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 2009  settembre 29 Martedì calendario

Amato: «Il socialismo si rinnovi. Il mondo del lavoro ora è diverso» - 

Presidente Amato, in Germania è crollata la socialdemocrazia

Amato: «Il socialismo si rinnovi. Il mondo del lavoro ora è diverso» - 

Presidente Amato, in Germania è crollata la socialdemocrazia. 

« impressionante: i partiti sociali­sti europei sembrano birilli che cado­no uno dopo l’altro. Alle Europee, il ps francese; per non parlare dei laburi­sti, ormai in attesa del cambio dell’an­no prossimo a Londra; e anche il so­cialismo iberico comincia a scricchio­lare, con Socrates senza maggioranza assoluta a Lisbona e Zapatero supera­to dai popolari a Madrid. L’unica spe­ranza è Papandreu, che probabilmen­te riporterà il Pasok al governo in Gre­cia. Abbiamo tutti detto, nella fami­glia socialista europea, che di sicuro non potevamo governare come aveva­mo fatto nel XX secolo, e che la nostra attualità era legata ai fini e ai valori che comunque esprimiamo. Ma l’ab­biamo capito solo noi. Gli elettori non l’hanno capito».

 Perché, secondo lei? 

 «Perché non abbiamo avuto la ca­pacità di interpretare il cambiamen­to. L’ho scritto nel quaderno della Fondazione Italianieuropei dedicato al tema del lavoro: i partiti socialisti non possono che rappresentare il mondo del lavoro, a meno di cambia­re nome e natura. Ma se nel XX secolo potevano restare ancorati alla ”consti­tuency’ di partenza del lavoro dipen­dente, che rappresentava una maggio­ranza sociale, oggi non è più così. Og­gi, se non tieni conto del lavoro auto­nomo, semiautonomo, professionisti­co e naturalmente del lavoro preca­rio, la maggioranza non la fai. Invece noi abbiamo badato a promettere un rafforzamento del welfare il più am­pio possibile, non a costruire prospet­tive di vita. Il risultato è quello tede­sco: chi è scontento, e non si aspetta governo ma rappresentanza della pro­pria scontentezza, vota Linke; chi si aspetta governo non vota Spd».

 I voti della Sinistra sono perduti o i socialdemocratici possono recupe­rarli?

 «Forse è bene sia andata così. L’Spd ha bisogno di ricostituirsi. Con­tinuare con questa esperienza di go­verno sarebbe stato fonte di ulteriore corrosione. Stare troppo a lungo al go­verno fa del male; e l’Spd vi è rimasta davvero tanto. Tornare all’opposizio­ne le farà bene. E consente di verifica­re se è possibile una forma d’intesa con la Linke, cresciuta grazie a una protesta che in assenza di responsabi­lità di governo si traduce in proposte non realizzabili. Siccome stare all’op­posizione crea comunque legami, è da capire se sarà l’Spd a tradurre in proposte pratiche le inquietudini del­­l’elettorato, o la Linke ad assorbire in forme di radicalismo l’Spd. Ovvia­mente spero nella prima ipotesi». 

Il paradosso è che il socialismo perde proprio quando vacilla l’ege­monia del libero mercato e torna la mano pubblica.

 «Questo cambia di poco all’interno delle nostre società. Pesano di più fe­nomeni come le migrazioni e il diffici­le equilibrio tra le ragioni della sicu­rezza e le ragioni dell’integrazione. E pesa la trasformazione del mondo del lavoro che ha creato una specie di ter­reno supplementare di contesa politi­ca, al di là del terreno classico che nel XX secolo era delimitato dal perime­tro comune a sindacato e partito so­cialdemocratico. Sul terreno supple­mentare non arriva il sindacato, che tutela solo i lavoratori rappresentati dalla contrattazione collettiva. L’edito­riale di Dario Di Vico sugli autonomi ha come rimescolato una pentola in ebollizione. Mi hanno colpito le mol­te lettere arrivate al Corriere : espres­sioni di un mondo che sta fuori dal­l’agone elettorale e non si è ricono­sciuto nei partiti socialdemocratici».

