Marco Ferrante, il Riformista 26/09/2009, 26 settembre 2009
LA LUNGA STORIA DI INTESA CHI STA CON PASSERA E CHI NO
LA QUESTIONE DEL DOPPIO DG
La partita per Intesa Sanpaolo, sarà una delle storie di un anno di profondo assestamento nel sistema economico e finanziario italiano. Gli equilibri scaturiti con la conclusione delle due Opa bancarie del 2005 e il tentativo di scalata a Rcs da parte di Stefano Ricucci, non sono più rappresentativi dell’evoluzione degli ultimi quattro anni. Molte cose sono cambiate.
Siamo ancora alle prese con i cascami di una enorme crisi finanziaria che anche da noi ha ridimensionato il ruolo delle banche, decisive in questi assetti.
Non c’è più Romano Prodi, con le conseguenze della sua uscita di scena nel rapporto con le imprese partecipate dallo stato e con il sistema bancario (per esempio l’asse con Giovanni Bazoli).
Inoltre, Silvio Berlusconi si è da una parte rinforzato con una netta vittoria elettorale alle politiche del 2008, ma dall’altra parte la sua immagine è stata indebolita dalle vicende cominciate con il caso Noemi.
Non c’è più Antonio Fazio, che aveva governato il consolidamento bancario, e c’è Mario Draghi, sostenuto dall’establishment internazionale per la sostituzione di Trichet alla guida della Bce.
emerso l’astro di un giocatore molto agguerrito in quel delicato terreno al confine tra politica ed economia che si chiama Giulio Tremonti.
E infine, si assestano naturalmente - per il solo trascorrere del tempo - gli equilibri specifici, il peso di singoli uomini, aziende e istituzioni. Per esempio matura uno scontro tra Mediaset e Sky, si consuma una dialettica tra la Confindustria guidata da Emma Marcegaglia e le aziende energetiche, soprattutto l’Eni di Paolo Scaroni, si rafforza la posizione di un imprenditore liquido, Francesco Gaetano Caltagirone, che grazie ai guadagni nei materiali per le costruzioni si irrobustisce nell’editoria e nelle partecipazioni finanziarie strategiche.
Su questo sfondo vanno collocate le tensioni che investono anche la prima banca italiana Intesa Sanpaolo (soggetto chiave in molte partite visto che è azionista di Rcs, Telecom, Generali, Alitalia eccetera), che ad aprile dovrà rinnovare i suoi vertici.
Si è parlato molto in questi giorni del dossier Intesa Sanpaolo anche a causa di due articoli comparsi sul Corriere della Sera, firmati da uno degli uomini di punta del quotidiano di via Solferino, Massimo Mucchetti. Hanno messo in relazione il futuro della banca, tra i principali azionisti del Corriere con il 5 per cento, con quello della Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, azionista di controllo della Fiat, che è a sua volta il secondo azionista del Corriere con il 10,5 per cento. Exor, che ha un miliardo di liquidità, si è candidata all’acquisto di Fideuram, rete di risparmio gestito che Intesa potrebbe mettere sul mercato. Gli articoli facevano notare che mentre la Fiat chiede incentivi pubblici con il suo a.d. Sergio Marchionne, il suo azionista di riferimento invece di capitalizzare la società controllata cerca di diversificare nella finanza. Una osservazione insidiosa per Exor, già alle prese con una battaglia legale per l’eredità Agnelli e con la gestione del ruolo di azionista della Fiat contestata dalla piccola impresa a causa del sostegno pubblico alla rottamazione: ancora ieri Libero riportava in prima pagina una inchiesta tra gli imprenditori veneti dal titolo «Basta aiuti alla Fiat, o sarà sciopero fiscale».
Ma l’aspetto pù interessante dei due articoli del Corriere riguarda le tensioni nel sistema Intesa, dove almeno uno degli azionisti, peraltro il primo, la Compagnia Sanpaolo (7,6 per cento del capitale) guidata da Angelo Benessia spinge per il ridimensionamento del potere del capo esecutivo dell’azienda Corrado Passera.
