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 2009  settembre 14 Lunedì calendario

LIBIA, TUTTI GLI AFFARI DEL PRESIDENTE


E’ passato un anno dalla firma di Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi del Trattato di Amicizia tra Italia e Libia, una firma che nelle intenzioni del premier era volta a modificare profondamente i rapporti diplomatici e commerciali tra i due paesi. Ma forse è giunto il momento di chiedersi se la svolta impressa dalla decisione di riconoscere gli errori dell’ Italia nell’ epoca coloniale e chiedere scusa pubblicamente per le atrocità commesse dai fascisti nel paese africano negli anni ’ 30, abbia portato effettivi benefici al paese.E anche se esiste, o si sta formando sottotraccia, una sorta di BerlusconiGheddafi connection, come denuncia il quotidiano inglese Guardian. Analizzando l’ excursus di questo anno passato sottobraccio alla Libia si fa strada l’ idea che al momento i maggiori benefici dell’ accordo fortemente voluto da Berlusconi si sono cominciati a manifestare più in campo politico che economico. A dar retta ai dati del ministro dell’ Interno Maroni, infatti, sembrerebbero diminuiti gli sbarchi di clandestini sulle coste del sud Italia e provenienti dalla Libia. Ma quando si passa alla sfera economica i risultati sono ampiamente al di sotto delle attese. Non solo non si sono visti importanti investimenti da parte dei fondi sovrani libici nelle aziende italiane, ma anche le commesse, gli appalti e gli accordi tra le imprese dei due paesi si contano sulle dita di una mano. Non solo. La più grande opera prevista dal Trattato, l’ autostrada costiera che deve collegare la Tunisia all’ Egitto, del costo di 5 miliardi di euro totalmente a carico dell’ Italia, rischia di incontrare seri rischi di finanziamento. Gli accordi BerlusconiGheddafi prevedono infatti una tassa, chiamata addizionale Ires sulle società petrolifere, con la quale si spera di raccogliere i soldi necessari nell’ arco di 20 anni. Ma qualcosa non sta girando nel verso giusto. All’ inizio della scorsa settimana, infatti, l’ Eni ha presentato una istanza all’ Ufficio delle Entrate proprio contro l’ addizionale Ires, dicendosi pronta a impugnare il provvedimento. Il balzello è stato valutato dal cda dell’ Eni in 230250 milioni all’ anno nel prossimo triennio e grava quasi interamente sulla maggiore società petrolifera italiana. Che sta preparando delle contromisure (cfr box qui a lato). Una mina che rischia di mandare all’ aria l’ intero impianto del Trattato già approvato dal Parlamento nella sua interezza. La palla alla fine rischia di finire come al solito nel campo del ministro dell’ Economia Giulio Tremonti, il quale non ha alcuna intenzione di aprire il borsellino per finanziare un’ opera pubblica di un paese straniero. chiaro comunque che, essendo il Tesoro il principale azionista dell’ Eni, e l’ Agenzia delle Entrate anch’ essa sotto la diretta influenza del ministero, una qualche soluzione al pasticcio dell’ addizionale Ires Tremonti dovrà pur trovarla. Se non altro per l’ importanza che i giacimenti di petrolio e gas situati in Libia hanno per l’ Eni. Anche se questa volta, assicurano i bene informati, l’ opposizione potrebbe essere molto più dura di quando, per esempio, venne introdotta la Robin Tax. Questa volta c’ è di mezzo Gheddafi e la sua politica estera che recentemente non ha mancato di sollevare polemiche a tutti i livelli. Dalla guerra diplomatica con la Svizzera per l’ arresto del figlio Hannibal reo di aver maltrattato due cameriere, al recente attacco a Israele, paese colpevole, secondo il colonnello libico, di «tutti i conflitti che insanguinano l’ Africa», fino all’ accoglienza da eroe riservata al terrorista Addel Baset al Megrahi, condannato per l’ attento di Lockerbie del 1988 e liberato quest’ estate dalle autorità scozzesi. Proprio giovedì scorso Barack Obama ha espresso il suo «rammarico» al primo ministro britannico Gordon Brown per la decisione presa su Al Megrahi, nonostante sia motivata da una grave malattia. Un episodio che ha già