Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 19 Sabato calendario

di FRANCESCA BONAZZOLI Non c’è tema, più del­l’indagine del volto, che possa sfidare il pittore mettendone alla prova l’abilità di imprigio­nare la vita, di catturare ciò che è per eccellenza imprendibile perché in perenne mutamento, già passato mentre è

di FRANCESCA BONAZZOLI Non c’è tema, più del­l’indagine del volto, che possa sfidare il pittore mettendone alla prova l’abilità di imprigio­nare la vita, di catturare ciò che è per eccellenza imprendibile perché in perenne mutamento, già passato mentre è. I più ta­lentuosi sono stati Velázquez e Goya, forse perché hanno intin­to il pennello nei timbri foschi della bile nera – così gli alchi­misti chiamavano la malinco­nia – che acuisce i poteri intro­spettivi. Non stupisce, dunque, che sia stato Velázquez il pri­mo a dipingere la malattia men­tale: lo fece per curiosità profes­sionale, o forse per amore. Che bisogno aveva infatti lui, il pit­tore dei reali di Spagna, di dedi­care energie a ritrarre i matti che circolavano nei palazzi rea­li? E invece Velázquez li dipin­se senza mai sfregiarli col ridi­colo, ma donando a quei volti deformi la stessa austerità de­corosa dei sovrani. Il Cabalacil­las demente con gli occhi stra­bici o il ragazzo di Vallecas, oli­gofrenico e idrocefalo, hanno negli occhi la medesima digni­tosa domanda del principe in­fante Felipe Pròspero, destina­to alla morte precoce, o di Filip­po IV a Fraga, comandante or­mai disilluso di un’Armada che si fregiava una volta del titolo di invincibile. Per secoli la malinconia, fi­glia di Saturno, fu considerata una malattia non dissimile dal­la pazzia e fu solo nell’800 – quando gli studi di Cardano, Della Porta, Le Brun vennero via via integrati e superati da ap­procci diversi, a cominciare da quello di John Locke nel suo «Saggio sull’intelletto umano», e poi da quelli condotti dal Lava­ter o dal Lombroso – che il po­sitivismo cominciò a far piazza pulita dei motivi magici e irra­zionali che ancora scorrevano sotto la cultura illuministica (gli stessi che nutrivano il pen­siero romantico e le fisionomie esasperate dei busti di Franz Xa­ver Messerschmidt). La fisio­gnomica virò verso l’antropolo­gia, la criminologia, la psicolo­gia e la neurologia e soprattutto verso l’osservazione clinica. Fra pittori e medici si creavano col­laborazioni anche per illustrare le pubblicazioni scientifiche: Théodore Géricault, per esem­pio, dipinse la celebre serie del­le teste di alienati per Esquirol, medico che nel 1802 fondò un istituto per malati di mente, o forse per il dottor Georget, capo dell’ospedale della Salpêtrière. Géricault ha un approccio re­alistico, che non scivola mai nell’aneddotico o nel lettera­rio, esattamente come in quel periodo non si parlava più di possessioni diaboliche, ma di patologie curabili. Quello dell’alienazione men­tale cominciava ad essere per la prima volta percepito non più come un problema indivi­duale, ma come un tema socia­le, al pari delle condizioni dei lavoratori o dei carcerati, pro­blemi legati all’emarginazione che venivano messi in primo piano dalle idee anarchiche e socialiste di Marx, Blanc, Baku­nin, Proudhon. E infatti quan­do Telemaco Signorini, segua­ce delle teorie di Proudhon, si misura con la follia, ha un ap­proccio più da denuncia socia­le rispetto a quello «clinico» di Géricault: il suo dipinto «La sa­la delle agitate al San Bonifazio di Firenze» è più leggibile nel clima delle istanze veriste che in quello scientifico dell’osser­vazione clinica, tanto è vero che descrive una stanza, un’at­mosfera, non singoli volti. In quegli anni anche Van Go­gh, registrata la propria impo­tenza nell’impegno sociale fra i contadini dove si era gettato con slancio mistico, riversa il malessere dei diseredati nel proprio autoritratto. La sua fol­lia diventa tutt’uno con il dolo­re del mondo. La sua denuncia, il suo autoritratto. Velázquez aveva dunque di­pinto la follia con lo sguardo del­la pietas; Géricault con l’occhio clinico; Signorini con il deside­rio di denuncia sociale e Van Go­gh identificando la propria fol­lia con quella del mondo. Solo una manciata di anni do­po, esattamente nel 1900, Freud pubblica «L’interpretazio­ne dei sogni». Da quel momen­to, nel secolo di due carneficine mondiali, dei campi di stermi­nio e dei gulag, si comprende che la follia è l’Uomo stesso. Non l’arte potrà dirsi degenera­ta, ma il mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Interpretazioni Seguace di Proudhon, Signorini vide nella condizione dei matti rinchiusi in manicomio un’emarginazione pari a quella dei lavoratori sfruttati e dei carcerati. Van Gogh ne fece l’emblema del dolore del mondo