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 2009  settembre 28 Lunedì calendario

COSI’ AHMADINEJAD E’ RITORNATO IN SELLA"


Dove puntano i missili lanciati ieri dai pasdaran in assetto di guerra? Secondo Scott Lucas, docente di studi americani all’università di Birmingham e fondatore del sito di analisi geopolitica Enduring America, il vero obiettivo delle grandi manovre di Teheran è ridimensionare l’opposizione interna: «Mentre l’Occidente reagisce alla provocazione militare di Ahmadinejad, lui combatte la battaglia definitiva per la propria legittimità nazionale». I missili, insomma, servirebbero al leader iraniano per accreditarsi il potere che le elezioni di giugno hanno messo in discussione. Esattamente come il rilancio della minaccia nucleare.
Perché un’esercitazione bellica proprio ora?
«L’Iran si prepara all’appuntamento di giovedì a Ginevra e vuole arrivarci con la faccia più dura possibile. Rivelando il secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio aveva detto di accettare la visita degli ispettori, 24 ore dopo ha precisato di non aver fatto nulla di male, ora spara. Teheran non può permettersi di snobbare i negoziati ma vuole arrivarci forte».
Oggi i pasdaran testeranno lo Shahab 3, un vettore più potente capace potenzialmente di raggiungere Israele.
«Non credo che le intelligence siano preoccupate, sono armi senza valore. la tempistica che conta. Ahmadinejad vuol farsi pubblicità e l’Occidente è caduto nella trappola. L’Iran al momento non sta violando il trattato di non proliferazione secondo cui l’impianto va dichiarato sei mesi prima che riceva l’uranio. Gli americani ritengono che ci vorrà ancora un anno. La clausola che permette all’Aiea di ispezionare le strutture inoltre non è mai stata ratificata dal parlamento iraniano ma accettata su base volontaria tra il 2003 e il 2007. Nessuna infrazione dunque. Ma enfatizzando la sfida di Ahmadinejad all’Onu, i media gli hanno reso statura politica, quella che il voto gli aveva tolto».
Il presidente iraniano parla al mondo perché il suo Paese senta?
«Sì. E i media americani hanno abboccato. A New York Ahmadinejad ha portato tutti sul terreno del nucleare riuscendo a distogliere l’attenzione dai problemi interni. Ha rilasciato 5 interviste che l’hanno accreditato come leader, ha usato la minaccia nucleare per stabilizzare la sua legittimità in patria dove l’opposizione è tutt’altro che domata».
 possibile che riesca anche a ricompattare gli iraniani facendo leva su possibili nuove sanzioni?
«Stavolta no. Due anni fa la manovra riuscì, ma dopo il voto di giugno l’orgoglio nazionale non è più un punto di forza per Ahmadinejad: tutti i candidati alle elezioni erano favorevoli al nucleare. Gli iraniani hanno capito che il presidente sta usando la scusa della sovranità in pericolo per proteggere se stesso».
Come giudica la strategia del presidente Obama?
«La Casa Bianca sapeva da tempo del nuovo impianto di Qom. Perché denunciarlo ora? Obama aspettava il momento adatto per aumentare la pressione sul governo iraniano che però deve averlo capito e ha parlato prima d’essere smascherato. L’amministrazione Usa è spaccata. Alcuni sostengono sinceramente la via diplomatica, altri ritengono impossibile il dialogo e premono per l’azione militare. Obama gioca su entrambi i tavoli. La sua strategia è buona, ma la tattica soffre delle divisioni. L’Iran è una pedina fondamentale: se fosse attaccato il Medio Oriente sarebbe perso. Senza contare il suo ruolo in Afghanistan, l’America non può prescinderne. Per questo Richard Holbrooke insiste per i negoziati».
Immagini uno scenario da qui a un anno, ottobre 2010.
«Premesso che a Ginevra si risolverà tutto in una discussione generale, sul nucleare, tra un anno, staremo come oggi. Israele non avrà bombardato i reattori iraniani, perché sa che perderebbe l’appoggio di Washington nella questione palestinese e sarebbe sciocco. L’incognita è l’Iran: l’opposizione ad Ahmadinejad è forte e sta facendo cose importanti».