Marion van Renterghem , La Stampa 27/9/2009, 27 settembre 2009
Joschka Fischer, 61 anni, è stato vicecancelliere e ministro degli Esteri per i Verdi nei due governi Schroeder
Joschka Fischer, 61 anni, è stato vicecancelliere e ministro degli Esteri per i Verdi nei due governi Schroeder. Ha rotto con il pacifismo per appoggiare l’intervento militar-umanitario nei Balcani e in Afghanistan e oggi, dopo il ritiro dalla politica, fa il consigliere d’industria. Quali sono le caratteristiche di questa campagna elettorale? « stata noiosa, e per due ragioni. La prima è che i due candidati, Merkel e Steinmeier, sono dei tecnocrati più che dei dirigenti politici. Entrambi sarebbero perfetti alla Commissione a Bruxelles: bravissimi nei compromessi, ma senza strategia. Angela Merkel non governa davvero, non corre dei rischi: l’ha fatto nel 2005, quand’era capo dell’opposizione, e si è quasi suicidata con il suo programma esplicitamente neoliberale. Da allora ha eliminato qualunque audacia e si è sempre adeguata al pensiero dominante. Non è quello che io chiamo leadership». E la seconda ragione di tanta noia? «Il fatto che non si riesca a uscire dalla Grande Coalizione. La Germania è in piena transizione politica. Con l’emergere della sinistra radicale, la Linke, siamo passati da un sistema a quattro partiti a uno a cinque. una trasformazione sostanziale, perché le ”piccole coalizioni”, formate da un partito grande e uno piccolo, saranno sempre più l’eccezione e non la regola». La crisi ha mostrato, in Germania come in Europa, la debolezza non solo dei partiti socialdemocratici, ma anche di un pensiero socialdemocratico? «La sinistra non è in forma, ma la socialdemocrazia è reale. Sanità per tutti, pensioni per tutti, sicurezza sociale per tutti, salari minimi, istruzione gratuita ... questa è socialdemocrazia! E in più la libertà individuale garantita dallo Stato di diritto». Che obiettivi dovrebbero avere oggi i partiti progressisti? «Il problema è che siamo in una grave crisi, e non è l’ultima. Viviamo sotto la minaccia del cambiamento climatico, di un enorme cambiamento demografico con il conseguente problema dell’immigrazione. Un ventaglio di sfide che non vengono veramente raccolte dal sistema politico, a destra come a sinistra. Molte parole, ma nessuna riforma sostanziale. I Verdi hanno preso coscienza dalla sfida ambientale. Una sinistra più tradizionale, come la Linke, vuole tornare agli Anni 70: non parla di invecchiamento della popolazione, che sarà la grande sfida per le pensioni e la sanità. Quanto alla globalizzazione, la sinistra si è occupata dell’anti-imperialismo, ma non pensava al mondo in via di sviluppo. I lavoratori del mondo industrializzato avevano il monopolio. La globalizzazione ha cambiato tutto questo. E poi c’è l’Europa. Non esiste una posizione europea comune dei partiti progressisti. Come negoziare, oggi, a livello sindacale, con un’impresa come General Motors? I sindacati non sanno gestire queste nuove sfide. Ognuno guarda in casa sua». L’intervento militare tedesco in Kosovo, che lei ha appoggiato, è stato un evento nella storia del vostro dopoguerra. La piega che sta prendendo la situazione in Afghanistan vi ha fatto ripensare i limiti dell’intervento militare? «L’Afghanistan è stato la prima vittima di quella folle idea che era la guerra in Iraq. Il vero errore della Nato è quello di non aver sviluppato negli anni una nuova strategia. Gli Usa hanno perseguito troppo a lungo una politica di bombardamenti. Più che lasciare l’Afghanistan, occorre ridefinire una strategia politica. E l’Europa deve agire in funzione dei suoi interessi strategici. Invece stiamo alienandoci la Turchia respingendola dall’Ue». Copyright Le Monde Stampa Articolo