Pierangelo Sapegno, La stampa 23/09/2009, 23 settembre 2009
IL JACKPOT SOTTO IL CUSCINO
Quando la Punto blu si infila nel cortile, zia Elvira ha già sceso le scale, di fronte, dall’altra parte della strada, per avvisarlo che ci sono i giornalisti, «Ugo, di nuovo come allora, qui per te, come un mese fa, quando pensavano che avessi vinto al Superenalotto». Ma dal 22 agosto a vederlo da questa cascina con il prato davanti, Bagnone sembra tornato un altro mondo.
Rimandato indietro di un giorno solo, prima che qui piovessero 148 milioni di euro e Ugo Verni diventasse il boscaiolo più famoso della terra. Anche lui, adesso, è come se fosse tornato a casa, niente più miliardi, niente più tv, niente più sogni da buttare in faccia ai cronisti. Ha la barba lunga, i capelli arruffati, la compagna Elena che non smette di guardarlo male e di sgridarlo appena apre bocca. Lei sta già appoggiata alla rete che delimita il cortile. Gli dice che deve star zitto. Gli dice: «Tu parli e fai solo guai. Se c’ero io un mese fa non succedeva niente. Ma ero in viaggio, stavo tornando dalla Russia».
La cosa strana, però, non è che oggi lo dicano tutti, a Bagnone, che non è stato lui a vincere quei soldi del Superenalotto, ma è come lo dicono, con tutta la crudeltà e la dolcezza di un paese, perché l’Ugo è troppo buono, perché è un bonaccione, è fatto così, e la fortuna non li guarda mai quelli come lui, perché, come racconta Andrea Sbarra sulla soglia della tabaccheria di Wilma Greci, «perché Ugo con lo scalpello non è un muratore normale, è un artista, un vero artista, ma ha il carattere che ha, non chiede mai niente, non vuole mai niente. Ugo non è capace di vincere».
Il bello è che se glielo dici, lui è pure contento. Il paese è come una mamma: se dice così è perché ti vuole bene. Ah, quel giorno, sussurra con gli occhi bassi, mentre Elena lo sgrida scuotendo la rete: «Quel giorno dovevi tagliarti la lingua! Non lo vedi che ti prendono in giro?». Lui non alza lo sguardo da terra, solo un lampo di sottecchi, vergognoso, verso di lei. Quel giorno, racconta, «m’ero fermato a Villafranca a fare la spesa, alla Conad, ed ero arrivato da Vanni, al bar Biffi, alle 14 e 26 minuti. O 22, non mi ricordo. So che erano quattro minuti dopo. Quando mi è passata la sbornia, quei quattro minuti non li ho più dimenticati, perché la schedina era stata giocata quattro minuti prima. Dentro, alla ricevitoria, c’erano solo delle donne. Tutte signore di cinquant’anni, erano in 5, mi sembra, o forse no, e ce n’era anche una di Torino. Cioè, di qui, ma che adesso vive a Torino».
Come dire che hanno vinto loro, o il Vanni. Perché non c’erano altri lì dentro. In paese, adesso sussurrano tutti che è il Vanni quello che ha vinto, Vanni Simonetti, che assieme a Annamaria Ciampini governa il bar Biffi e la ricevitoria che ha dispensato i milioni. Vanni è l’opposto di Ugo: tipo sveglio, gran parlatore, «cacciatore di funghi», come spiega il sindaco, Gianfranco Lazzeroni, «quindi abituato a raccontar storie». Anche se le storie, in quei giorni, le hanno raccontate tutti.
Ed è questo che fa effetto, perché un paese ha bisogno delle sue storie, ma se le tiene dentro, avvolte fra di loro come in un romanzo di García Márquez. Oggi, Bagnone è ritornato così, con i suoi personaggi uguali alla loro vita, rimessi a posto nelle loro caselle. Forse, c’erano anche allora, vittime e protagonisti di scherzi e di risate. Ma noi, che correvamo da fuori, non l’avevamo capito. Adesso ci sono questi castagni di fronte, e il rintocco delle campane nel silenzio di questo crepuscolo. Elena s’è staccata dalla rete: «Quand’è da solo, beve un po’ troppo». Lui non fa né sì né no. «Ero andato via di corsa perché dovevo mettere la carne nel congelatore. Poi alla televisione ho sentito i numeri. E dopo ho sentito che il biglietto era stato venduto a Bagnone».
La zia Elvira lo aiuta a ricordare: «Le abbiamo guardate assieme le nostre schedine. Lui aveva fatto tre e io zero». Ugo si gratta la barba: «Ce l’ho qui, la vuole vedere?». Ma quel giorno non aveva detto che l’aveva strappata e buttata in aria come coriandoli assieme agli altri? come se cadesse dalle nuvole: «No, no...». Elena, lì accanto, fa una smorfia di rassegnazione: «A lui piace parlare, dice cretinate senza pensarci. E’ convinto che i giornalisti siano come gli amici del bar». A Ugo è già scappato un sorriso: «Ho pensato: beh si fa festa, vado al bar a ridere...». Anche il vicino di casa aveva detto la stessa cosa, quando lo cercavamo nel pomeriggio, facendosi una grossa risata appena gli avevamo chiesto se poteva essere lui il fortunato dei 148 milioni: «Ma lei lo conosce? Ugo? Se avesse vinto sarebbe già lì che offre da bere a tutti e che si offende pure se uno non ci sta. Ugo non è buono per queste cose. Lui deve fare quello che fa. E’ un grande muratore, lo sa? Guardi, lo sa tutto il paese. L’unico che non lo sa è Ugo. Capisce?».
Però, aveva raccontato la signora Greci, della tabaccheria vicino al bar Biffi, due giorni dopo quel 22 agosto l’aveva visto di mattina, in piazza, che piangeva. Gli aveva chiesto che succedeva, e lui aveva detto che aveva paura: tutti quei giornalisti sotto casa, tutta quella fama, e quelle telefonate che arrivavano di gente che non conosceva. Non sapeva come fare. E’ un incubo che prese un po’ tutte le vittime di quella vincita: Andrea Barbieri da allora s’è tappato in casa, Sergio Bassignani non parla più con nessuno e don Claudio, il prete albanese, se n’è andato addirittura via. Ugo invece è tornato quello di prima. Ma perché è fatto così. Loro hanno tutti perso. Ma solo lui s’è ritrovato qui dentro, nella lentezza infinita e dolente del suo paese.