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 2009  settembre 22 Martedì calendario

I NOMI DEGLI EROI

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...»: tutti i caduti italiani nelle missioni all’estero hanno sacrificato la vita in fedeltà assoluta all’articolo 11 della Costituzione. Dalle prime, lontane, vittime in Nord Africa, all’eccidio in Congo, ai Balcani, Beirut, la Somalia, la prima guerra nelGolfo, l’Iraq e oggi l’Afghanistan,hanno costruito - con i loro commilitoni e le donne da qualche anno arruolate-un’immagine delsoldato italiano forte e gentile, compassionevole e professionale. Il Sole 24 Ore li ricorda in queste pagine tutti, uno per uno, con il loro volto, dall’istantanea bianco e nera di soldati «padri di famiglia» nati all’inizio del ’900, fino ai volti dei ragazzi caduti con l’ultimo sms della fidanzata sul cuore.C’è un’idea di «pace»che è starsene a casa, al comodo, e lasciare che il mondo soffra, lontanoe negletto.E c’è un’idea di pace che sa di dover fermare la guerra, gli oppressori e il terrorismo, anche battendosi armi in pugno, perché la «pace» senza giustizia è un deserto. Negli Stati Uniti un monumento magnifico di Maya Lin ricorda, coni nomi scolpiti nel granito, i caduti del Vietnam. Anche noi dovremmo costruire un monumento per i nostri caduti nelle missioni internazionali, luogo dove ogni italiano possa sentirsi veramente italiano.
di Serena Danna
Eritrea 1950. Pio Semproni parte da Aquaviva Picena, un comune marchigiano nella valle del Tronto, il 3 novembre del 1949, destinazione Eritrea. Lì, pochi giorni dopo, prende servizio presso il comando dei carabinieri in qualità di comandante della stazione di Agordat. Due anni prima,gli uomini dell’Arma che operavano da prigionieri di guerra sotto il controllo degli inglesi, erano stati rilasciati: da quel momento, solo volontari nella zona. Semproni conosce bene l’Eritrea. Sa che è terra di predoni: durante le battaglie di Agordat, le scorribande di dervisci provenienti dal Sudan erano quotidiane. Ha passato due anni nell’Africa orientale italiana: sa come fronteggiare le haboob , le terribili tempeste di sabbia della regione, e fa sognare i suoi cari scrivendo delle piantagioni di banane, un frutto allora difficile da trovare. Semproni ha sofferto il mal d’Africa nei dieci anni in Italia. Il maresciallo ama stare con i locali. Così quel giorno: il 21 ottobre del 1950 quando insieme a tre indigeni viene aggredito con bombe a manoe colpi di fucile da briganti della zona e, dopo un lungo combattimento, muore. Semproni è il primo caduto italiano all’estero del dopoguerra. Ad Acquaviva, la caserma dei carabinieri è intestata al suo ricordo.
Congo 1961
Mancano dodici giorni al rientro in Italia dei tredici militari che l’11 novembre del 1961 viaggiano sui C-119, i "vagoni volanti" della 46esima Aerobrigata di stanza a Pisa. I due equipaggi italiani operano in Congo da un anno e mezzo nell’ambito della missione Onu. L’obiettivo è ristabilire ordine e pace nel paese devastato dalla guerra civile seguita all’indipendenza e all’uccisione di Patrice Lumumba, primo premier della Repubblica Democratica del Congo. La missione si presenta critica da subito: dall’inizio delle operazioni sono morti già cinque commilitoni.
Quella mattina dell’11 novembre 1961 il Maggiore Amedeo Parmeggiani e i suoi ragazzi hanno una missione: rifornire la guarnigione malese dell’Onu che controlla l’aeroporto vicino Kindu ai margini della foresta equatoriale. Tutti hanno paura della foresta: le truppe lumumbiste, provenienti da Stanleyville e dirette nel Katanga alla ricerca di mercenari katanghesi da sterminare, terrorizzano indigeni e caschi blu. I tredici militari devono solo mollare cibo e confortoe ripartire, ma vengono scambiati per parà katanghesi: inseguiti e catturati saranno uccisi e fatti a pezzi. I cadaveri vengono ritrovati solo nel febbraio del ’62 in una fossa comune a Tokolote, sulle rive del Lualaba. Tante città hanno voluto dedicare un monumento ai caduti dell’Eccidio di Kadù, ricordare il soldato che «interveniva in difesa dei suoi uomini protestando la nazionalità italiana e la neutralità delle parti».

Filippo Montesi ha diciannove anni quando, in servizio di pattugliamento notturno a Beirut, viene attaccato «con raffiche di mitra e lancio di bombe». nato a San Costanzo, in provincia di Perugia, l’11 maggio del 1963. Arriva in Libano per la missione in un giorno d’autunno.La forza multinazionale di pace richiesta dal governo in seguito alla strage nei campi profughi di Sabra e Shatila - dove per mano di milizie cristiane libanesi hanno perso la vita un numero mai precisato di rifugiati arabi - ha appena iniziato a operare. Un teatro di guerra e disperazione descritto be-ne dalla scrittrice Oriana Fallaci in Inshallah : « troppo facile dar la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l’entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita».
Filippo ama il suo lavoro e lo considera una missione. Mentre pattuglia le strade della capitale viene colpito il 15 marzo 1983: «Ferito gravemente in più parti, dando prova di abnegazione, incitava i commi-litoni a reagire, invitandoli a non curarsi di lui». Muore una settimana dopo in ospedale.


