Andrea Nicastro, Corriere della Sera 19/9/2009, 19 settembre 2009
DAL NOSTRO INVIATO
SHINDAD (Afghanistan) – La culla di Wakil è un’amaca agganciata a due bastoni incastrati tra il pavimento di terra battuta e il muro rivestito di paglia e fango. I «pannolini» del piccolo sono cannucce di legno che dovrebbero portare fuori dalle fasciature almeno la pipì. Quando Wakil si lamenta per la fame, le zanzare, il caldo, la sporcizia, la mamma contadina cerca nelle sottane un sacchettino di plastica, ci infila la mano e con un dito gli strofina le gengive. pasta di oppio, freschissima, del raccolto di aprile dalle terre di famiglia poco fuori Shindad, nell’ovest dell’Afghanistan, zona di competenza del contingente militare italiano. Wakil prima o poi smette di piangere intorpidito. la razione che gli spetta nel traffico milionario di eroina che esce dal Paese.
Shindad è la porta alla cassaforte dell’oppio afghano: a nord verso il Turkmenistan e a ovest verso l’Iran passano i panetti di droga destinati all’Europa. A sud ci sono le province di Farah, Kandahar ed Helmand che producono più o meno il 70 per cento dell’eroina mondiale. Un altro 20 per cento arriva dal resto dell’Afghanistan e solo l’ultimo spicchio dal resto del mondo.
I piloti italiani che volano ogni giorno alla nostra base di Farah lo vedono dai finestrini o dagli schermi delle telecamere spia. «A sud almeno un campo su tre è di papaveri, ma anche dove domina il grano, prima o poi, scopri una pennellata rossa in mezzo: papaveri da oppio». Tutti lo sanno, da Washington a Roma al Palazzo di Vetro, come sanno che l’oppio è l’unica vera industria dell’Afghanistan. Sa di droga il 50 per cento del Pil reale e il 90 dell’export. Gli oppiacei finanziano i talebani e non solo. In campagna elettorale la famiglia del presidente Karzai è stata accusata di arricchirsi con la droga come i suoi alleati «signori della guerra» destinati alla vicepresidenza. La popolazione tossicodipendente è in crescita esponenziale. Il piccolo Wakil è già nell’elenco. Gli stranieri che versano milioni in aiuti e vedono i loro soldati morire nel Paese assistono imbarazzati. «I fondi utilizzati nello sradicamento dei papaveri sono soldi buttati – ha sentenziato all’inizio dell’anno Richard Holbrooke, rappresentante speciale americano per l’area ”. Non riducono la produzione e spingono i contadini tra le file dell’insorgenza». Alla Conferenza dell’Aia di marzo è stata annunciata la «strategia alternativa » della comunità internazionale: basta sradicamento, più aiuti all’agricoltura legale e lotta senza pietà ai trafficanti. La svolta voluta da Holbrooke è però lenta ad arrivare. In aprile, proprio a Shindad, gli americani hanno lanciato un’altra operazione «Sradicamento»: 5 milioni di dollari per strappare il distretto al narcotraffico. Il piano prevedeva una distruzione massiccia dei campi, con almeno dieci giorni di combattimento per avere la meglio sulla resistenza delle milizie filo-talebane a guardia del prodotto ed in contemporanea compensazioni ai singoli agricoltori come Yassin Khan e Margalara, genitori di Wakil. Mobilitata anche la prima Brigata afghana di Herat del comandante Ziarat Shaa che parla un po’ d’italiano per aver frequentato il Centro di Alti Studi Difesa in Italia. Invece è cominciato tutto il 22 aprile ed è finito il 24 con un giorno di riunione tra Marines e anziani con barba e turbante, qualche ora di distribuzione di aiuti umanitari, un campetto di oppio sradicato e i 5 milioni di dollari consegnati in contanti al mullah Lal Mohammad, capo distrettuale di Shindad. Il mullah avrebbe dovuto convincere le tribù del posto a cambiare alleanza, abbandonare papaveri e talebani e schierarsi con Kabul per un’agricoltura legale e sovvenzionata. Un bluff: gli attentati a Shindad anche contro le truppe italiane sono addirittura aumentati.
Un fallimento istruttivo su almeno due misteri afghani: la resistenza dei papaveri ai supposti sradicamenti e la corsa alle posizioni pubbliche nelle province più difficili dell’Afghanistan. La produzione di oppio resiste perché i fondi americani e britannici invece che ai contadini o alle infrastrutture vanno spesso a leader locali corrotti o doppiogiochisti. Le poltrone del potere locale afghano, invece, sono contese a suon di dollari perché se usate con spregiudicatezza possono far diventare ricchi come è successo al capo distretto di Shindad. Si parla di un tariffario accurato: mille dollari per fare il poliziotto in una zona di papaveri, 10 mila per il posto di commissario, minimo centomila per quello di «capo distretto».
Secondo l’Onu i talebani ottengono dalla «oshch» (la «decima») sul raccolto, ma anche dalla protezione «mafiosa » di campi, laboratori di raffinazione e carovane per l’export, almeno 300 milioni di dollari l’anno. Soldi che poi diventano armi e stipendi per miliziani. «Un chilo di pasta da oppio – è la sintesi brutale del generale Rosario Castellano, ex comandante ad Herat – basta ad arruolare dieci insorti ».
Ai prezzi attuali un chilo di oppio essiccato costa 80 dollari comprandolo dal produttore mentre già appena oltre confine passa di mano a quasi mille dollari, in Europa schizza a 10 mila. Dimenticando le donazioni della jihad internazionale, altri milioni arrivano ai talebani dalle tangenti versate dai contingenti occidentali in cambio di protezione o, l’ha rivelato la stampa britannica, per il trasporto dei rifornimenti militari dal Pakistan.
Su un tema così importante per la stabilità dell’Afghanistan, la comunità internazionale avanza in ordine sparso. Gli Usa hanno aumentato di anno in anno i fondi per sradicare le piantagioni, ma stanno per cambiare tutto. La Gran Bretagna, assumendosi nel 2006 la gravosa responsabilità della provincia di Helmand, aveva fatto della conversione delle colture la punta di diamante della sua strategia. Fallimento totale. I contadini «onesti» non sono tornati e i campi sono rimasti a papavero difesi dai kalashnikov talebani. Gli altri Paesi Nato non considerano il traffico di droga (e men che meno la coltivazione dei fiori) come ragione di intervento militare e si tengono fuori dalla questione.
In agosto il Pentagono ha inserito i nomi di 50 grossi trafficanti (talebani e no) nell’elenco degli obbiettivi da «cercare e distruggere» in mano alle sue forze speciali. «Search and destroy » è la versione moderna della classica «licenza di uccidere». Per la Nato ancora imbarazzo.
Andrea Nicastro