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 2009  settembre 26 Sabato calendario

COMPRENDE LE PRIME DUE PUNTATE. METTERE PER FAVORE ANCHE LA TERZA


IL MEDITERRANEO DEI VELENI-

Due macchie gialle dietro il vetro di un oblò. I fari di una telecamera di profondità illuminano la scena. Le macchie sono proprio al centro dell´immagine, sopra la data e l´ora della ripresa: 12 settembre 2009, 17,33. Una nuova ombra, un rigagnolo di veleni, esce da una fenditura della lamiera. Altre masse nere (pesci?) si intravedono nell´oscurità del relitto. Immagini che sembrano confermare il «sospetto inquietante» del Procuratore di Paola, Bruno Giordano: «Dietro quell´oblò potrebbero esserci i teschi di due marinai». Non è solo una bomba ecologica quella affondata al largo della costa calabra: è una bara. L´ultima destinazione per marinai irregolari come irregolare era ormai il Cunski con il suo carico inconfessabile: una discarica di veleni e di uomini. Quanti altri Cunski custodiscono segreti e rilasciano veleni dal fondo del Mediterraneo? La domanda è la stessa che inseguiva quattordici anni fa il capitano di vascello Natale De Grazia. Nel cuore dell´indagine prendeva appunti. Uno degli ultimi, fino ad oggi inedito, offre qualche punto interrogativo e diverse certezze. Vale la pena di leggere: «Le navi? 7/8 italiane e a Cipro. Dove sono? Quali sono? I caricatori e i mandanti. Punti di unione tra Rigel e Comerio. Hira, Ara, Isole Tremiti. Basso Adriatico. Porti di partenza: Marina di Carrara m/v Akbaya. Salerno/Savona/Castellammare di Stabia/Otranto/Porto Nogaro/Fiume. Sulina Beirut. C/v Spagnolo. Materiale radioattivo».

La storia inizia negli anni 80 quando l´Ispra avvia un progetto per lo stoccaggio in mare dei rifiuti radioattivi
L´imprenditore Giorgio Comerio si appropria del piano e ne fa un business: contatta i governi e offre smaltimenti a prezzi stracciati

Qual era la mappa cui si riferiva il capitano di vascello Natale De Grazia nell´autunno del ”95? Non lo sapremo mai. La sera del 12 dicembre De Grazia si accascia sul sedile posteriore dell´auto che lo sta portando a La Spezia, alla caccia dei misteri delle navi dei veleni.
Una morte per infarto, dice il medico. Ma un infarto particolare se poco tempo dopo il capitano verrà insignito della medaglia d´oro al valor militare. Comincia da qui, da quell´appunto inedito, il viaggio alla ricerca delle navi dei veleni, affondate non solo in Italia ma in tutto il Mediterraneo e nel Corno d´Africa. Una storia che inizia in modo legale, tra i camici bianchi nei laboratori di un´agenzia dell´Unione europea, diventa un´occasione di arricchimento per personaggi senza scrupoli e merce di scambio per i trafficanti di armi e uomini. Sullo sfondo, ma non troppo, un´incredibile tangentopoli somala e la morte ancora senza spiegazione ufficiale di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 18 gennaio 2005, rispondendo alle domande della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte dei due giornalisti italiani, il pm di Reggio Calabria Francesco Neri rivelava che «la cartina con i punti di affondamento e le segnalazioni di Greenpeace coincidono con le mappe di Comerio». L´indagine sulle navi dei veleni è rimasta lontano dai riflettori per 12 anni. Fino a quando, il 12 settembre scorso, il Manifesto rivela che un pentito, Francesco Fonti, ha consentito di scoprire un nuovo relitto sul fondale di fronte alle coste della Calabria. Una vicenda di cui ora si occuperà anche la Commissione antimafia. Così, alla ricerca di nuove bombe ecologiche sepolte, la mappa di Comerio è tornata d´attualità.
Di Giorgio Comerio, imprenditore nel settore delle antenne e delle apparecchiature di indagine geognostica, sono pieni i documenti delle commissioni di inchiesta. In un´intervista sostiene di essere vittima di un clamoroso equivoco: «Mi ha fermato alla frontiera un doganiere che non sapeva del progetto Euratom, è una bieca montatura». Una versione che ai pm sembra troppo semplice: «Aveva rapporti con i servizi argentini e iracheni e aveva comperato rifiuti da mezzo mondo».
