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 2009  settembre 27 Domenica calendario

« che la vita non sai mai come gira». Al signor Pietro Martone, tutto sommato, per sua stessa ammissione, era sempre girata bene

« che la vita non sai mai come gira». Al signor Pietro Martone, tutto sommato, per sua stessa ammissione, era sempre girata bene. Faticosamente bene. Perché, dice: «Se sai fare il contadino, vivi da signore». Ottantun anni passati nei campi di Torella dei Lombardi, a trentotto chilometri da Avellino, fra boschi, colline, i ricordi del terremoto e poco altro. Soddisfatto e incensurato. Prima di diventare il carcerato più vecchio d’Italia. «Sono nato ”nta la terra. Coltivavo grano, mais, olio, vino e ortaggi. Tiravo su la famiglia con mia moglie Gentile Giuseppina, prima che mi lasciasse, povera donna. Abbiamo avuto sette figli, uno più bello dell’altro: Antonietta, Giuseppe, Gaetanina, Rocco, Vito, Maria e Gerardina. Non ci potevamo proprio lamentare». Poi, un pomeriggio di novembre del 2004, con i campi a riposo e niente da fare, è girata. «Il marito di Gerardina mi ha fatto una piccola estorsione, è andato a prendersi una maglia pesante dentro casa, ché faceva freddo. Voleva le cose mie, i soldi. Abbiamo avuto una discussione. A un certo punto, davanti ad altri, ha detto: ”Se questo signore muore, io non caccio neanche una lira”. Mi sono voltato, non so neanche come la lama fosse finita dentro la giacca. Gli ho dato una coltellata al petto. Una sola». Analfabeta Pietro Martone mima il gesto impugnando il coltello con la lama verso il basso, come si usa per sgozzare le bestie. Oggi ha ottantasei anni, la condanna definitiva per omicidio volontario è datata marzo 2006, fine pena il 9 aprile del 2012, quando ne avrà quasi novanta. Dopo diciotto mesi ai domiciliari in una casa di riposo, un anno in carcere a Potenza e un altro anno a Sant’Angelo, da maggio 2009 è rinchiuso nella casa circondariale di Bellizzi ad Avellino. La struttura più vicina a casa sua. Il carcere è stato inaugurato nel 1984. Pareti azzurre, foto di Padre Pio, crocefissi ovunque. Due piccoli cani randagi aspettano chissà chi davanti all’ingresso principale, un enorme cancello mezzo arrugginito. Il problema è che non ci sono attività organizzate. Ma è un carcere tranquillo e curato, per quanto può esserlo un carcere, mediamente sovraffollato (370 detenuti prima dell’indulto, 430 oggi). Pietro Martone è detenuto in infermeria: «Perché quest’occhio proprio non ne vuole più sapere di vederci qualcosa. L’altro, invece, così così». Arriva per l’intervista con un maglione granata su una camicia azzurra con le maniche troppo lunghe, jeans e scarpe da ginnastica. Si vede che non sono i suoi vestiti. Ha baffetti sottili e precisi. Capelli bianchi pettinati con la riga da una parte. Odora di colonia. Gli agenti della polizia penitenziaria gli sottopongono la liberatoria da firmare. E la sua firma, con calma, è l’unica cosa che sa scrivere: «Non ho studiato. Non so leggere. Ma sono un suonatore di fisarmonica, faccio bene la tarantella e la campagnola». Come sta, signor Martone? «Mi trattano bene, mangio discretamente. Ma è una galera, non ci si può abituare. Mi manca l’aria della campagna, avrei voglia di salire in groppa al trattore». Essere un bracciante agricolo, come si definisce lui, forse lo ha fregato. Ha un fisico asciutto, ottima resistenza alla fatica, scarsa propensione alla lamentela. probabile che un anziano assassino di città, a quest’ora, sarebbe già a casa. Lui, no: «Il 22 settembre era il mio compleanno. Sarei andato a comprare le paste, ma qui non si può fare. Ho la televisione sempre accesa, aspetto». Nessun perdono Visite ne riceve poche: «Il mese di agosto è stato il migliore. Sono venuti tutti i figli a fare i colloqui. Una volta, proprio all’inizio, è venuta anche Gerardina, ma poi non è più tornata. Non mi ha mai perdonato. La capisco, ha ragione. Ho fatto una bruttissima cosa, non so nemmeno io. Mi sono pentito in tutte le maniere, ho pianto parecchio, mi è toccato il carcere». Se potesse uscire domani? «Tengo il desiderio di tornare alla mia casa, se mia figlia mi vuole perdonare, vorrei abbracciare i nipoti Giusi e Emanuele». La terra lo emoziona quanto i figli. «Venti ettari di terreno comprati con il sudore mio. Sono andato pure in Germania, la prima volta nel ”61. Ho fatto tutti i lavori: in fabbrica, il muratore, il giardiniere, l’importante è che arrivassero i grani». Qui non arriva mai nessuno. Parlare con uno sconosciuto è già qualcosa. «Non sapevo di essere il più vecchio carcerato d’Italia - dice - ma spero di lasciare questo titolo a qualcun altro». L’avvocato Norma Maranzini sta cercando di fargli ottenere i domiciliari. Per ora, senza successo. Il signor Martone sembra prenderla con filosofia: «Vado avanti come dio vuole, fisso il muro. E al limite mi faccio una cantata». Stampa Articolo