Eva Cantarella, Corriere della Sera 26/9/2009, 26 settembre 2009
EVA CANTARELLA
Al corpo e ai piaceri che da questo potevano trarre, i romani dedicavano tempo e attenzione. I primi secoli della loro storia li avevano visti impegnati a celebrare valori come l’austerità, la frugalità e la pudicizia, ma con il tempo la vita era cambiata, e con essa anche il loro atteggiamento verso le piacevolezze della vita. Quasi a compensarsi della passata austerità, ora si guardavano bene dal farsele sfuggire. «Il vizio dilaga», dicevano i moralisti. Certamente esageravano, ma i costumi erano indiscutibilmente cambiati. Le terme, per cominciare, erano diventare una frequentazione quotidiana: bagni caldi, tiepidi e freddi, massaggi con olii preziosi, depilazione (persino il grande Cesare si depilava). Tra un trattamento e l’altro, oltre a concludere affari e accordi politici, ci si poteva intrattenere con qualche signora compiacente o con un bel ragazzo. Ai romani non bastavano mogli, amanti, prostitute e schiave di casa, ovviamente a disposizione. Potevano concedersi senza problemi qualche rapporto con un prostituto; e se volevano potevano scegliersi, tra gli schiavetti di casa, un concubinus, che come dice il nome dormiva con loro: beninteso sino al momento in cui non si sposavano.
Non si negavano i piaceri del sesso, insomma, i romani. Né si accontentavano di questi. Un altro momento di grande godimento erano i banchetti: vino e cibo a volontà, ingurgitati in quantità tali da costringere, per continuare, a mettersi due dita in gola. Ma la quantità non andava a scapito della qualità. I romani erano dei gourmet: vino buono, che veniva dalla Grecia, in particolare quello di Cos; caviale importato dal Mar Nero; tra i prodotti locali, pesci, crostacei e ostriche, di cui erano abilissimi allevatori. Un imprenditore campano, di nome Sergio Orata, arrivò a escogitare un ingegnoso sistema per allevarle (successivamente utilizzato per riscaldare le terme), che consisteva nel far scorrere acqua calda nelle intercapedini pavimentali e parietali della vasche.
Per chi ne aveva voglia, poi, i banchetti consentivano l’esperienza del cross-dressing. A provarlo, una singolare questione sottoposta al giurista Quinto Mucio: un senatore aveva stabilito nel testamento che le sue «vesti muliebri» andassero a una certa persona.
Visto che il senatore usava cenare vestito da donna, bisognava pensare che alludesse alle vesti che indossava a cena? No, rispose il giurista, senza dare il minimo segno di sorpresa di fronte al caso. I banchetti consentivano di soddisfare molti desideri, insomma. Per non parlare degli spettacoli gladiatorii. Si è detto, spesso, che in questo tipo di spettacoli si manifestava quello che sarebbe stato un tratto del carattere romano, vale a dire il sadismo. Impossibile, qui, affrontare una questione come questa: basterà ricordare che la mancanza di prospettiva storica può giocare brutti tiri. Il che non toglie che i giochi fossero molto amati: ma, quantomeno dalle donne, per ragioni molto diverse. «Il trace Celado fa sospirare le ragazze », leggiamo nella caserma dei gladiatori di Pompei, dove un altro graffito informa «Crescente (un altro gladiatore) è il medico notturno delle ragazze».
Tutte vittime dei muscoli e della celebrità, tutte pazze per i gladiatori. Secondo Giovenale, le matrone arrivavano ad abbandonare casa e famiglia per seguirli. Proclama un graffito di età augustea: «Balnea, vinum, Venus corrumpunt corpora nostra, sed vitam faciunt»: i bagni, il vino e l’amore danneggiano il nostro corpo, ma rendono bella la vita. Più chiaro di così.