Piero Ostellino, Corriere della Sera 19/9/2009, 19 settembre 2009
La «morale» usata come arma politica Se il governo cadesse – in conseguenza della bocciatura, da parte della Corte costituzionale, del Lodo Alfano, e per i conseguenti effetti delle inchieste della giustizia ordinaria nei confronti del presidente del Consiglio – la sola conclusione «logica» dovrebbe essere questa
La «morale» usata come arma politica Se il governo cadesse – in conseguenza della bocciatura, da parte della Corte costituzionale, del Lodo Alfano, e per i conseguenti effetti delle inchieste della giustizia ordinaria nei confronti del presidente del Consiglio – la sola conclusione «logica» dovrebbe essere questa. Dalla nascita della Repubblica, fino a Mani pulite, a governare l’Italia sarebbe stata una banda di malfattori, smascherata da una magistratura indipendente e dall’«opposizione degli onesti». Che, peraltro, aveva spesso condiviso con la maggioranza responsabilità, errori, vantaggi, grazie al consociativismo parlamentare, mentre predicava la purezza degli ideali rivoluzionari nelle piazze. Tangentopoli scoppia quando – crollato il comunismo e nato un nuovo assetto internazionale – il quadro politico italiano non riflette più la divisione mondiale per blocchi contrapposti. Cade la conventio ad excludendum nei confronti dell’opposizione; ma, allo stesso tempo, i partiti che hanno guidato il Paese fino a quel momento non hanno più bisogno del consociativismo per garantirsi la stabilità sociale. giunto il momento che il confronto fra chi governa e chi sta all’opposizione si risolva nel solo modo previsto dalla democrazia: contando le teste. Tangentopoli non è una «congiura» della magistratura al servizio dell’opposizione, ma è la risposta del sistema che di fatto governa il Paese – tutti quelli che sul consociativismo ci hanno campato – al cambiamento. Per la vecchia opposizione, sconfitta dalla Storia, è l’occasione di andare al governo. Ma spunta Silvio Berlusconi, che ne sconfigge la «gioiosa macchina da guerra», vince ripetutamente le elezioni, e pretende di governare contro un’opposizione che ha perso la capacità di mobilitazione sociale delle piazze e persino l’identità politica. Di fronte al pericolo che il centrodestra realizzi almeno qualcuna delle riforme promesse, ritorna la contrapposizione onesti-disonesti in luogo di quella democratica opposizione-governo. L’Italia è governata da un malfattore da cacciare, non da un cattivo governante da sconfiggere politicamente. Se questa è la «logica» conclusione che si dovrebbe trarre dalle vicende italiane della Prima e della Seconda repubblica, si deve anche ammettere che essa è paradossale e, insieme, drammatica. paradossale perché non ha senso sostenere, come fa la sinistra, che l’Italia – salvo quando è essa stessa al governo – sia governata da malfattori. drammatica perché rivela che il complesso di poteri che presiede alla vita del Paese tende – ogni volta che si profila la democrazia dell’alternanza, governa chi ha più voti, fino alle elezioni successive – a risolvere la dicotomia opposizione-governo con una «correzione» alla logica democratica. Il consociativismo, ieri; un «governo di salute pubblica », oggi? Non «il governo degli onesti», o dei «migliori», ma il «governo degli interessi comuni»; che nessun politico ha la forza di sconfiggere, ma la cui sola presenza a Palazzo Chigi, se si prolunga, è percepita come una minaccia. Una sorta di continua riedizione del Comitato di liberazione nazionale. Ma contro la democrazia.