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 2009  settembre 22 Martedì calendario

Italia, se lo Stato ispira sfiducia - 
La maggiore lacuna dell’Italia non ri­guarda la nazione, che come entità linguistica e culturale esiste dal Me­dioevo, ma lo Stato, che è sorto tardi nell’Ottocento e per giunta è stato quasi de­molito negli ultimi decenni, con ricadute de­vastanti per la convivenza civile

Italia, se lo Stato ispira sfiducia - 
La maggiore lacuna dell’Italia non ri­guarda la nazione, che come entità linguistica e culturale esiste dal Me­dioevo, ma lo Stato, che è sorto tardi nell’Ottocento e per giunta è stato quasi de­molito negli ultimi decenni, con ricadute de­vastanti per la convivenza civile. Questa tesi, espressa da Tommaso Padoa-Schioppa nel fondo del «Corriere» di domenica scorsa, ha suscitato la reazione polemica del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, secondo il quale essa trascura i valori tradizionali – per­sona e famiglia in primo luogo – e adombra inesistenti minacce per la democrazia. 

Tra gli storici, Francesco Barbagallo, auto­re del volume L’Italia repubblicana (Caroc­ci), condivide l’allarme di Padoa-Schioppa, ma non la sua ricostru­zione storica: «I richia­mi di Sacconi sono pu­ra retorica, perché igno­rano la grande distru­zione subita dal tessuto etico del nostro Paese a partire dagli anni Ottan­ta. Le preoccupazioni di Padoa-Schioppa mi trovano concorde, ma dissento da lui quando identifica lo sviluppo medievale della lingua, della cultura e dell’arte con la formazione della nazione italiana, che è una comunità politica sorta soltanto nell’Otto­cento. Prima esisteva­no tanti Stati diversi, con forti identità speci­fiche, spesso in guerra tra loro: per lunghi se­coli la storia italiana è stata multinazionale». Un rilievo di altro genere viene da Simona Colarizi, autrice di una Storia del Novecento italiano uscita nella Bur: «Non credo che il problema sia tanto la struttura dello Stato, che del resto va sempre più delegando le pro­prie attribuzioni all’Europa, ma piuttosto la mentalità degli italiani, ben poco sensibile al valore della legalità. Per parecchio tempo nel nostro Paese sono state egemoni forze estra­nee alla cultura dello Stato di diritto. Prima abbiamo avuto il ventennio fascista, poi l’ege­monia è passata ai cattolici e ai marxisti, che avevano riferimenti ideologici di tutt’altro ge­nere. Così la cultura liberale è rimasta sem­pre minoritaria e le conseguenze si avvertono ancora oggi». Diverso il giudizio sull’Italia repubblicana di Paolo Pombeni, studioso di storia dei parti­ti: «Il sistema politico nato dopo il 1945 ha avuto il merito di integrare le masse popola­ri, che avevano sempre vissuto lo Stato mo­narchico come un apparato dedito alla sopraf­fazione dei sudditi. L’unificazione nazionale aveva permesso alla società italiana di orga­nizzarsi politicamente per affrontare la sfida della modernità, ma l’identificazione tra citta­dini e istituzioni era rimasta debole. Purtrop­po a un certo punto i partiti hanno smesso di funzionare come canale di comunicazione con le istanze sociali, mentre si verificava un progressivo spappolamento dei legami tradi­zionali. Oggi manca la fiducia dei cittadini verso la sfera pubblica: ricostruirla è l’urgen­za principale per il nostro Paese».

 Analoga la diagnosi di Barbagallo: «Dopo i disastri del fascismo e della guerra, lo Stato e la nazione si erano dissolti. Bisognava rico­struire tutto dalle fondamenta. Ma in quindi­ci anni una classe dirigente valida e animata da forti ideali, per quanto divisa da duri con­trasti, riuscì a fare dell’Italia una grande po­tenza industriale. Poi però allo sviluppo non sono seguite le necessarie riforme, per la resi­stenza degli interessi costituiti, e l’Italia è an­data man mano alla deriva, fino a cadere in una crisi morale galoppante, che sta precipi­tando nel declino della nazione: il pessimi­smo di Padoa-Schioppa sulla situazione attua­le mi pare dunque pienamente fondato».

 Pombeni nota però che certi allarmi risuo­nano anche altrove: «La crisi della dimensio­ne pubblica è un fenomeno comune a tutto l’Occidente. Un prestigioso intellettuale ingle­se, David Marquand, lo ha denunciato in Gran Bretagna, dove pure esiste un’antica tra­dizione di spirito civico, mentre in Francia Pierre Rosanvallon ha parlato di ’controde­mocrazia’ per segnalare il distacco dalle isti­tuzioni rappresentative e la tendenza dei citta­dini a metterle sotto accusa».

 Tuttavia dall’estero, osserva Simona Colari­zi, vengono anche esempi positivi: «Quando vado negli Stati Uniti resto sempre colpita dal fatto che perfino il più umile e ignorante cit­tadino di quel Paese conosce i principi costi­tuzionali e rivendica i diritti che ne derivano, sia pure magari in forma rozza ed elementa­re. In America c’è un solido senso di apparte­nenza, fondato sui valori supremi dell’ordina­mento giuridico. In Italia invece non credo ci siano pericoli concreti per le libertà democra­tiche ma resta purtroppo assai labile il senso della cittadinanza come insieme di doveri e diritti dell’individuo».