L´inizio della storia delle navi dei veleni è in Italia, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, dove ha sede l´Ispra, l´Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che lavora ai progetti dell´Euratom. qui che, secondo il pm Nicola Maria Pace, negli anni 80 prende corpo un progetto ambizioso: «A Ispra - racconta Pace nel marzo del 2005 - presso gli impianti dell´Euratom di Varese, attraverso finanziamenti americani e giapponesi si avvia un progetto alternativo al sistema di deposito in cavità geologiche delle scorie nucleari. Tale progetto, denominato Dodos, ha visto la partecipazione di centinaia di tecnici di tutto il mondo: hanno contribuito due esperti scienziati dell´Enea ed anche Giorgio Comerio». L´idea è quella di inabissare sul fondo del mare il materiale radioattivo stivato nelle testate dei siluri. Progetto che verrà poi abbandonato per timore delle proteste degli ambientalisti. «Per impedire che idee di questo genere venissero messe in pratica - ricorda Enrico Fontana di Legambiente - venne firmata la Convenzione Onu che impedisce lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini».
Comerio capisce invece che quella tecnica può diventare una gallina dalle uova d´oro. Mette in piedi una società, la Odm, (naturalmente con sede nel paradiso fiscale delle Isole Vergini) e acquista i diritti della nuova tecnologia. Scopre un giudice a Lubiana che dà la patente al nuovo sistema sostenendo che non è in contrasto con la Convenzione Onu. il colpo dello starter. Da quel momento Comerio si mette sul mercato anche attraverso un sito Internet: fa il giro dei governi del globo proponendo di smaltire le scorie a prezzi scontatissimi. Francia e Svizzera rifiutano. Ma le commesse, soprattutto quelle in nero, cominciano a fioccare. La mappa degli affondamenti è quella studiata, nel Mediterraneo e negli oceani, dal gruppo di scienziati di Ispra. Ormai il progetto è fuori controllo. Nelle mani di Comerio cambia natura. Nell´audizione di fronte alla Commissione che indaga sulla morte di Ilaria Alpi, il pm Pace riferisce un particolare incredibile. La storia di «una intesa con una giunta militare africana, che si impegnava a cedere a Comerio tre isole, di cui una sarebbe stata affidata a lui, per installarvi un centro di smaltimento di rifiuti radioattivi in mare, un´altra sarebbe stata ceduta a Salvatore Ligresti, in cui avrebbe costruito villaggi turistici, la terza infine sarebbe stata data al professor Carlo Rubbia, affinché potesse installarvi un reattore di potenza abbastanza piccolo, per fornire energia sia all´impianto di smaltimento sia ai villaggi». Rubbia e Ligresti, naturalmente, rifiutano il progetto.
Il meccanismo è inarrestabile. Comerio contatta i governi della Sierra Leone, del Sudafrica, dell´Austria. Propone affari anche al governo somalo: 5 milioni di dollari per poter inabissare rifiuti radioattivi di fronte alla costa e 10 mila euro di tangente al capo della fazione vincente dell´epoca, Ali Mahdi, per ogni missile inabissato. Pagamento estero su estero, s´intende. A provarlo ci sono i fax spediti da Comerio nell´autunno del 1994 al plenipotenziario di Mahdi, Abdullahi Ahmed Afrah, e acquisiti dalla commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi. La giornalista della Rai aveva scoperto il traffico e, cosa più pericolosa, la tangente?
