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 2009  settembre 21 Lunedì calendario

Botte a chi è contro il burqa - L’episodio in sé non è tragico, ma molto grave per il suo significato paradigmatico della situazione

Botte a chi è contro il burqa - L’episodio in sé non è tragico, ma molto grave per il suo significato paradigmatico della situazione. Altro che integrazione e società multiculturale predicata da chi ha la testa nelle nuvole; siamo all’allarme rosso. Tre o quattro giorni orsono un cuoco marocchino ha ucciso a coltellate la figlia diciottenne colpevole di essere fidanzata con un cittadino italiano e di vivere all’occidentale; ieri, tanto per gradire, l’onorevole Daniela Santanchè è stata malmenata perché, al teatro Ciak (Milano), dove era in corso la cerimonia di fine Ramadan, protestava pacificamente contro il burqa indossato da numerose donne islamiche. Qualcuno dirà: che importa all’ex deputata della Destra se certe musulmane spinte adottano il velo e cose simili? Non è un problema di abbigliamento; e non è in discussione la qualità della moda importata. La questione è un’altra. In Italia vige la legge 152 che vieta a chiunque di coprirsi il volto in pubblico; e il burqa è fatto in modo da nasconderlo completamente rendendo non identificabile la persona. Quindi non si può mettere. Esattamente come il passamontagna. E’ una legge stupida? Mica tanto. La riconoscibilità dei cittadini è richiesta in ogni momento; non è un caso sia obbligatorio portare con sé documenti su cui sia apposta la fotografia. Questa d’altronde sono le nostre usanze e i codici ne tengono conto al punto che mascherarsi costituisce reato. E i reati sul nostro territorio vanno puniti a prescindere dalla nazionalità di chi si è assunto la responsabilità di commetterli. Pertanto le signore islamiche in burqa non sono in regola e bisogna perseguirle. Perché ciò invece non succede? E’ evidente che nei loro confronti c’è la tendenza a chiudere un occhio, così, per evitare complicazioni, guai, seccature o anche per compiacere a chi, per paura, buonismo, conformismo o altro, preferisce subire culture esotiche che conservare e difendere la propria. A forza di tollerare prevaricazioni, abbiamo trasmesso agli immigrati un messaggio sbagliato: qui è possibile fare il proprio comodo e prendere sottogamba perfino il diritto. Avanti di questo passo, arriverà il momento in cui in Italia avremo due Stati separati e autonomi in barba all’integrazione: il nostro, con leggi valide solo per noi, e quello musulmano con leggi diverse e applicabili agli islamici. E questo che vogliamo? Daniela Santanchè, no. E’ giustamente persuasa che non dobbiamo abdicare alla nostra sovranità pensando sia più conveniente lasciar fare, bensì pretendere dagli stranieri il rispetto di ogni articolo del codice. Sicché ieri mattina, con alcuni amici, si è recata alla Fabbrica del Vapore di Milano e ha inscenato una serena dimostrazione anti-bueìrqa, distribuito volantini e parlato con signore dal viso coperto. Roba lecita. Ma i reduci del Ramadan non hanno gradito e l’hanno picchiata: venti giorni di prognosi. E’ la prova che la sua tesi (e la nostra) a proposito della prepotenza dei fondamentalisti è esatta. Non si può essere di manica larga. C’è gente a cui se dai un dito poi ti prende il braccio e te lo spezza. A Daniela per ora ha fratturato una costola. All’osso del collo forse provvederà più tardi se non saremo capaci di fermarla in tempo in nome della legalità. Una domandina alle autorità: perché non esigere la trasparenza dei bilanci delle moschee e un bel registro degli imam per scongiurare il pericolo che tra questi si celino dei terroristi? Non è cattiveria. E’ un’esigenza di sicurezza. Al bravo ministro Maroni il compito di agire.