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 2009  settembre 26 Sabato calendario

Il linguaggio più forte, la coreografia più spettacolare. Affiancati sul palcoscenico del G20, Obama, Sarkozy e Gordon Brown, insomma una rappresentanza qualificata di un Occidente finalmente unito, hanno smascherato il doppio gioco di Teheran e posto l´Iran di fronte al suo dilemma esistenziale

Il linguaggio più forte, la coreografia più spettacolare. Affiancati sul palcoscenico del G20, Obama, Sarkozy e Gordon Brown, insomma una rappresentanza qualificata di un Occidente finalmente unito, hanno smascherato il doppio gioco di Teheran e posto l´Iran di fronte al suo dilemma esistenziale. Se continuare a prospettarsi come il motore della Rivoluzione khoemeinista nel pianeta, il vendicatore del Terzo mondo, la Spada dell´islam sospesa su Israele. Oppure essere la nuova Persia, una grande potenza regionale erede di ottomila anni di storia, ma assoggettata alla legalità internazionale, alle regole e agli equilibri geo-politici che ne limitano l´espansionismo ideologico e ne disciplinano l´azione internazionale. Nel primo caso l´Iran non potrà rinunciare alla Bomba, terrà testa agli occidentali e forse al Consiglio di sicurezza, incapperà in nuove sanzioni. E finirà per rendere inevitabile il braccio di ferro rischiosissimo che tutti, a cominciare dagli europei, vorrebbero evitare. Nel secondo caso, potrà cominciare quel negoziato globale, il Grand Bargain, che già alla fine degli anni Novanta Clinton e Khatami furono ad un millimetro dall´avviare. E allora davvero tutto sarebbe sul tavolo, la Bomba e gli investimenti occidentali, i missili forniti dall´Iran ad Hezbollah e l´abrogazione delle sanzioni europee e americane. E il sostegno ad Hamas, l´influenza iraniana in Iraq, le rotte del petrolio in Asia centrale. E lo Scudo spaziale, il programma militare varato dall´amministrazione Bush. Se a questo si aggiunge che lo Scudo ufficialmente è puntato sull´Iran ma in realtà minaccia anche la Russia, e che a motivo di questo Mosca sembra appoggiare il pressing occidentale, si ha l´impressione di un momento decisivo, di un bivio fatale. Quando tutto pareva bloccato, Obama ha inventato il colpo che potrebbe rimettere in moto la storia. Una sortita così teatrale non può obbedire ad una tempistica decisa dal caso. E infatti precede di pochi giorni l´incontro previsto il primo ottobre a Istanbul, dove iraniani, occidentali, cinesi e russi torneranno a discutere il dossier nucleare dopo un lungo intervallo. Del resto non era un mistero che l´Iran avesse duplicato gli impianti coinvolti nel suo programma nucleare e disponesse di una filiera di installazioni sotterranee e segrete, a prova di attacco aereo. E probabilmente Washington aveva scoperto da tempo quel che nascondeva una montagna non lontana, neppure in termini simbolici, dalla città santa di Qom. A sua volta Teheran sapeva che gli americani sapevano, perché di recente le autorità iraniane avevano dichiarato l´esistenza dell´installazione di Qom all´Aiea, l´Agenzia dell´Energia atomica, che vigila sul trattato di non proliferazione. Ma anche a giudicare dal suo intervento al Palazzo di Vetro, meno slabbrato del solito però tonificato da una certa jattanza, Ahmadinejad cominciava a illudersi di aver vinto la partita. In fondo ne aveva motivo. Gli occidentali avevano a lungo sperato che la rivolta di Teheran ridimensionasse lo spiritato presidente dell´Iran e il suo mentore, la Guida suprema Khamenei, e li inducesse a un atteggiamento più pragmatico. Ma col tempo la sollevazione aveva perso slancio. Restava la minaccia di un embargo, però americani ed europei esitavano a ricorrervi, e con ragione. Come insegna il passato recente, le sanzioni spesso sono percepite dalla popolazione che le subisce come una punizione collettiva tanto sommaria quanto ingiusta; di conseguenza possono perfino avvantaggiare il regime che intendono colpire. E soprattutto: un embargo Onu avvierebbe una procedura internazionale che può avanzare per forza inerziale fino a conseguenze esplosive, se nessuno accetta di perdere la faccia. Ma quanto più il tempo passava, tanto più il nucleare iraniano diventava un fatto compiuto, sempre meno reversibile. Non lo è più. Però il percorso che può portare ad un ravvedimento dell´Iran è quantomeno incerto. Bisogna convincere Mosca e Pechino, membri del Consiglio di sicurezza, ad corroborare la minaccia di sanzioni internazionali. Mosca lascia intendere la propria disponibilità, ovviamente in cambio di contropartite. Pechino è un cliente importante dell´industria iraniana degli idrocarburi, ma la prospettiva di spalleggiare l´Iran al fianco di Castro e di Chavez non deve appassionare la leadership cinese. La partita si gioca soprattutto a Teheran. Due anni fa il negoziatore ufficiale del regime iraniano, Larjani, e con lui un segmento importante del vertice iraniano, aveva di fatto raggiunto con gli occidentali un compromesso tecnico. L´Iran avrebbe costruito le sue centrali atomiche per uso civile, ma l´uranio arricchito lo avrebbe fornito Mosca, e soltanto nella misura necessaria agli impianti. Di conseguenza, Teheran non avrebbe potuto compiere quel piccolo passo, dal nucleare civile al nucleare militare, che richiede un tempo breve, grossomodo sei mesi. Quando l´accordo era ormai delineato, la Guida suprema, il Grand´ayatollah Khamenei, l´aveva affondato. Con analogo sabotaggio, dieci anni prima Khamenei aveva impedito all´ultimo minuto la stretta di mano concordata in segreto tra Clinton e Khatami. Gli staff dei due presidenti avevano pianificato le precise sincronie che avrebbero condotto l´iraniano e l´americano l´uno di fronte all´altro davanti ai fotografi, in una sala del Palazzo di Vetro. Ma quella mattina Clinton non trovò Khatami, trattenuto dalle sue guardie del corpo, che obbedivano ad un ordine di Khamenei. La Guida suprema riuscirebbe a sabotare la pace per la terza volta? Khamenei è stato indebolito dalla rivolta di Teheran, gli americani hanno sponde nel regime iraniano, e quando è stato chiamato a prendere decisioni cruciali, il complicato vertice khomenista ha sempre mostrato pragmatismo. Ma non illudiamoci: c´è dell´azzardo nella mossa di Obama.