Marcello Sorgi, La Stampa 27/9/2009, 27 settembre 2009
Una distesa di capelli bianchi, bastoni, stampelle, gli abiti lisi e le teste incanutite dei vecchi compagni, raccolti a fatica ad Alexanderplatz, il luogo simbolico della protesta da dove vent’anni fa partì l’ondata che abbatté il Muro
Una distesa di capelli bianchi, bastoni, stampelle, gli abiti lisi e le teste incanutite dei vecchi compagni, raccolti a fatica ad Alexanderplatz, il luogo simbolico della protesta da dove vent’anni fa partì l’ondata che abbatté il Muro. L’incubo del voto di protesta, in fuga verso le estreme, tormenta le ultime ore di campagna elettorale. Per molti è giustificato: sempre le grandi coalizioni danno la sensazione di un abbraccio soffocante a una parte degli elettori, spingendoli verso una fuoruscita dai loro recinti. Per Angela Merkel, il timore ha il volto e il sorriso pieno di energia di Guido Westerwelle, il leader dei liberali che tutti i sondaggi danno per favorito e che se n’è andato a fare il suo ultimo comizio lontano da Berlino, a Colonia. Per Frank-Walter Steinmeier l’ombra che si allunga è quella del «traditore» Oskar Lafontaine, lo scissionista che ha lasciato la Spd nel 1999 per fondare con Gregor Gysi e gli eredi della Sed, il partito che reggeva il regime comunista dell’Est, la Linke. Insieme, i due leader della sinistra radicale hanno condotto un’opposizione durissima, prima al governo socialdemocratico di Gerard Schroeder, poi alla Grande coalizione di Merkel e Steinmeier, e ora puntano a raccoglierne i frutti. Ma nella serata grigia berlinese di vigilia, il colpo d’occhio su Alexanderplatz non aiuta certo a capire quale insidia possa rappresentare il «partito del No» voluto da Lafontaine in odio ai vecchi compagni della Spd. In piazza, ad ascoltare lui e Gysi, ci sarà un migliaio scarso di persone, in gran parte ultrasettantenni. Intenti, più che ad ascoltare il gruppo di metallari che prima degli interventi suonano «rock antinazista», a riconoscersi e salutarsi, o ad affollare le bancarelle dove ancora sono in vendita le raccolte dei discorsi di Ulbricht e Honecker, i viceré che ressero la Ddr nei suoi cinquant’anni di vita, e sopravvivono come fantasmi nell’immaginario della Linke. Quello di Lafontaine è un discorso vendicativo verso i vecchi amici socialdemocratici finiti - a suo giudizio - nella trappola della Merkel, a sostenere un governo espressione di poteri forti: le banche che hanno provocato la crisi economica e i loro manager strapagati, le privatizzazioni, l’America delle guerre di inizio secolo, le riforme del Welfare e dello stato sociale, che prima erano il fiore all’occhiello della Germania. Discorsi del genere, se a parlare non fosse un politico noto in tutta Europa e con una storia completamente diversa alle spalle, riecheggiano quel che da noi si può sentire, o leggere su un volantino, in un centro sociale. Ma tant’è. E deve pur esistere la possibilità che argomenti come questi possano far presa, nelle prime elezioni tedesche del dopo crisi. Si vede bene dal tono e dall’atteggiamento con cui i leader della Spd salgono sul loro palco, anche questo eretto in un luogo storico, nel piazzale antistante la Porta di Brandeburgo. Davanti a loro, una decina di migliaia di persone, quaranta-cinquantenni, look borghese, abbigliamento da pomeriggio di gala, molte donne, la fila dei ministri, metà governo, schierata in attesa dei leader. Che arrivano, preceduti da un comizio tutto all’attacco del sindaco borgomastro di Berlino Klaus Wowereit, l’uomo che governa la capitale insieme con la Linke, è un candidato leader della Spd in caso di sconfitta ed è divenuto famoso anche per il modo in cui, alle prime indiscrezioni, rivelò pubblicamente le sue tendenze omosessuali: «Sono gay e va bene così!». Frank-Walter Steinmeier, il vicecancelliere che corre contro la Merkel, e Franz Muentefering, il capo della Spd, hanno le cravatte rosse delle grandi occasioni, che spiccano sul palco dello stesso colore. E a chi li dipinge come portatori d’acqua della Cancelliera, sono venuti a dire che solo grazie alla Spd al governo i manager fedifraghi della banche sono stati ridimensionati, le riforme economiche, a partire dal «salario minimo», sono state salvate, la disoccupazione è diminuita, la partecipazione alle missioni internazionali è di nuovo in discussione. Parlano, insomma, come uomini di sinistra che non si sono lasciati rammollire dall’alleanza con la Cdu. E ricordano, entrambi, che la Spd è in risalita, e che perfino un sorpasso finale è possibile, come quello, ricorda Muentefering, che Brandt fece su Erhard nel ”69, non a caso ai tempi della prima Grande Coalizione. Anche Angela Merkel, a poche ore dal voto che decide il suo destino, è alle prese con i suoi folletti. Cautele meteorologiche hanno spinto gli organizzatori del suo ultimo comizio a chiuderla in una sorta di Teatro Tenda, l’Arena Berlin, nel cuore del quartiere rosso di Treptow che elegge a furor di popolo Gysi. Annunciata da un curioso happening assai kitch a base di macabri sosia dei Blues Brothers, di Louis Armstrong, Elvis Presley e Tina Turner, accompagnata dalle note-portafortuna dei Rolling Stones, la Cancelliera arriva con il sindaco di Amburgo Hole Von Beust, l’unico della Cdu che governi la sua città con i Verdi. Un accompagnatore simmetrico, nel ruolo, a ciò che Wowereit rappresenta per Steinmeier. Nel linguaggio prudente di Angie, infatti, questo è forse il primo segnale rivolto a Westerwelle, il liberale che negli ultimi sondaggi contende alla Cdu i cattolici delusi dalla Grande coalizione e quelli che temono che possa continuare. come se la Cancelliera dicesse che, se si tratta di cambiare alleanze, anche i Verdi possono rappresentare una riserva. Al pubblico che l’acclama, confluito un po’ di malavoglia nella lugubre atmosfera del Palatenda illuminato come una discoteca, dopo averlo intrattenuto sul suo mal di testa, sull’uso dell’elicottero, sui saluti con l’amico-nemico Horst Seehofer, leader della bavarese Csu (che le ha donato una torta a forma di cuore), e su tutto ciò che non ha stretta attinenza politica con l’attualità, Angie somministra un messaggio molto chiaro: possiamo anche rompere con l’Spd, specie dopo gli ultimi atteggiamenti dei nostri alleati. Ma per governare con i liberali, dobbiamo prendere molti voti e diventare molto forti, in modo da poter determinare noi, sempre, l’indirizzo della coalizione. Democristianamente, la Merkel, come fa sempre, avrebbe evitato volentieri di dichiararsi così apertamente. Costretta tuttavia a farlo dalla scadenza elettorale, ha voluto avvertire così, fin d’ora, che per il dopo si tiene le mani libere. Stampa Articolo