Ettore Livini, la Repubblica 28/09/2009, 28 settembre 2009
NON HO PIU’ IL LAVORO"
La mappa della crisi in 5000 lettere
Le banche hanno ripreso a macinare utili e bonus. Il G-20 e i dati macroeconomici ci annunciano che il peggio della recessione (facendo i debiti scongiuri) è ormai alle spalle. Bilanci e statistiche però sono solamente un volto dello tsunami che ha travolto il mondo negli ultimi due anni. L´altra faccia della crisi - come raccontano le oltre 5mila testimonianze raccolte su www.repubblica.it - è il dramma delle oltre 580mila persone che hanno perso il lavoro in Italia nel primo semestre dell´anno. O che rischiano di perderlo nei prossimi mesi. Una marea che (purtroppo) continua a montare, come si può intuire da questa pioggia di e-mail, un muro del pianto online che disegna il ritratto trasversale di una società tricolore sempre più "liquida", dove la congiuntura negativa non ha risparmiato davvero nessuno.
I licenziamenti di massa di una volta, dicono le lettere arrivate sul sito, sono una categoria da archeologia industriale. La via crucis dei lavoratori del Belpaese oggi è uno stillicidio di piccole grandi tragedie dove i vecchi steccati sociali sono saltati. Scrivono i dipendenti rimasti senza stipendio ma anche i datori di lavoro («i ricavi della mia azienda di intimo sono crollati del 60% - si sfoga il titolare della mantovana Project Five - . Dieci impiegati su 16 sono in cassa e se non arrivano ordini a fine anno deve chiudere»).
Saltano i contratti a termine (229mila solo nel secondo trimestre) e i Cococo (-65mila). Mentre i 500mila italiani in cassa integrazione lo scorso luglio aspettano con il fiato sospeso di capire se riusciranno a salvare il posto in vista di un autunno che - letto nella sfera di cristallo delle testimonianze personali - rischia di essere più duro della prima metà dell´anno.
Questa Spoon River del lavoro tricolore è il ritratto di un mercato dove a sparire non sono solo le antiche categorie sociali. La mappa del disagio è rivoluzionata anche sulla carta geografica e a livello anagrafico. Si licenzia al sud ma anche, più che in passato, al nord. Chiudono le start-up dell´information technology in Campania come i centri ricerca della Nokia Siemens in Lombardia («a Helsinki hanno deciso di trasferirli in paesi a costo minore»). Abbassano le saracinesche i negozi («dopo 25 anni, di cui gli ultimi due in rosso, ho pagato 7.500 euro per le pratiche» si lamenta il titolare del Punto foto music di Pordenone) e soffre il popolo delle partite Iva («sono un pre-cococo che si è messo in proprio e che ora, stretto tra clienti morosi e banche indifferenti è senza lavoro», racconta una testimonianza da Torino).
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha provato a vedere il bicchiere mezzo pieno: «L´impatto della crisi sul mondo del lavoro è inferiore in Italia rispetto agli altri paesi», ha detto commentando una disoccupazione salita a giugno 2009 al 7,4% (contro l´8,8% della media Ue-15 e il 9,7% degli Usa). Ma il merito è anche del fatto che molti giovani e molte donne hanno alzato bandiera bianca, rinunciando dopo mesi di vani tentativi a cercare un lavoro.
Il dramma, come raccontano le lettere a Repubblica, si consuma a tutti i livelli generazionali. Faticano i giovani, come un trentenne insegnante di Serravalle Scrivia («laureato con 110 e lode in lettere», annota con orgoglio), che vedono andare in fumo le promesse d´assunzione. Si sentono al capolinea i 45-50enni come l´ex promotore napoletano Ciro Chiaro - oggi senza lavoro con moglie e tre figli a carico - che scoprono di essere già «troppo vecchi» per trovare un posto nuovo, spiazzati dalla concorrenza «di giovani da torchiare cui lavare il cervello».
Come in un reality del lavoro - malauguratamente davvero reale - le esperienze raccolte dal sito sono la fotografia del meglio e del peggio del paese. Sul fronte delle relazioni industriali e a livello umano. C´è la «padrona meravigliosa» (copyright di un dipendente della Facchini Francesco di Brescia) che aggiorna ogni settimana i suoi operai sullo stato della crisi e fa di tutto per salvare i posti. Ma c´è anche la dipendente della Bunge Italia cui dopo la maternità è stato comunicato il trasferimento da Roma a Ravenna e che oggi è in mobilità con un figlio di 9 mesi. Ci sono gli operai della Lasme 2 a Potenza (indotto Fiat) cui i tagli sono stati annunciati mentre erano in ferie.
E (poteva mancare?) c´è il tradizionale armamentario della furbizia tricolore: un campionario di finanza creativa, si fa per dire, che va dagli imprenditori che liquidano un´azienda per farla rinascere con un taglio agli organici (come accusano i dipendenti di un´azienda di trasporti milanese) alle società che fanno shopping di realtà decotte e poi lasciano i dipendenti senza stipendio per mesi trasferendoli a nuove misteriose Srl, come denunciano all´Eutelia.
C´è di tutto insomma. La disperazione di chi, pur senza aver letto la grande stampa economica anglosassone, capisce da solo, che «l´aumento della disoccupazione è un fenomeno destinato a durare a lungo termine» come ha ammesso il Fondo monetario internazionale. Come dire che le aziende, i cui conti stanno già migliorando, si rimetteranno in piedi molto prima dei loro (ex) dipendenti. C´è l´orgoglio del titolare delle Officine Cb di Firenze («-55% di fatturato quest´anno», scrive a Repubblica) che ammette di «aver paura» ma che non si è «mai abbattuto».
La somma di queste 5mila storie è la foto di un´Italia che rischia (o è già) rimasta indietro. E che in molti casi fatica a far quadrare il bilancio di casa malgrado i "presunti" ammortizzatori sociali. L´identikit di un paese che con i guasti sociali, economici ed emotivi aperti da questa crisi dovrà fare i conti ancora a lungo. Anche perché al di là di tanti ottimismi di facciata questi racconti suggeriscono che la svolta non è dietro l´angolo. «Sono un giovane imprenditore di Reggio Emilia che lavora nella meccanica e si sta interrogando sugli effetti della crisi - racconta il "padrone", si sarebbe detto una volta, della Nuova Eurorampe - Le grandi aziende del mio territorio sono ferme, l´indotto di piccole soffre d´asfissia e chiuderà o ridimensionerà il personale entro fine anno. La luce in fondo al tunnel di cui molti parlano qui non è ancora arrivata…». Tutti, di cuore, sperano si sbagli.