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 2009  settembre 28 Lunedì calendario

LA GIOVANE PAVAROTTI SI METTE ALL’OPERA


Con molta emozione, Cristina Pavarotti, figlia di Luciano, si prepara a debuttare come librettista d’opera nel teatro intitolato al padre, il Comunale di Modena. La musica, ovviamente, ha sempre aleggiato nella sua vita: perché è figlia di tanto padre ma anche per una passione personale, che l’ha portata a laurearsi al Dams con una tesi su L’immagine del bambino nel melodramma dal 1600 al XX secolo: «Mi sono dovuta leggere 2.500 libretti», sospira. Opera sempre, nella vita di Cristina: a casa, all’università e dietro le quinte fin da giovanissima, quando Big Luciano nell’insolito ruolo di regista la volle al suo fianco come assistente per La favorita alla Fenice. Ora tocca a lei – secondogenita delle tre figlie del primo matrimonio del tenorissimo, quello con Adua Veroni -, firmare un’opera come librettista. Lo spettacolo, in scena il 15 e il 17 novembre, s’intitola Il sequestro ed è ispirato a una novella delle Mille è una notte.
Ma l’adattamento è moderno, anzi, modernissimo: «Parla del rapimento di tre donne da parte di un misterioso sequestratore, che si rivelerà poi essere un personaggio assoldato dalla tivù per creare un evento che faccia notizia – racconta Cristina -. un paradosso che si riferisce al meccanismo dei reality show. Le protagoniste sono di tre nazionalità e condizioni sociali molto diverse: una serba che fa l’imprenditrice ed è sposata con un uomo ricco, una marocchina che lavora come colf e una ragazza spagnola, attivista no global».
Come le è venuta l’idea di scrivere un libretto?
«Tutto è nato dalla proposta di un mio amico compositore, lo spagnolo Alberto Garcia Demestres, per il quale avevo già curato la regia di un’opera in catalano nel ”97, A prima’t en tres dias, ”Dimagrire in tre giorni”. Scrivendo Il sequestro ci interessava raccontare i paradossi della tivù. Nello spettacolo c’è l’elemento della cultura di appartenenza delle tre donne, oltre che della collaborazione fra loro. Inizialmente l’opera era stata concepita per i ragazzi, poi si è trasformata in qualcos’altro, anche perché l’attualità dei temi trattati ha determinato il ricorso a un linguaggio crudo e a un certo turpiloquio: ci sono molte parolacce».
Che importanza ha avuto nella scelta il fatto di essere figlia di Luciano Pavarotti?
«Naturalmente ho confidenza con l’opera, in vita mia ho lavorato come assistente alla regia e la prima esperienza l’ho fatta proprio con mio padre, a Venezia. stato lui che mi ha fatto studiare il pianoforte, permettendomi d’imparare a leggere la musica. La leggo male ma la leggo ed è fondamentale per questo lavoro. Per il resto, però, ho sempre cercato di lavorare lontano, e mi piace la musica di Garcia Demestres. Scrivere un libretto è molto difficile, devi avere sempre presente il tono emotivo e la struttura della musica».
Che effetto le fa debuttare nel teatro intitolato a suo padre?
«Sono molto curiosa dell’effetto che lo spettacolo avrà sul pubblico, ma anche molto emozionata. In un certo senso avrei preferito debuttare altrove, perché chi come me si trova a lavorare nello stesso ambito in cui un genitore è celebre vuole tenere ben distinta la propria strada. Per il resto, aspetto di scoprire se il testo che ho scritto è comprensibile per il pubblico, se gli arriva con efficacia: si passa dalla situazione drammatica a un’ironia molto surreale. Sono veramente curiosa».