fatto dimenticare la stretta di mano tra Obama e Gheddafi a L’ Aquila in occasione del G8 di luglio. Così, pare abbastanza evidente che nel contesto internazionale stia montando una certa insofferenza verso la politica eccessivamente accomodante di Berlusconi nei confronti della Libia. Sia la Francia che la Gran Bretagna si guardano bene dal compiere alcun riconoscimento formale degli errori del colonialismo in terra africana e per questo motivo i rapporti con l’ Algeria, il Marocco, la Tunisia per questi paesi e la stessa Libia rimangono difficoltosi. Il presidente Sarkozy a fine agosto ha declinato l’ invito di Gheddafi per la celebrazione della rivoluzione verde e Gordon Brown non l’ ha nemmeno presa in considerazione mentre Berlusconi si è fatto vedere a Tripoli il 30 agosto per l’ anniversario della firma del Trattato e posare la prima pietra della famosa autostrada, un modo evidente di distinguersi dai colleghi francese e inglese. Quando poi il Guardian lo ha attaccato sulla presunta Libia Connection, una parte della colpa è stata attribuita proprio a una sorta di "invidia" di Francia e Gran Bretagna per il filo diretto instaurato con Tripoli. Un filo che però finora non ha portato particolari benefici alle imprese italiane mentre un primo riconoscimento Berlusconi l’ ha ottenuto con l’ ingresso del fondo sovrano di Gheddafi nella Quinta Communication, società francese fondata nel 1989 da Tarak Ben Ammar e dallo stesso Berlusconi per dar corso a delle produzioni cinematografiche. In pratica già oggi si può affermare che la Fininvest della famiglia Berlusconi e il fondo sovrano libico sono diventati soci con l’ obbiettivo di produrre film sul mondo arabo. A parte ciò, l’ unico investimento consistente, finora, del Lybian Investment Authority (Lia) e della Banca centrale libica riguarda i 2,2 miliardi destinati a comprare azioni Unicredit. I buoni uffici degli uomini di Alessandro Profumo con i preparati funzionari del fondo sovrano libico hanno portato all’ acquisto del 5% delle azioni nel momento di maggiore difficoltà per la banca milanese nell’ autunno 2008. Investimento poi arrotondato con altri 690 milioni di prestito convertibile e la nomina del banchiere centrale Farhat Bengdara alla vicepresidenza di Piazza Cordusio. Ma a parte questa incursione gli altri dossier caldi giacciono immobili. In Mediobanca, che si era posizionata nella veste di trait d’ union tra i soldi libici e le aziende italiane, non si muove una foglia. Proprio un anno fa si era parlato di un investimento dei libici in Telecom Italia, una via per sostituire il socio ingombrante Telefonica con qualcuno di più vicino alle strategie e agli interessi della società italiana. Ma i problemi di prezzo hanno allontanato la possibilità anche se oggi quell’ accordo sembrerebbe più fattibile. Poi era stato annunciato un interesse a salire fino al 10% dell’ Eni, ma la quota è tuttora ferma all’ 1%. Così come non se n’ è fatto niente dell’ aumento di capitale dell’ Enel dove a un certo punto i libici erano indicati come importanti sottoscrittori. Da segnalare durante l’ estate l’ annuncio di alcune joint venture con Finmeccanica nei settori militare ed energetico, operazioni che comunque non comportano impiego di denaro fresco. Anche perché la presenza diretta di capitali libici nella società italiana comporterebbe un controllo indiretto sull’ azienda americana Drs, recentemente acquistata da Finmeccanica, con inevitabili reazioni da oltreatlantico. Dei lavori per l’ autostrada dovrebbe beneficiare principalmente Impregilo, società di costruzioni presente da quarant’ anni in Libia. Per il resto tutto bloccato, probabilmente a causa dei dissidi famigliari interni alla famiglia Gheddafi, dicono fonti bene informate. Dopo la sconfessione di Saif, il secondogenito della seconda moglie del colonnello che pareva destinato alla successione, l’ incertezza regna sovrana e finché questo punto non sarà risolto gli investimenti libici all’ estero rischiano di rimanere paralizzati. A parte qualche immobile a Londra o a Parigi.