Afghanistan 1992-2009

La Repubblica Islamica viene proclamata il 17 aprile del 1992. L’anno successivo all’instaurazione del regime dei talebani comincia la missione "Unsma" per favorire il dialogo con l’Alleanza del Nord.Il colonnello Carmine Calò il 21 agosto 1998 sta viaggiando insieme a un collega francese a bordo di un’automobile dell’Onu. Viene raggiunto da colpi di arma da fuoco e muore il giorno dopo in ospedale.«Gravemente ferito,riusciva comunque a mantenere il controllo del veicolo di cui era alla guida ed ad arrestarlo, evitando gravissimi possibili danni al collega trasportato». In seguito alla decisione americana di invadere il paese, i militari italiani tornano in Afghanistan nel 2001 con la missione Isaf (International Security Assistance Force), che dall’agosto del 2003 diventa a guida Nato. Il primo caduto sul nuovo fronteè il caporale maggiore Giovanni Bruno che muore il 3 ottobre del 2004 . Da allora la ruota della morte accelera. Alessandro Croppo, viso da bambino e sorriso dolce, che se ne va a 23 anni colto da un malore. I sei paracadutisti della Brigata Folgore scomparsi nell’attentato del 17 settembre a Kabul, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Gian Domenico Pistonami, Roberto Valente, Antonio Fortunato e Massimiliano Randino sono tutti di età compresa tra i 26 e i 37 anni.


Iraq 1991-2009

L’invasione irachena del Kuwait il 2 agosto del 1990 determina la decisione del governo italiano di inviare nel Golfo Persico un gruppo navale e una componente area per verificare l’applicazione dell’embargo contro il regime di Saddam Hussein. la prima operazione bellica dell’Italia dalla seconda guerra mondiale. Sotto l’egida dell’Onu.Il 13 febbraio 1991 la nave con a bordoi militari è ormeggiata nel porto a Jebel Ali a sudovest di Dubai: il marinaio Cosimo Carlino scende per telefonare ai familiari. Viene accoltellato nella cabina telefonica, muore il giorno dopo. A 20 anni.
I militari italiani tornano in Iraq 12 anni dopo. Gli attentati dell’11 settembre hanno portato la guerra dai campi di battaglia al cuore di Manhattan. L’operazione "Iraqi Freedom" della coalizione internazionale guidata dagli Usa contro il regime di Saddam Hussein inizia il 15 luglio del 2003. Il primo maggio parte la cosiddetta fase di "post conflitto": bisogna ricostruire l’Iraq. Agli italiani, inseriti nell’operazione definita Antica Babilonia, è affidata la provincia irachena di Dhi Qar, a maggioranza sciita. Il capoluogo è An Nasiriyah, città ricca di petrolio e di storia. La missione del contingente - recita l’articolo 1 della legge 1 agosto 2003 - è «concorrere, come gli altri paesi della coalizione, a garantire quella cornice di sicurezza essenziale per un aiuto effettivo e serio al popolo iracheno e contribuire con capacità specifiche alle attività d’intervento più urgente nel ripristino delle infrastrutture dei servizi essenziali». Ma la definizione data dagli amministratori del conflitto non corrisponde alla realtà: il paese è ancora in guerra. La mattina del 12 novembre 2003 un camion cisterna colmo di esplosivo salta in aria davanti alla base italiana Maestrale: l’appuntato Filippa cerca di fermare i kamikaze con il suo fucile Ar 70/9 e riesce a evitare che il camion si introduca all’interno della caserma.Muoiono diciassette militari e due civili: Marco Beci, cooperatore internazionale del ministero e il regista Stefano Rolla. Gli uominie le donne con le stellette di Antica Babilonia hanno scritto per i commilitoni scomparsi: «Non vi dimenticheremo. Ed è anche per voi che continueremo a servire la patria e a difendere pace, libertà e dignità umana ovunque il nostro dovere di militari italiani ci chiamerà ad operare». Così fanno. E così ancora muiono: Nicola Calipari, l’agente del Sismi ucciso dai militari americani per difendere la giornalista Giuliana Sgrena, Salvatore Domenico Marracino, il sergente che nella foto istituzionale porta i Ray-Ban come un qualunque ragazzo di ventisei anni; Giuseppe Lima; Marco Briganti e gli

altri caduti fino a oggi in Iraq.


Ex Jugoslavia 1991-2009

I territori della Ex Jugoslavia hanno visto un impegno molto attivo dell’esercito italiano. Dall’eccidio di Podrute in Croazia (7 gennaio 1992) durante il quale perdono la vita quattro militari in volo, all’abbattimentio del G222 dell’Aereonautica su cui viaggiano quattro militari; dall’operazione Sharp Guard dove, insieme al capo Nicola Fele, muore il «giovane ed entusiasta Ufficiale del Corpo della capitaneria di Porto» Roberto Aringhieri alle missioni in Bosnia che hanno impegnato 1.140 italiani. Fino ad arrivare alla missione Kfor in Kosovo, ancora in corso, in cui hanno perso la vita otto militari.


Somalia 1992-1994

Maria Cristina Luinetti amava il latino e il greco e negli anni Novanta si era iscritta a un corso per diventare programmatrice elettronica. Poi l’impegno umanitario cambia il corso della sua vita. Muore il 9 dicembre 1993 nel poliambulatorio italiano di Mogadiscio dove lavora come infermiera. Un folle le spara tre pallottole. la prima e unica donna a morire tra i militari italiani, e accade nella stessa terra dove tre mesi dopo verrà uccisa la giornalista Ilaria Alpi.

Restore Hope,
ristabilire la speranza, è il nome dell’operazione umanitaria nello stato africano lacerato da anni di guerra civile a cui è dedicato il sacrificio di undici militari. Durante la battaglia del pastificio (Checkpoint Pasta) perdono la vita tre soldati. Tra i superstiti della giornata di scontri c’è Gianfranco Paglia,che gambizzato resta in servizio e oggi deputato del Pdl.