Qualcosa di simile aveva scoperto De Grazia. Su ordine del pm di Reggio, Francesco Neri, aveva perquisito a Garlasco l´abitazione di Giorgio Comerio: era il settembre 1995, un anno dopo la morte dei giornalisti in Somalia. Il capitano italiano seguiva le rotte delle navi dei veleni. Indagava sulla Riegel, affondata nel 1987 nello Ionio e sulla Rosso, spiaggiata davanti ad Amantea il 14 dicembre 1990. Navi cariche di veleni, «almeno trenta», secondo diversi pentiti. Nella cabina di comando della Rosso si scopre una mappa di siti per l´affondamento, la stessa che sarebbe stata trovata, cinque anni dopo, nell´abitazione di Comerio. De Grazia indaga sugli affondamenti ma anche sulle rotte. E scopre che se il cimitero dei veleni è nei mari del Sud Italia, i porti di partenza sono nel Nord, in quell´angolo misterioso tra Toscana e Liguria dove si incontrano due condizioni favorevoli: l´area militare di La Spezia e le cave di marmo delle Alpi Apuane. Perché l´area militare garantisce la riservatezza e il granulato di marmo copre le emissioni delle scorie radioattive: «Stavamo andando a La Spezia - riferisce oggi uno di coloro che si trovavano sull´auto di De Grazia nel suo ultimo viaggio, il 12 dicembre - per verificare al registro navale i nomi di circa 180 navi affondate in modo sospetto negli ultimi anni e partite da quell´area». Il capitano non sarebbe mai arrivato a La Spezia. Ma aveva già scoperto molte cose. Sapeva, ad esempio, che nella casa di Comerio c´era una cartellina: «una carpetta - riferisce Neri - con la scritta Somalia e il numero 1831. Nella cartella c´era il certificato di morte di Ilaria Alpi». Oggi, naturalmente, scomparso dagli atti.

REPUBBLICA 26/9/2009
la spezia
La cosa più strana erano i bracci delle gru che sporgevano dal pontile. Come se stessero lavorando in porto. Ma la nave galleggiava al largo, «circa dieci miglia a nord di Marciana Marina». Uno spettacolo inconsueto per una sera d´estate di fronte alle spiagge dell´Elba. Che cosa ci faceva in quel tratto di mare, alle 21 del 5 luglio scorso, la portacontainer maltese "Toscana"? «Abbiamo osservato la nave con l´aiuto di binocoli e ci siamo accorti che l´equipaggio lavorava sulle gru gettando alcuni oggetti fuori bordo. Gli oggetti sembravano essere container da 16 piedi (circa 5 metri)». Questo scrivono nel loro rapporto all´autorità portuale gli uomini della Thales, un´imbarcazione tedesca che partecipa a progetti internazionali insieme a Legambiente. Qualsiasi cosa stessero facendo a bordo del Toscana, la presenza degli intrusi non è gradita: «Abbiamo cambiato immediatamente rotta per seguire più da vicino l´attività sul ponte - scrivono ancora gli ambientalisti tedeschi - ma dopo poco tempo la nave ha preso una rotta di collisione con noi». Un vero e proprio inseguimento: «Abbiamo dovuto fare una manovra di emergenza virando di 45 gradi ma dopo pochi minuti la ”Toscana´ era nuovamente in rotta di collisione». Di quella sera restano la denuncia dell´imbarcazione tedesca («veritiera e in accordo con le regole della marina Mercantile Britannica») e le fotografie scattate a rischio della vita.
Dunque, la storia delle navi dei veleni continua oggi. Nonostante le denunce, le indagini, gli arresti. Spiega Paolo Russo, ex presidente e membro della Commissione d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti: «Spesso non è necessario affondare una nave per seppellire i rifiuti. Quando i pentiti parlano di affondamenti si riferiscono anche al lancio dei container fuori bordo». I motivi sono economici e, talvolta, militari. «Smaltire un rifiuto pericoloso - dice il pm Luciano Tarditi - può essere più conveniente che trafficare con la droga. Anche solo per il fatto che chi smaltisce rifiuti viene considerato un benefattore della società e viene pagato con denaro pulito». I motivi militari, come vedremo, riguardano la necessità di nascondere attività politicamente inconfessabili affidandosi ai service della criminalità organizzata. La lunga storia del sito Enea di Rotondella in Basilicata è un esempio di scuola.
