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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

GIANLUCA DI FEO PER L’ESPRESSO 1 OTTOBRE 2009

Una missione milionaria Erano stati previsti 1.350 milioni. Ma questa cifra potrebbe non bastare. Ecco il bilancio nascosto delle spedizioni militari

Quota 4 mila. Per una decina di giorni Silvio Berlusconi e i suoi consiglieri si erano entusiasmati per questo numero magico, che avrebbe aperto al premier le porte della Casa Bianca: 4 mila soldati italiani da schierare in Afghanistan. Una spedizione record, che avrebbe preso in carico dalla prossima primavera tutta la regione occidentale, quella già affidata al nostro comando. Il cadeau perfetto per convincere Barack Obama sulla credibilità di Palazzo Chigi, scacciando con la forza delle armi l’incubo di escort e barzellette gaffeur.
L’ipotesi - mai ufficializzata - aveva trovato consistenza dopo il summit con Zapatero: avremmo ceduto agli spagnoli la guida delle operazioni in Libano, un’area sempre più lontana dalla nostra debole politica estera, per concentrarci sulle montagne afghane. Una opzione molto gradita a Madrid, che vede con insofferenza l’evoluzione bellica imposta dagli americani a Kabul: le azioni dei fanti spagnoli sono sempre più ridotte e anche la convivenza con la Folgore a Herat è diventata gelida, con due accampamenti molto separati all’interno della stessa base. Meno caschi blu italiani sul confine israeliano, molti più commandos nel Paese dove si decide il futuro prossimo della presidenza statunitense. E con dotazioni più agguerrite: jet Amx con tutto il loro armamentario di bombe ad alta precisione, mezzi più corazzati come le blindo Freccia, più cingolati Dardo, più elicotteri.
Quattromila uomini, appunto: qualche centinaio più dell’attuale maxischieramento elettorale, con un’unità di carabinieri per istruire i gendarmi locali. Poi la strage di Kabul, con la morte di sei parà nel giovedì nero della Nato che ha visto contare otto caduti occidentali nella sola capitale, ha dissolto il "Piano Quattromila". Mettendo in crisi tra dichiarazioni di Umberto Bossi e mezzi annunci di Berlusconi anche la credibilità delle nostre ambizioni internazionali. Mentre nelle Forze armate ci si interroga su un altro problema: come fare a trovare i fondi per mandare avanti le missioni? I contingenti bruciano parecchi più soldi di quelli stanziati dal Parlamento e ogni Stato maggiore tira avanti tagliando altre attività per garantire il necessario alle truppe che rischiano la vita. Oltre al dolore per i commilitoni caduti a Kabul, oltre ai pericoli quotidiani delle gole afghane, oltre alle difficoltà di passare mesi a migliaia di chilometri da casa, questa è l’altra "sofferenza" che affligge i militari italiani. E che rende persino difficile capire quanto il nostro Paese stia spendendo per la politica di potenza fatta con le spedizioni armate.
Nessuno riesce a fare stime, ma alla fine del 2009 per mantenere i contingenti con la bandiera tricolore sparsi dalla Bosnia al Congo servirà molto più dei 1.350 milioni preventivati. Quanti? Nessuno riesce ancora a valutarlo, ma c’è il rischio che si superino i 1.700 milioni: una stima complessiva arriva a formulare un costo di 2 miliardi di euro, gran parte dei quali divorati dalla lotta ai talebani.
Per l’Afghanistan nei primi sei mesi del 2009 sono stati messi a disposizione 244 milioni e la somma è poi passata a 213 milioni per i soli quattro mesi caldi del periodo elettorale. Ma di denaro ne è già stato speso molto di più. Finora infatti le forze armate hanno potuto attingere da una riserva speciale - chiamata "Fondo di mantenimento" - che ha garantito circa 330 milioni extra. Neanche questa scorta ha però soddisfatto le necessità di una guerra, dove carburante, munizioni e veicoli vengono consumati con una velocità impressionante. Ogni rimpiazzo, ogni pezzo di ricambio, ogni cassa di proiettili deve essere trasportata in volo, con un ponte aereo che va dall’Italia agli Emirati Arabi, per poi proseguire aggirando l’Iran e attraversando il Pakistan lungo un’autostrada dei cieli con due corsie sempre affollate di quadrimotori della Nato. Per una pallottola da consegnare a Herat ci sono costi colossali. E di caricatori negli scontri combattuti da maggio a oggi i parà ne hanno vuotati "quantità notevoli", come si limitano a dire dal comando.
Per avere un’idea della differenza tra i finanziamenti votati in Parlamento e i costi reali delle missioni basta esaminare i dati del 2008. L’esercito ha ottenuto 655 milioni di euro e ne ha spesi 205 in più: il budget è stato sforato di oltre il 30 per cento, tagliando tutto il possibile in patria dai corsi agli alloggi, dalle esercitazioni alla manutenzione. I bilanci della Difesa sembrano ancora ignorare la realtà: l’Italia fa politica estera soprattutto con i soldati, le navi e gli aerei. Ma il peso di questo impegno scompare dalla contabilità dello Stato.
Gli stanziamenti varati dalle Camere coprono gli stipendi; garantiscono gasolio, tende e vettovaglie. Dimenticano invece una questione fondamentale per chi deve addestrare uomini a combattere in contesti estremi, insegnargli a coordinarsi in strutture internazionali e garantire mezzi sempre in condizioni perfette: tutto quello che viene definito "oneri di approntamento". Cosa significa? Ad esempio per preparare piloti e tecnici dei caccia Amx l’Aeronautica ha tirato fuori i soldi annullando altre attività. Ci sono poi le basi logistiche: nei prossimi mesi l’Italia dovrà lasciare gli hangar di Al Bateen ad Abu Dhabi e creare un nuovo terminal dei voli verso l’Afghanistan in Dubai.
In pratica, bisognerà riorganizzare tutto. E da quando l’Italia è scesa in campo nella guerra al terrorismo, dal nostro scalo negli Emirati sono già transitati oltre 155 mila militari: un numero che fa comprendere la vastità dell’impegno.