Alberto Papuzzi, la Stampa 19/09/09, 19 settembre 2009
Casalegno, il giornalista che non voleva aver paura Documentario a Torino sul vicedirettore de La Stampa ucciso dalle Br Il delitto ricostruito per la serie tv «La storia siamo noi» - Il lungo, oscuro e stretto corridoio di un archivio giudiziario e’ la prima immagine
Casalegno, il giornalista che non voleva aver paura Documentario a Torino sul vicedirettore de La Stampa ucciso dalle Br Il delitto ricostruito per la serie tv «La storia siamo noi» - Il lungo, oscuro e stretto corridoio di un archivio giudiziario e’ la prima immagine. Una specie di imbuto kafkiano, un tunnel senza uscita. Quindi la telecamera porta in primo piano uno dei faldoni conservati nel buio dell’archivio. Con un nome etichettato: Carlo Casalegno. Si inizia cosi’ il documentario televisivo «Carlo Casalegno, il coraggio degli ideali» di Giovanna Cornaglia, prodotto dalla torinese Sgi, che vedremo nella fortunata serie «La Storia siamo noi» di Giovanni Minoli, ma che domani viene presentato in anteprima al Premio Italia (al Piccolo Regio di Torino ore 19). Ricostruita con filmati d’epoca e organizzata con spezzoni di interviste, la vicenda del vice direttore della «Stampa», ucciso nel 1977, diventa lo specchio d una stagione italiana, punto d’arrivo di un percorso di violenza. E’ come se non ci fosse stata scelta. Come se le cose non potessero andare che in quel modo: con un uomo giusto assassinato per il suo senso di giustizia, che gli faceva chiedere di usare con fermezza le leggi dello Stato ma che al tempo stesso gli faceva rifiutare leggi speciali. Per questo era, nella strategia dei terroristi, un «uomo nel mirino». Una prima parte, quasi introduttiva, e’ dedicata alla giovinezza di Casalegno, che lo vide partecipare alla Resistenza. Si era occupato delle formazioni giovanili di Giustizia e Liberta’ e della stampa clandestina. Nel 1947 veniva assunto alla «Stampa», vent’anni piu’ tardi, da vicedirettore, inaugurava la rubrica «Il nostro Stato», che i terroristi ritagliavano e conservavano nei covi, come prove di avere in lui un aperto nemico. La chiave della rubrica era in quell’aggettivo nostro. Non uno Stato lontano o avverso. Non il motto ambiguo che affascinava intellettuali: «Ne’ con lo Stato ne’ con le Br». Ma uno Stato costruito a partire dalla quotidianita’ dei cittadini, come Casalegno spiega agli studenti d’un liceo di Rivoli, in un filmato rinvenuto nella Cineteca Rai. Una seconda parte e’ sugli anni di piombo. Si rivede Labate, segretario provinciale di Torino del sindacato di destra Cisnal, sequestrato dalle neonate Brigate Rosse il 12 febbraio 1973. E’ solo l’inizio: poi tocca al giudice Sossi di Genova. Quindi il livello dello scontro si alza: nel 1976 a Genova e’ ucciso il procuratore generale Francesco Coco. Nella sua rubrica Casalegno scrive: «Non cedere alla paura» (21 aprile ’74). E piu’ avanti: «Possono solo uccidere» (10 giugno ’76). Ammonimenti profetici, perche’ a Torino il processo alle Br e’ sospeso: e’ panico dopo l’assassinio dell’avvocato Croce, presidente dell’Ordine, che cercava di istituire difese d’ufficio che i terroristi non volevano. Non si trovano sei cittadini disposti a fare i giudici popolari. Casalegno scrive: «Quando la paura e’ colpa» (25 ottobre ’76), una rubrica in cui spiega che solo la paura collettiva puo’ dare la vittoria ai terroristi. Lui paura non ne ha o non ne mostra. Rifiuta la scorta: tanto, se vogliono, mi ucciderebbero lo stesso, spiega al figlio Andrea, militante di Lotta Continua. Invece va all’enorme bivacco di Autonomia Operaia nel 1977 a Bologna, in una citta’ barricata. Abbiamo gli inviati, che ci vai a fare? gli dice il direttore Arrigo Levi. E lui: «Vorrei andarci per capire». Lo si vede, in uno spezzone, GIORNALISTA inguaribile fino all’ultimo. Perche’ siamo ormai alla fine: il documentario mostra come fosse stata decisa la sua esecuzione. Soprattutto sviluppa la tesi che il pentolone ribollente dei movimenti, per quanto crogiolo di frammenti diversi, conteneva la miscela della lotta armata come attacco alle istituzioni statali. Il 16 novembre ’77 il commando che spara quattro colpi alla testa di Casalegno, nell’androne di casa in corso Re Umberto, e’ composto da quattro terroristi. L’azione viene ricostruita nel documentario sulla scorta della confessione di Patrizio Peci, capo della colonna torinese, primo terrorista pentito. Per la prima volta si vede un suo schizzo dell’agguato. Casalegno muore il 23 novembre, dopo tredici giorni d’agonia. Una morte che provoca una reazione enorme, non solo emotiva: obbliga a schierarsi. A uscire dalle ambiguita’. Non e’ un’agiografia: e’ un ritratto di Casalegno ma anche del nostro Paese, popolato di voci che rappresentano simbolicamente ciascuna una parte: Carlo Caselli la giustizia, Diego Novelli la citta’, Levi «La Stampa», Mauro e Pansa l’informazione, Gad Lerner l’estremismo che si pente. Parlano anche la vedova Dedi e il figlio Andrea, protagonista dopo l’attentato di un’intervista su «Lotta continua» che fu l’inizio di un processo di revisione. Quanto a lui, Casalegno, e’ la voce della ragione in una tremenda storia italiana.