Secondo i dati raccolti dalla commissione presieduta da Russo, ogni anno spariscono in Italia «tra i 6 e gli 8 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi che è come dire una collina alta 300 metri». In sedici anni la massa delle sostanze sparse illegalmente nell´ambiente arriva all´altezza del Monte Bianco. Per lungo tempo, spiega il parlamentare del Pdl, i rifiuti prodotti al Nord percolavano lungo la penisola fino allo smaltimento illegale a Sud: «Punto di snodo essenziale di questa attività era l´area della Toscana e della Liguria». Quel golfo dei veleni e dei misteri che parte da La Spezia e arriva a Livorno. Da qui negli anni ´90 sono partite le navi destinate al naufragio sulle coste di fronte alla Calabria o alla Somalia. Da La Spezia è partita nel dicembre del 1990 la Jolly Rosso, ormai ridenomianta Rosso, dell´armatore Ignazio Messina. Sempre a La Spezia il pm Tarditi ha scoperto il gravissimo inquinamento della discarica di Pittelli - sulla collina che guarda il porto commerciale - di proprietà di Orazio Duvia, uno dei signori italiani dei rifiuti. «A Pittelli - ricorda l´avvocato di Legambiente Riccardo Lamma - fu trovato di tutto e in due dei cinque strati della discarica le trivelle non sono riuscite ad arrivare». Nella parte analizzata sono saltati fuori, tra gli altri, alcuni fusti dell´Union Carbide, la società responsabile del disastro di Bophal. «Durante i lavori di bonifica - riferiscono gli abitanti della zona - un operaio forò con la benna un bidone e morì il giorno dopo per la nube tossica sprigionata». L´arresto di Duvia e di altri 9 personaggi coinvolti nel disastro ambientale è del 28 ottobre 1996. Partendo dall´indagine di Tarditi un pool di giornalisti di Famiglia Cristiana riuscì a risalire al traffico di rifiuti verso la Somalia e all´omicidio di Ilaria Alpi. La procura di La Spezia invece è stata meno efficiente: il pm astigiano trasmise gli atti, per competenza territoriale, nel dicembre del ´96. Incredibilmente ancora oggi non si è concluso il dibattimento in primo grado: la speranza degli imputati superstiti è di conquistare, nel 2011, la prescrizione dei reati.
Le dichiarazioni all´ Espresso del pentito Fonti, che parla di due affondamenti, uno di fronte a Livorno e uno di fronte a La Spezia, hanno spinto Legambiente a chiedere nuove indagini di fronte al porto ligure: «Le analisi condotte dell´Ircam e rese note in un rapporto del 2005 - rivela la legale degli ambientalisti, Valentina Antonini - mettono in evidenza "livelli preoccupanti di rame" e altri metalli nella rada di fronte alla città. Vogliamo sapere se questo è dovuto all´inquinamento di chi negli anni scorsi può aver gettato in mare rifiuti tossici che finirebbero per rappresentare un grave pericolo per la sicurezza dei cittadini». Per questo Antonini presenterà nei prossimi giorni un esposto alla procura chiedendo che sul punto venga sentito Fonti.
Il business dell´inquinamento nasce dai costi molto alti dello smaltimento legale: «Abbassare i prezzi dello smaltimento pulito è la vera scommessa da vincere», dice Paolo Russo. Oggi la differenza è decisamente favorevole alla soluzione criminale. Secondo uno studio inglese e i risultati delle indagini di Legambiente, trattare in modo legale una tonnellata di sostanze pericolose in Occidente può costare tra i 100 e i 2.000 euro, a seconda del tipo di rifiuto. In Africa il tariffario per sostanze dello stesso tipo va da 2,5 a 50 euro a tonnellata, come dire quattrocento volte di meno. Un risparmio medio di 1.000 euro a tonnellata che in Italia vuol dire un business illegale di 8 miliardi all´anno. Luciano Tarditi spiega che «uno dei sistemi utilizzati è quello del cosiddetto giro bolla». Con una serie di trattamenti fittizi i rifiuti pericolosi vengono ridotti a rifiuti assimilabili a quelli urbani e finiscono in discarica con questi ultimi. «Il fatto grave - aggiunge Russo - è che in questo modo le sostanze tossiche possono finire nel compost venduto agli agricoltori come concime. Anni fa sono stati sequestrati per questo motivo 4 ettari di terreno già coltivati a mais e ovviamente inquinati». Non si saprebbe quale dei due mali, l´inquinamento dei mari o quello delle campagne, sia il peggiore. Ma come vedremo, soprattutto quando i rifiuti sono radioattivi, il primo è spesso la conseguenza del secondo.
(2.continua)