Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 28 Lunedì calendario

INTRIGHI E COLPI DI GENIO COME SI VINCONO I GIOCHI


Il conto dei voti non torna mai, la storia delle candidate alle Olimpiadi dimostra che non esistono favorite e il sostegno balla fino all’ultimo. Venerdì, a Copenaghen, il Cio assegna i Giochi del 2016: una corsa a quattro dove ogni sgambetto è ancora possibile e Rio, Chicago, Tokyo e Madrid ormai possono solo studiare il passato per capire quali mosse portano al successo e quali gaffe condannano una città.
Non c’è sempre stata competizione, negli Anni Settanta e Ottanta le contendenti sono timide e le decisioni logiche: ad Amsterdam nel 1970 regalano l’edizione 1976 a Montréal per evitare uno scontro tra Russia e America. La guerra fredda è il solo argomento sul tavolo e gli stadi, l’appoggio dei cittadini, le infrastrutture solo dettagli. Pesa la paura dei boicottaggi, degli attacchi terroristici, non ci sono presidenti a sgomitare per il ruolo dell’eroe che porta a casa i cinque cerchi ma piani di sicurezza. Grigie riunioni in cui anticipare i possibili danni e abbassare i rischi al minimo. In questo scenario le due superpotenze si prendono un’edizione a testa e in entrambi i casi si presentano praticamente da sole, il mondo è diviso in due e nessuno osa intromettersi. 1980 a Mosca e 1984 a Los Angeles e lì, oltre al pareggio che finalmente leva di mezzo l’ansia politica, si muove qualcosa. Gli Usa ci guadagnano. Incassano con immagine, turismo e merchandising: sono anni d’oro in cui esserci è essenziale, partono campagne pubblicitarie e si vedono intere collezioni dedicate all’evento. Arrivano gli sponsor e la candidatura si trasforma in una fatto economico, il prestigio sullo sfondo e il dossier sui delegati Cio, quelli che votano, in primo piano. Chiunque si presenti conosce a memoria gusti e opinioni degli elettori. l’inizio del mercanteggio.
Si parte con le lusinghe, attenzioni che confinano con il lecito e costose cene omaggio in cui spiegare perché i prossimi Giochi saranno unici. Seul ottiene così il 1988, impatto mostruoso, coccole a chiunque abbia potere e una parola con cui solleticare il futuro: tecnologia. L’Australia parte da lontano: presenta una città fantasma alla corsa per il 1992 e butta nell’urna il nome di Brisbane sapendo di non avere possibilità. Ripete il giochetto con Melbourne 1996 e stavolta il progetto esiste ma è costruito per stare sulla carta ed essere sconfitto e rivendicato. Così nel 2000 non c’è storia, è Sydney la città prescelta altrimenti diventerebbe discriminazione verso un intero continente e la volata lunga è bagnata da casse di vino pregiato che volano a casa dei votanti. Atlanta scippa l’Olimpiade del centenario, quella del 1996, ad Atene con i soldi della Coca-Cola e lì scatta la catena del risarcimento. I greci saltano un giro offesi e indignati e quando si riaffacciano per il 2004 non importa che Roma abbia il favore di tutti e fascino da vendere, non c’è competizione: Atene batte Roma 66-41. In mezzo lo scandalo e la rivoluzione perché nel 1998, quando in ballo ci sono i Giochi invernali del 2002, la compravendita supera il livello di guardia.
Salt Lake è in debito, si è presentata quattro volte e ne è uscita sempre malconcia. I vari comitati perdono la pazienza: denunciano pubblicamente Nagano (che ha stravinto l’edizione 1998) per mazzette e lussi gratis: «Abbiamo fallito perché il Giappone ha organizzato cene migliori» e invece di ritirarsi decidono di copiare. Anzi vanno oltre. Pagano interventi di chirurgia plastica alle mogli dei membri Cio, finanziano gli studi dei figli nei migliori college americani, riempiono di regali stanze d’albergo prenotate per chi controlla lo stato dei lavori. Qualcuno denuncia, altri intascano e Salt Lake ottiene quel che vuole. Solo che non tutti hanno un prezzo. Mark Hodler, delegato svizzero, chiede un’indagine. Si va per le lunghe e non si può cambiare città. Escono prove, confessioni e ritrattazioni fino a che, a Giochi fatti, il boss del comitato organizzatore resta coinvolto in uno scandalo privato. un politico mormone e non può permettersi pubblicità su presunte amanti, così sposta l’attenzione e urla che il mondo è corrotto raccontando tutta la storia. Dieci membri del Cio vengono espulsi, altri multati, emergono storie losche e cifre pesanti sugli assegni destinati a chi ha deciso il passato. Cambiano le regole. Vietato parlare in privato con chi ha diritto al voto, gli ispettori che devono valutare le candidate vengono presi fuori dal Cio e il solo punto di contatto consentito diventano le hall degli alberghi che ospitano mezzo mondo il giorno prima delle elezioni. Solo a Copenaghen i lobbisti che stanno dietro ogni città potranno incontrare, per caso e di fretta, chi ha in mano il loro futuro.
Con queste conversazioni lampo, che non si basano più su regali a venire, Blair riesce a cambiare il pronostico. Nel 2005, a Singapore, si sistemano i Giochi del 2012, Parigi è favorita, quasi certa della vittoria e Londra sta molto dietro. Solo che Chirac arriva in ritardo, schifa la campagna elettorale sportiva e nel discorso ufficiale dice: «Dopo la Finlandia, l’Inghilterra è il posto dove si mangia peggio». Battuta infelice, molti la trovano poco elegante e in più la Finlandia ha due delegati in sala e la Francia perde per tre voti.
I presidenti e capi di governo che andranno in Danimarca questa settimana si sono preparati. Niente satira al congresso, quella al massimo può stare dietro le quinte e non deve essere collegabile a nessuno dei protagonisti della candidatura. L’America ha già tirato il suo colpo basso. Nell’ottava stagione di «Law & Order Crime Investigation», appena andata in onda, c’è un episodio intitolato «The glory that was», la trama gira intorno alla realtà. Il Brasile è in gara per avere i Giochi e degli industriali, all’insaputa di chi comanda, si comprano il delegato belga che appena corrotto viene trovato morto. Rio si è infuriata e anche Jacques Rogge, gran capo del Cio e presidente proprio del comitato belga, non ha gradito. Ma i buontemponi stanno a Hollywood e al ballottaggio ci va Chicago. La distanza è sufficiente, il galateo olimpico rispettato e a questo punto solo quello conta.