Che cosa potrebbe succedere in Intesa Sanpaolo? Ovviamente è ancora presto per capire. Bisognerà aspettare le reazioni all’attivismo torinese degli altri grandi azionisti della banca. Per ora le altre fondazioni, Cariplo, Firenze, Bologna, Padova e Rovigo - che valgono circa un altro 15 per cento del capitale della banca - non esprimono orientamenti. Non sono legate da un patto, qualcuno dice che potrebbero essere influenzate da Giulio Tremonti, il quale vuole indebolire Passera che considera il suo principale avversario (è stato Passera ad attaccare ancora due giorni fa la politica economica del Governo), ma in realtà dialogano innanzitutto con Bazoli, molto legato da un rapporto storico con il capo di Cariplo, e presidente dell’associazione che riunisce tutte le fondazioni italiane, Giuseppe Guzzetti. I fondi d’investimento che nel complesso dovrebbero contare oltre il 30 del capitale - ma non tutti partecipano alle assemblee - sono dalla parte di Passera. Con Credit Agricole, invece, (5,4 per cento del capitale) c’è stata qualche frizione, e si vedrà. Le assicurazioni Generali (5 per cento) per ora stanno a guardare. L’orientamento della compagnia dipenderà dal management, e dall’azionista di riferimento, Mediobanca, il cui presidente Cesare Geronzi cercherà una posizione di stabilizzazione attiva: deve tenere conto dell’interesse di mercato del gruppo triestino, e poi dei suoi ottimi rapporti con Bazoli e di una fluidità raggiunta con Tremonti.
Quanto agli equilibri al vertice di Intesa sono complicati da tempo, a causa della difficile relazione tra Passera e Giovanni Bazoli - il federatore della banca che negli anni ha fatto di Intesa quello che è, mettendo insieme il banco Ambrosiano, la Cattolica del Veneto, poi la Comit e infine Sanpaolo Imi. Il consigliere delegato è stato troppo indipendente per Bazoli, come hanno dimostrato il caso Alitalia, in cui ha soccorso il governo Berlusconi, e il caso Risanamento. Ma un punto di mediazione, come ha scritto Mucchetti, potrebbe essere la nomina di un direttore generale, di indicazione torinese che dovrebbe limitare il potere dell’attuale dg, che è anche il capo della rete retail ed è un fedelissimo di Passera, Francesco Micheli. Difficile, dicono quelli che lo conoscono, che Passera accetti un ridimensionamento di Micheli. Si potrebbe tornare - qualcuno pensa - a una doppia direzione generale, come nella prima fase della fusione. Ma i tempi per una soluzione del genere non sarebbero brevissimi.
La seconda questione riguarda le conseguenze di una pax di questo genere. C’è un piano di dismissioni di partecipazioni e asset da parte di Intesa. Passera precisa che le dismissioni non hanno a che fare con la necessità di rafforzare la patrimonializzazione, in questo momento, della banca. Però è ovvio un nesso sostanziale. Del resto, per irrobustire il suo patrimonio Intesa ha tre strade davanti a sé. I Tremonti bond, che Passera non vuole perché sarebbero un cavallo di Troia favorevole al Tesoro, l’aumento di capitale (che non piacerebbe alle fondazioni) oppure le cessioni, Fideuram indiziata numero uno. Deciderà il consiglio di gestione, sentito Passera. La decisione non investe solo la banca, ma ha un risvolto politico.
Anche Unicredit dovrà scegliere una strada, probabilmente l’aumento di capitale. Formalmente la decisione da prendere alla fine del mese riguarda il rafforzamento dei patrimoni bancari, indeboliti dalla crisi e dai vincoli contabili di Basilea2, molto restrittivi per tutte le banche. Ma in realtà la decisione riguarderà il futuro dei rapporti tra le grandi banche e il Tesoro (se Intesa e anche Unicredit dovessero rifiutare i Tremonti bond, sarebbe uno stop al tentativo espansionistico del ministro dell’Economia sulle banche), ma anche con le fondazioni e il loro territorio, e con gli altri azionisti.