candidatura, poi alla testa di una speciale unità ad hoc creata all’interno della Casa Bianca. Mentre tutti i ruoli più importanti sono stati occupati da fedelissimi di Obama: dall’amministratore delegato Pat Ryan, al tesoriere John Rogers, a Penny Pritzker, l’ereditiera che è stata la mente finanziaria della campagna elettorale e ora siede nel board insieme ai fratelli Daley, il sindaco Richard e William, già segretario al Commercio di Bill Clinton, epigoni di una dinastia politica che domina la città sin dagli Anni ”50. Molto di più, l’intera offensiva olimpica di Chicago ha seguito fedelmente il canovaccio di Obama ”08, applicando gli stessi modelli organizzativi, evocando i temi e le suggestioni che fecero la fortuna della campagna presidenziale: speranza, rispetto, tolleranza, dialogo. Una scelta vincente, se è vero che, da iniziale outsider, Chicago si è ritrovata nella short list delle quattro finaliste, insieme a Rio de Janeiro, Madrid e Tokyo, che si contenderanno la vittoria finale in Danimarca. Ma è una scelta che ha alzato il livello della sfida e che ora costringe Obama, finora intervenuto con due messaggi in video, a entrare fisicamente nella mischia, rompendo una tradizione che ha visto i presidenti Usa neutrali. Una sconfitta sarebbe un colpo grave al suo carisma, già messo a dura prova dai primi otto mesi di potere. Quale differenza possa fare lo star power di un leader politico lo dimostrò Tony Blair nel 2005, quando volò a Singapore e da solo ottenne i Giochi del 2012 per Londra, strappando un pugno di voti decisivi e bruciando sul filo la favoritissima Parigi. Lo sanno bene le altre finaliste. Lo sa Rio de Janeiro, favorita del cuore e della Storia che non ha mai raccontato un’ Olimpiade sudamericana. A Copenaghen la metropoli carioca schiera appunto il presidente Lula, campione dei diseredati, più agguerrito che mai: «Ritorneremo vincitori – promette – questa è una battaglia e se non dovessimo vincerla dovremo prepararci per un’altra». Se ne rende conto Madrid, che vara una specie di Invincibile Armada: non solo il premier José Louis Zapatero, ma anche re Juan Carlos e la regina Sofia. E lo sa Tokyo, che manda il neo primo ministro Yukio Hatoyama insieme al futuro tenno , il principe ereditario Naruhito. Oltre che da Michelle, Barack Obama avrà un seguito stellare: Oprah Winfrey, seconda solo ad Angelina Jolie nella classifica delle cento celebrità di Forbes ; gli ex olimpionici Michael Johnson e Nadia Comaneci; il più grande cestista di ogni tempo, Michael Jordan. Ma è puro contorno. La carta vincente è lui. Ci sono decine di delegati del Cio che bruciano dalla voglia di dargli la mano. Se poi gli daranno anche il voto, lo vedremo il 2 ottobre. ______________________________________ La lite in famiglia del progressismo mondiale - Sarà uno scontro tra icone, una battaglia tra continenti, un’ideale guerra dei mondi. Sarà la continuazione della politica con altri mezzi, per fortuna meno cruenti di quelli trattati da von Clausewitz. Ma sarà senza esclusione di colpi e soprattutto sarà combattuta al massimo livello. Ora che anche Barack Obama ha deciso di andare a Copenaghen per difendere la causa di Chicago olimpica, il 2 ottobre è diventato una data simbolica e densa di significati metaforici. Sarà in primo luogo una lite in famiglia, quella allargata e nient’affatto omogenea del progressismo mondiale. Quattro leader per quattro speranze: Obama e la nuova America, Zapatero e l’ultimo sogno della sinistra europea, Lula e il riscatto dei diseredati latino-americani, Hatoyama e il Giappone che rivede la globalizzazione all’americana. Ma in Danimarca, ognuno di loro sarà un patriota e il criterio del successo sarà l’interesse nazionale, nella forma di un business da centinaia di miliardi di dollari e di un palcoscenico mondiale per il proprio Paese. Ma sarà anche una contesa dei continenti, come da stereotipo: il Nuovo Mondo e la Vecchia Europa, l’America Latina e l’Asia. Ognuno con la sua cifra: Obama e la capacità americana di reinventarsi, il re Juan Carlos e l’antica aristocrazia, Lula e la rinascita di un Paese, Hatoyama e il principe Naruhito simboli del miscuglio di moderno e passato tipico del Giappone. Che vinca il migliore. Dopotutto sono solo dei Giochi.