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 2009  settembre 24 Giovedì calendario

«Nei reality l’insulto non è reato» - Insultare qualcu­no? Sì può. Basta farlo in un re­ality

«Nei reality l’insulto non è reato» - Insultare qualcu­no? Sì può. Basta farlo in un re­ality. Che siano confinati su un’isola deserta o rinchiusi in una casa-bunker, i concorrenti di questi programmi hanno la licenza di prendersi a male pa­role. Ma non quella di sentirsi offesi.

 Questo in base ad una curio­sa sentenza della Cassazione, per cui i reality «sollecitano il contrasto verbale tra i parteci­panti ». I concorrenti ne sono consapevoli e quindi, se anche vengono bollati con epiteti po­co simpatici, non possono la­mentarsi. Tanto meno chiede­re i danni.

 Con queste motivazioni, la Suprema Corte ha respinto la domanda di risarcimento avan­zata da un partecipante di «Survivor», Franco Mancini. Era il 2001 quando, su Italia 1, veniva trasmessa la prima (e unica) edizione del program­ma: una specie di antenato del­l’ «Isola dei Famosi» ma con concorrenti sconosciuti. Tra questi, spediti sulle isole del­l’arcipelago di Bocas del Toro, vicino a Panama, c’era appun­to Mancini. Il contadino di Rie­ti, che all’epoca aveva 47 anni, aveva rivolto delle attenzioni ad una concorrente più giova­ne: per questo, un altro parteci­pante, Samuele Saragoni, l’ave­va definito «pedofilo». E dalla tv, la vicenda è passata al Tribu­nale. Poi alla Corte d’Appello. E infine alla Cassazione. Ma an­che i giudici supremi hanno ri­badito il no al risarcimento danni chiesto da Mancini. Do­po l’assoluzione accordata a Sa­ragoni sia dal Tribunale di Rie­ti che dalla Corte d’Appello di Roma, Mancini era arrivato al­la Cassazione che però ha re­spinto il suo ricorso (sentenza n.37105), allineandosi ai giudi­ci del precedente grado – «I reality sollecitano il contrasto verbale tra i partecipanti secon­do uno schema che anche a quell’epoca non poteva sfuggi­re ai soggetti coinvolti» – e condividendo la conclusione per cui «l’uso della parola ’pe­dofilo’ era scherzoso». Quan­do Mancini aveva fatto notare che la sequenza poteva essere «tagliata», i giudici hanno sta­bilito: «Irrilevante visto che se ne esclude la portata offensi­va ». A poco è valsa anche la precisazione dell’ex concorren­te, per cui «l’epiteto ’pedofilo’ anche se pronunciato scherzo­samente era comunque offen­sivo». E ancora meno quella in cui sosteneva che essendo «Survivor» il primo reality tra­smesso in Italia non era noto che fosse indirizzato «alla rissa verbale». Nulla da fare anche quando ha sostenuto di subire da allora «pesanti sfottò»: « una conseguenza della notorie­tà volontariamente acquisita». 

«La sentenza della Cassazio­ne avalla un malcostume televi­sivo che tende ad espandersi su un malcostume sociale», commenta Saro Trovato, presi­dente dell’associazione Comu­nicazione Perbene che aveva condotto uno studio sulla pas­sata stagione tv, secondo cui sulle principali reti Rai e Me­diaset, ogni 8-10 minuti si assi­steva ad un insulto.

 Stupefatta anche Antonella Elia, che nel 2004 all’«Isola dei Famosi», litigando con Aida Yespica, dalle parole era passa­ta alle tirate di capelli: «Dare due schiaffoni ad una o dare del ’pedofilo’ non è lo stesso. un insulto terribile». Nei rea­lity gli insulti sembrano am­messi... «Ci sono dei limiti. Io ho fatto a botte, ma non ho le­so la dignità di nessuno». La showgirl pensa che la senten­za celi un messaggio: «I giudi­ci pensano che i reality vengo­no fatti e guardati da una mas­sa di deficienti. Denigrano un genere».

Chissà che ora la legittima­zione dell’insulto nei reality non venga specificata anche nel contratto dei concorrenti.