Viviana Mazza, Corriere della Sera 19/9/2009, 19 settembre 2009
«Né Gaza né il Libano. Io sacrifico la vita per l’Iran». Con un nuovo slogan, il «movimento verde» è tornato ieri in piazza
«Né Gaza né il Libano. Io sacrifico la vita per l’Iran». Con un nuovo slogan, il «movimento verde» è tornato ieri in piazza. Tre mesi dopo le contestate elezioni presidenziali che hanno riconfermato al potere Mahmoud Ahmadinejad, l’opposizione non si arrende. Sono stati picchiati, arrestati, processati. Ma in decine di migliaia hanno protestato ancora a Teheran e in altre città, trasformando la giornata di solidarietà per la causa palestinese in una manifestazione antigovernativa. La «giornata di Quds» (nome arabo di Gerusalemme) fu voluta nel 1979 dal fondatore della Repubblica Islamica ayatollah Ruhollah Khomeini ogni ultimo venerdì del Ramadan. Ma «è anche il giorno dell’Islam e dei popoli oppressi», ha dichiarato il leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi, il rivale che definisce l’elezione di Ahmadinejad una frode e che ieri ha nuovamente guidato la protesta. Il presidente ha usato l’evento per negare ancora una volta l’Olocausto («un mito», «un pretesto» con cui Israele ha rubato la terra palestinese) e attaccare l’Onu, alla vigilia del suo discorso a Palazzo di Vetro il 24 settembre: «Fanno risoluzioni anche quando un gatto viene investito da un camion in Iran, ma coprono i crimini di Israele». La Casa Bianca, la Gran Bretagna e la Germania hanno condannato le parole sull’Olocausto, la Francia ha criticato la repressione delle proteste anti-governative continuata ieri. Nella mattinata, manifestazioni opposte si sono riversate nelle strade della capitale. Imponente quella filogovernativa (l’unica mostrata dalle tv di stato): centinaia di migliaia di persone con kefiah, poster e slogan contro Israele e l’America hanno marciato fino all’università di Teheran. Tra loro, Ahmadinejad e, secondo i media di stato, il leader di Hamas Khaled Meshal. A pochi metri, sfilava l’opposizione. Magliette, polsini, hijab verdi (il loro colore simbolo) nella prima grande protesta dopo due mesi (grazie al fatto che stavolta le autorità non potevano vietare i cortei). E poi di corsa a postare i video sul web. C’erano i leader: gli ex candidati Mousavi e Mehdi Karroubi, aggrediti dagli ultraconservatori e costretti a lasciare la protesta, e l’ex presidente Mohammed Khatami, la cui veste è stata strappata, il turbante gettato a terra. Trovandosi faccia a faccia, i due campi si sono scontrati a pugni e a parole. «Morte a Israele» da una parte, «Morte al dittatore» e «Oh Mousavi» dall’altra. «Il nostro sangue è un dono ai nostri leader », «No, il nostro sangue è un dono alla nazione». Agenti in divisa e in borghese hanno attaccato a manganellate gli oppositori, che hanno risposto tirando pietre e mattoni. Almeno 10 gli arresti. Era una protesta attesa. Volantini dell’opposizione circolavano da giorni sul web e in strada. I Guardiani della Rivoluzione avevano avvertito che avrebbero represso ogni corteo diverso da quelli anti-sionisti. Ali Akbar Rafsanjani, capo di enti statali che monitorano il ruolo della Guida Suprema e mediano tra parlamento e presidente, ma sostenitore dell’opposizione, aveva incoraggiato la gente a manifestare, formalmente per Gerusalemme, ma il suo era stato letto come un invito a protestare contro il governo. stato punito. Per 25 anni ha guidato la preghiera nel giorno di Quds: ieri lo ha sostituito un ultraconservatore (ma secondo i media di stato, sarebbe comunque sceso in piazza). Segno dei timori delle autorità: l’ultima grande protesta era avvenuta il 17 luglio, quando Rafsanjani guidò la preghiera. Segno, pure, della sua marginalizzazione. Ma il clero resta diviso e, tra gli altri, Sayyed Hassan Khomeini (nipote dell’imam) ha invitato la gente a protestare non solo per Gerusalemme ma «per resistere all’oppressione ». Una chiara sfida alla Guida suprema Ali Khamenei che aveva avvertito: «La Giornata di Quds è solo per Quds, non create discordia». Viviana Mazza