Paolo Mauri, la Repubblica, 29/9/09, 29 settembre 2009
MA QUANDO SI CHIAMAVA FEBBRE ERA TUTTA UNA FESTA
Da bambini noi avevamo la febbre, altro che storie. L´influenza apparteneva ai grandi, era qualcosa di astratto. Dell´epidemia nessuno parlava, salvo la nonna che ogni tanto rievocava la Spagnola che si era portato via suo fratello nel fiore degli anni. Si chiamava Eugenio e da sempre stava su una mensola sotto forma di ricordino funebre, con lo sguardo perso nel vuoto che hanno quei ritratti di una volta in bianco e nero spesso ritoccati.
La febbre era una vacanza inaspettata, una fuga autorizzata dai compiti e dalle lezioni: nei compagni suscitava sempre un po´ di invidia. "Speriamo che la maestra non vada troppo avanti", si diceva in casa ma con la certezza che poi ci sarebbe stato il tempo per recuperare. Intanto si poteva leggere Gianburrasca o Pel di carota. Ma il malatino preferiva Peter Pan e i giorni passavano. "Pinocchio ha preso la medicina?", chiedeva il pediatra venuto a controllare la situazione. E col cucchiaio controllava lo stato della gola. "E´ ancora un po´ arrossata", constatava. E ordinava di somministrare nientemeno che un gelato. Un gelato in pieno inverno? Allora non era facile trovarne. Quando si ricominciava a mettere i piedi giù dal letto si oscillava un po´. "E´ la debolezza della febbre" sentenziavano tutti, adesso passa. Fatalmente guariti si doveva tornare a scuola. "Sei dimagrito" , diceva la maestra. "Ho l´impressione che tu sia anche un po´ cresciuto"- All´epoca tutti pensavano che la febbre facesse crescere. Non ho mai accertato se fosse vero e in fondo non lo voglio sapere.