Andrea Tarquini, Affari&Finanza 21/09/2009, 21 settembre 2009
IL PASTICCIO OPEL DIVIDE LA GERMANIA
Risveglio amaro in salsa tedesca sulla Opel. La scelta di Magna e dei suoi alleati russi di Sberbank e di Gaz con le spalle coperte dal Cremlino sembrava l’uovo di Colombo, appariva a tutto l’establishment politico tedesco e ai sindacati, i più potenti del mondo, la soluzione che avrebbe dato più garanzie di sopravvivenza, salvaguardia dei posti di lavoro e futuro competitivo allo storico marchio con il lampo dorato di Ruesselsheim. Sembrava così, e in una stagione politica calda di campagna elettorale le convinzioni diventano fede, pur di non perdere elettori. Così Berlino ha detto no a Fiat, ai cinesi di Biac, ai belgi di RHJ Ripplewood, presentando all’elettorato la scelta di Magna come la più oculata e sicura per l’avvenire.
Invece adesso scoppia il bubbone, anzi ne scoppiano tanti insieme. Magna rivela, dopo l’annuncio del progetto di accordo, che i posti di lavoro da tagliare sono più di quanto non si pensasse. Gli stessi esperti messi nell’amministrazione fiduciaria di Opel come rappresentanti del governo federale e Laender della federazione tedesca in cui sorgono impianti della filiale europea di General Motors insorgono. Denunciano, primo, che gli aiuti pubblici tedeschi nonostante ogni assicurazione del contrario finiranno in tasca ai russi, col pericolo che Mosca ”incassi’ anche l’invidiabile knowhow tecnologico di Opel. Secondo, affermano che l’unico perdente è il contribuente tedesco, in una situazione in cui nonostante ogni promessa del contrario non è affatto escluso che nel 2011 o nel 2012 Magna si ritiri, o che anche senza un suo ritiro tutto il progetto fallisca e Opel debba depositare i bilanci e finire in bancarotta. Gli altri produttori d’auto tedeschi, il gruppo Volkswagen in testa, minacciano di rompere i contratti di fornitura con Magna, gigante dei ricambi fino a ieri ma ora, con Opel in pugno, concorrente fastidioso. Infine ma non ultimo, gli altri paesi dell’Unione Europea dove sorgono impianti Opel o Vauxhall (il marchio inglese di General Motors) sono sul piede di guerra contro Berlino: la accusano di politica protezionista e di voler ridurre al minimo i licenziamenti negli stabilimenti Opel in Germania, scaricando i tagli nel resto della Ue «opeliana», dalla Spagna al Belgio alla Polonia.
E’ uno scenario infernale e da incubo, di cui pian piano media e opinione pubblica cominciano a rendersi conto dopo aver esultato per mesi per il no compatto da `no pasaran’all’offerta della Fiat. Il vitello spaventato dal droghiere andò dal macellaio a farsi ammazzare, diceva grosso modo un verso di Bertolt Brecht. E qualcosa di simile sembra stia succedendo con Opel. La paura di essere fagocitati dalla nuova, ”smart and successful’gamma del gruppo Fiat, ha spinto i tedeschi e indirettamente GM a finire in bocca a Magna e al Cremlino, senza chiedersi a fondo se questo sia davvero meglio rispetto all’idea di Marchionne di costruire un nuovo forte gruppo industriale europeo Ue dell’auto.
«Ci state chiedendo di pagare il conto senza nemmeno aver letto il menu del ristorante», ha protestato a Berlino l’altro giorno il ministro dell’Industria spagnolo, Miguel Sebastian.
L’accusa arrivata sul tavolo della Commissione europea a Bruxelles è pesante: Berlino, Magna e i russi avrebbero di fatto deciso di privilegiare gli stabilimenti tedeschi. Mentre Anversa in Belgio, o i modernissimi impianti in Polonia e Spagna, sarebbero a rischio. «Non si vede perché impianti improduttivi in Germania debbano essere preferiti alla fabbrica di Saragozza, la più moderna del gruppo in Europa», protestano non senza motivi i sindacalisti iberici. Irritazione anche ai vertici politici belgi, inquietudine in Polonia.
«Abbiamo salvato tutti gli europei con l’accordo su Opel e concedendo gli aiuti», ha detto l’altro giorno la cancelliera Angela Merkel, sulla difensiva, aprendo il salone dell’auto di Francoforte. Ma queste affermazioni non suonano troppo convincenti, a fronte dei fatti nudi e crudi, esposti da Dirk Pfeil, uno dei dirigenti del Treuhandbeirat, cioè l’amministrazione fiduciaria provvisoria di Opel creata dal governo all’inizio della settimana scorsa. Sono parole di fuoco, che si abbattono come un macigno sull’immagine e la credibilità delle scelte del governo tedesco e di Gm. Elenchiamo le obiezioni di Herr Pfeil, una per una.