 Sta dicendo che questi fenomeni hanno prevalso sulla crisi?

 «Sì. Inoltre, nessun partito di cen­trodestra al governo in Europa è por­tatore del liberismo che con tanta coe­renza fu rappresentato dalla Tha­tcher. Obama è criticato dai repubbli­cani per la riforma della sanità, non per l’intervento nell’economia, peral­tro avviato da Bush. Lo stesso hanno fatto Sarkozy e la Merkel».

 Cosa cambia con i liberali al go­verno?

 «Pare che la Merkel li gradisca co­me alleati; forse perché ha in mente una politica più liberista, o perché so­no più piccoli, e il pallino sta più facil­mente in mano al partito maggiore. I problemi potrebbero venire dai diritti civili: Westerwelle, omosessuale di­chiarato, porrà la questione delle cop­pie di fatto; sarà interessante vedere come reagirà il cancelliere cristiano­democratico». 

 Il sistema elettorale tedesco ha funzionato? 

«Si è confermato un sistema civilis­simo, in grado di fotografare i nuovi orientamenti della società – e la cre­scita di nuovi partiti – meglio del brutale maggioritario britannico, e di garantire la stabilità meglio del no­stro vecchio proporzionale».

 Ha perso la grande coalizione? 

« evidente che viene percepita co­me una fase transitoria. Fa molto fino dire che destra e sinistra non esistono più; ma molti elettori credono che ab­biano ancora ragione di esistere, e non amano vederle troppo a lungo in­sieme. Anche la Cdu ha perso voti. I tedeschi dimostrano di avere stima per Die Mutter, mamma Merkel, più che per il suo partito». 

 In Italia era giusto farla nel 2006? 

«Non credo. La grande coalizione ha bisogno di un clima aperto alla col­laborazione tra i maggiori partiti: da noi i toni sono da tregenda, e il pre­mier definisce con tre volte ”vergo­gna’ un’opposizione che, a suo dire, brucerebbe le bandiere italiane. Con amarezza, mi viene da notare che i suoi colleghi europei di centrodestra battono il centrosinistra senza ricorre­re a questi mezzi».

 La crisi del socialismo convalida la nascita del Pd?

 «Sì. I partiti socialisti continuano a essere visti come partiti del secolo scorso. Anche i laburisti britannici, che con Blair e Giddens avevano fatto i maggiori sforzi di adeguamento, fini­scono per essere coinvolti nella pro­spettiva più larga legata alla rappre­sentanza di lavoratori che non sono più quelli fordisti di metà ”900».

 Lei andrà a votare alle primarie del Pd? 

«Può darsi, ma con voto segreto. L’incarico che mi ha affidato il capo dello Stato all’Enciclopedia italiana mi impone di mantenermi fuori dalle contese politiche». 

Come starà la nuova Germania in Europa?

 «Vedendo l’atteggiamento introver­so e assai meno europeo degli ultimi anni, mi sono ricordato di cosa dice­va Kohl, le ultime volte che ci vedeva­mo: «Facciamo presto, perché quelli che verranno dopo di me saranno molto meno interessati all’Europa». I governanti di oggi non si sentono più responsabili della guerra e non riten­gono più che la Germania abbia biso­gno dell’Europa per farsi legittimare. In più i Länder premono per evitare altri trasferimenti di competenze a Bruxelles, e in campagna elettorale la Merkel non poteva non tenerne con­to. Io continuo ad augurarmi che Ber­lino riprenda il ruolo di motore del­l’integrazione. una partita decisiva per il futuro di tutti noi, perché i no­stri destini si giocano a un tavolo nuo­vo, dove pesano la Cina e altri paesi un tempo esclusi. Un conto è se a quel tavolo si siede l’Europa, un altro se si siedono tanti piccoli europei. O lo vuole la Germania, o non ci sarà nessuno a trainare la costruzione eu­ropea».