Sergio Romano, Corriere della Sera 14/9/2009, 14 settembre 2009
Dai sondaggi sembra che solo il 46% degli irlandesi sia favorevole ad approvare il Trattato di Lisbona
Dai sondaggi sembra che solo il 46% degli irlandesi sia favorevole ad approvare il Trattato di Lisbona. Che cosa potrebbe accadere se in Irlanda, col referendum indetto per il prossimo 2 ottobre, venisse bocciato per la seconda volta questo Trattato? Tornerebbe operativo il precedente Trattato di Nizza che a sua volta era stato considerato del tutto inadeguato ad amministrare l’Ue con 27 Paesi membri? Giovanni Papandrea giovannipapandrea@iol.it Caro Papandrea, Approfitto della sua lettera per aggiornare il lettore sul problema delle ratifiche del Trattato di Lisbona, il nuovo patto costituzionale dell’Unione Europea negoziato e firmato dopo i tre referendum (Francia, Irlanda e Paesi Bassi) che avevano affossato il precedente. Mancano ancora all’appello quattro Paesi: Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Irlanda. Nella Repubblica federale, dove il trattato è già stato approvato dalle due Camere, il Tribunale costituzionale ha chiesto al governo di predisporre una legge per garantire al Parlamento maggiori competenze sulle decisioni dell’Ue che possano rivelarsi incompatibili con la Legge fondamentale (Grundgesetz) dello Stato tedesco. Presentata alla Camera bassa l’8 settembre, la legge che soddisfa le richieste del Tribunale costituzionale è stata approvata con 446 sì e i 46 no della sinistra massimalista (la Linke). Il voto della Camera alta (il Bundesrat) è previsto per il 18 settembre, meno di dieci giorni prima delle prossime elezioni federali, e sarà con ogni probabilità positivo. Nella Repubblica Ceca il voto parlamentare ha già avuto luogo ed è stato favorevole, ma il capo dello Stato, Vaclav Klaus, è capricciosamente eurofobico e ha dichiarato che prenderà in considerazione la firma del Trattato soltanto dopo il referendum irlandese. Simile, per molti aspetti, è la situazione della Polonia dove il presidente della Repubblica Lech Kaczinski ha deliberatamente ritardato la firma del Trattato e attende, come Klaus, il risultato del nuovo referendum irlandese. Il problema quindi non è soltanto l’Irlanda ma l’effetto che il suo secondo no potrebbe avere a Praga e a Varsavia. Negli scorsi mesi, per ottenere il sì di Dublino, è stato fatto molto e forse troppo. stato garantito all’Irlanda, tra l’altro, che disporrà sempre nella nuova commissione di un suo commissario: una concessione imbarazzante e umiliante per tutti i piccoli membri dell’Ue che avevano accettato di sacrificare l’orgoglio nazionale alle esigenze di un governo europeo più «magro» ed efficace. Voglio sperare che gli irlandesi dicano sì e chiudano una volta per tutte questo brutto capitolo di storia europea. Ma sono certo che il loro no, seguito verosimilmente dal «ni» della Repubblica Ceca e della Polonia, provocherebbe la più grave crisi della Comunità europea dopo la «sedia vuota» degli anni Sessanta (la temporanea assenza della Francia, decisa dal generale de Gaulle). E credo che da quella crisi si uscirà bene soltanto se i sei Paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) proporranno a chiunque voglia seguirli la soluzione delle «cooperazioni rafforzate», vale a dire la nascita di un gruppo più piccolo e più omogeneo, pronto a tirare avanti per la sua strada.