Primo, dice Dirk Pfeil, dei 4,5 miliardi di euro di aiuti o garanzie pubbliche tedeschi per la soluzione Magna, oltre 600 milioni al minimo verranno utilizzati per la modernizzazione dell’industria automobilistica russa. Ciò vuol dire, egli sottolinea, a lungo termine un passaggio alla Russia, a Gaz e a Sberbasnk, del knowhow tecnologico di Opel e in seguito un taglio di posti di lavoro in Germania e nel resto dell’Ue a vantaggio di posti di lavoro in Russia.
Secondo, avverte Herr Pfeil: «Io ritengo piuttosto improbabile che la nuova azienda, la ”new Opel’ in mano per il 55% a Magna e ai russi, abbia successo». Ciò non solo perché comunque, già prima della crisi economica e finanziaria internazionale, l’eccesso di capacità produttiva in Europa nel comparto auto era attorno al 30%, ciò che vuol dire che ci sono alcuni marchi e alcune aziende di troppo. Ma anche, anzi soprattutto, ed eccoci al terzo punto dolente, perché i concorrenti europei e specie tedeschi di Magna che finora è stata uno dei massimi big mondiali nella fornitura di indotto di qualità alle grandi case automobilistiche, hanno minacciato chiaramente di rompere i contratti con Magna, perché non hanno nessuna intenzione di vedere la loro tecnologia finire attraverso Magna in mani russe. Ciò porterà a enormi perdite di entrate, fatturato e posti di lavoro per Magna, la quale a causa di ciò potrebbe vedersi costretta a usare i 4,5 miliardi di aiuti pubblici non già per rilanciare Opel bensì per risanare e salvare se stessa.
Quarto punto dolente. Magna ha venduto la sua offerta sovrapprezzo. Nel senso che ha descritto i potenziali sviluppi del mercato dell’auto in Russia in modo molto ottimista, visto che è il paese del G8 che ha risentito nel modo più pesante dei colpi della crisi internazionale sul suo apparato industriale già davvero non fortissimo e sul potere d’acquisto delle sue nuove classi medie. Mentre in base agli accordi con Gm l’accesso di Opel e Vauxhall ai molto più decisivi mercati Usa e cinese è di fatto negato.
Quinto, e derivante dal terzo punto, non si può escludere che Magna in difficoltà si senta costretta a breve o medio termine a cedere Opel, per la quale non resterebbero altre soluzioni che il fallimento o la speranza di un buy back di General Motors stessa.
Sesto, nell’accordo restano molti punti da chiarire, come appunto i diritti di riacquisto che Gm vuole nel caso che anche uno solo dei nuovi partner (cioè anche solo Magna o solo Sberbank) si ritirino, e la sua richiesta di nominare la metà dei membri della presidenza di Opel.
Su questo sfondo, il conto degli esuberi da tagliare aumenta: dei 50mila dipendenti di Opel e Vauxhall in Europa devono andarsene secondo i piani di Magna e dei russi almeno 10.500 di cui oltre 4.000 in Germania. Speranze deluse quindi per la IgMetall che era stata in prima fila, più militante che mai, contro l’ipotesi Fiat descritta come il diavolo. E intanto Volkswagen e Bmw minacciano di cancellare i contratti per l’indotto con Magna. «Troveremo con la massima facilità fornitori alternativi di indotto», ha detto il potentissimo Ferdinand Piech, l’uomochiave del primo gruppo produttore di auto in Europa.
Caso Opel, rivisto alla vigilia delle elezioni tedesche prima delle quali doveva essere risolto: è la radiografia di un disastro. Gli unici vincitori certi della partita da cui Fiat e RHJ sono state escluse per scelta politica non siedono negli impianti Opel né a Detroit né a Berlino, ma a Mosca. Sono gli uomini forti del nuovo potere russo, come il capo di Sberbank German Gref, vicinissimo al Cremlino. E i loro amici lobbisti tedeschi, cioè prima di tutti e anni luce più di ogni altro l’ex cancelliere Gerhard Schroeder, ora ai vertici di Gazprom, e potentissimo e ascoltato nel mondo politico e sindacale di Germania. Allegria, vecchia Europa.