Piero Ostellino, Corriere della Sera 26/9/2009, 26 settembre 2009
Quelle picconate allo Stato liberale Il dibattito sulle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia oscilla, anacronisticamente, fra il neo-sanfedismo del presidente del Consiglio – che chiede scusa alla Chiesa per la ferita che le avrebbe inferto il Risorgimento liberale – e il neo-gramscismo dell’opposizione, il Risorgimento anti-democratico come mancata rivoluzione agraria
Quelle picconate allo Stato liberale Il dibattito sulle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia oscilla, anacronisticamente, fra il neo-sanfedismo del presidente del Consiglio – che chiede scusa alla Chiesa per la ferita che le avrebbe inferto il Risorgimento liberale – e il neo-gramscismo dell’opposizione, il Risorgimento anti-democratico come mancata rivoluzione agraria. Tommaso Padoa- Schioppa propone, realisticamente, che si celebri la ricorrenza chiedendosi quale sia «lo stato dello Stato». Un esempio di «stato dello Stato» è quello – da me illustrato giovedì sul Corriere ” - dell’imprenditore veneto che dà ai suoi dipendenti lo stipendio «lordo» (senza le trattenute di legge), mentre lo Stato gli impone di essere «sostituto di imposta», dei suoi dipendenti ai quali l’Inps respinge l’offerta di pagare personalmente i contributi dovuti, dell’opacità dei listini degli stipendi. Ma gli intellettuali come Padoa-Schioppa non parlano di questo «stato delle cose», bensì che, in Italia, «sono ormai gravemente minacciati la democrazia, principi fondamentali dello Stato di diritto». Si preoccupano della libertà di informazione – che c’è – quando si tratta di parlare di Berlusconi, e non se ne preoccupano quando i giornali non parlano, o parlano troppo poco dei problemi della gente. Padoa-Schioppa scrive che, dal 1861 ad oggi, si è speso metà del tempo a distruggere lo Stato. A giudicare, però, dall’esperienza empirica – una metodologia, questa, estranea alle «fantasticherie » della sinistra – non di distruzione, bensì di costruzione di un mostruoso apparato pubblico, si è invece trattato; e alla quale hanno contribuito, insieme, il fascismo (con il corporativismo) e il comunismo (con il collettivismo). La prima «picconata» all’unità dello Stato liberale l’ha data il fascismo, con l’istituzionalizzazione degli interessi organizzati in corporazioni ai danni delle libertà di chi non ne fa parte. La seconda, il dopoguerra e la guerra civile che ancora continuano, con la mistificante contrapposizione fra progressisti (che sono, invece, favorevoli alla mostruosa creatura) e conservatori (chi vi si oppone). La terza picconata l’ha data la Costituzione del 1947, con la contrapposizione fra diritti individuali e diritti sociali, e con la rinuncia a parte della sovranità nazionale. Nella convinzione che i diritti individuali siano incompatibili con quelli sociali e con la conseguente dittatura di quella astrazione ideologica chiamata «collettività», l’arbitraria intrusione di chi detiene il potere, nelle libertà dell’Individuo. Nell’aver ripudiato «per legge» la guerra, come se non ci fosse esempio alcuno di guerre fra democrazie e non fossero i loro parlamenti a escluderle; per, poi, mandare i nostri ragazzi – inibiti a sparare per primi, ma «solo dopo essere stati ammazzati» – a morire in teatri di guerra definendole «missioni di pace». Sono anch’io per la libertà di informazione. Ci mancherebbe. Ma mi chiedo se essa sia limitata (solo) dal conflitto di interessi televisivo del capo del governo e non (anche) da quel complesso di interessi economici, industriali, finanziari, che ruotano attorno al mondo dell’editoria e da una cultura conformista «politicamente corretta».