Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 21 Lunedì calendario

I pentiti: «A Riina 200 milioni l’anno per le antenne di Canale 5» di Claudia Fusani tutti gli articoli dell’autore Come e perchè Mangano venga assunto ad Arcore è faccenda che si spiega solo anni dopo

I pentiti: «A Riina 200 milioni l’anno per le antenne di Canale 5» di Claudia Fusani tutti gli articoli dell’autore Come e perchè Mangano venga assunto ad Arcore è faccenda che si spiega solo anni dopo. Dopo che diventa ufficiale il pedegree criminale del boss di Porta Nuova. E dopo che Dell’Utri finisce sotto processo a Palermo per mafiosità. Racconterà Mangano ai giudici di Palermo: «Tra il ’73 e il ’74 Cinà (Gaetano) e Dell’Utri vennero a trovarmi a Palermo, mi proposero un lavoro ad Arcore dove un loro amico aveva acquistato una proprietà. Prima di trasferirmi con la mia famiglia andai negli uffici della Edilnord (l’impresa immobiliare di Berlusconi) al numero 24 di Foro Bonaparte e incontrai i signori Berlusconi e Dell’Utri». Tutto giusto, manca solo un dettaglio: con Mangano alla Edilnord quel giorno si presentano anche i boss Francesco Di Carlo, Mimmo Teresi e Stefano Bontade, all’epoca il Capo di Cosa Nostra nonchè fratello massone. Un incontro raccontato nei particolari da Di Carlo una volta pentito: «Fu un colloquio in cui vennero discusse e decise reciproche disponibilità. Volto a garantire a Berlusconi e alla sua famiglia una protezione dai rapimenti. Il colloquio fu favorito da Cinà, amico di Dell’Utri». E’ un passaggio, questo, da segnalare con cura anche perchè, in modi diversi, è confernato dallo stesso Berlusconi in un’intervista al Corriere della Sera nel 1994, una delle poche volte in cui il premier ha accettato di parlare di mafia: «Rapporti con la mafia ne ho avuti una volta sola, quando tentarono di rapire mio figlio Pier Silvio che allora aveva cinque anni...». Fatti due conti - Pier Silvio compie sei anni il 28 aprile 1974 - la minaccia di rapimento precede l’arrivo di Mangano ad Arcore. La domanda è un’altra: Mangano è imposto dalla mafia - per il tramite di Cinà e Dell’Utri - per controllare i traffici di Cosa Nostra al nord offrendo in cambio di una protezione? Oppure, come ha sempre sostenuto Berlusconi, viene ingaggiato solo come guardiaspalle privato visti i rischi di quegli anni? Sembra improbabile che Silvio non conoscesse il profilo criminale di chi stava per far entrare in casa sua. Dirà Paolo Borsellino a Canal Plus, la sua ultima intervista prima di morire (19 maggio 1992): «Buscetta e Contorno hanno indicato lo stalliere di Arcore come uomo d’onore di Cosa Nostra. Viveva a Milano ed era il terminale al nord dei traffici di droga delle famiglie palermitane (...). All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa e a gestire una massa enorme di capitali per i quali cercava una sbocco al nord, sia dal punto di vista del riciclaggio sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Mangano era una delle teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia». Chiarito chi era Mangano, torniamo ad Arcore. Il neo assunto, un signore alto, tratti mediorientali, a suo modo distinto, prende servizio il primo luglio 1974, ha 34 anni, con lui la moglie Marianna e la figlia di 10 anni. Seguono mesi "tranquilli". Fino al 26 giugno 1975 quando una bomba esplode contro il cancello e il muro di cinta di villa Borletti in via Rovani. Berlusconi sospetta subito dello stalliere, come rivelerà un’intercettazione del 1986. Ma fa finta di nulla, anzi declassa l’esplosione a un crollo. Più imbarazzante è il sequestro (8 dicembre 1975) del principe di Santagata prelevato all’uscita della villa dove era stato a cena. Il sequestrato si libera, i carabinieri indagano ma nessuno dice loro che nella tenuta vive anche Mangano. Il quale resta a servizio fino al 1976. I giornali cominciano a scrivere della sua presenza che diventa ingombrante. Mangano lascia Villa San Martino nel 1976. Un anno dopo se ne va anche Dell’Utri assunto come dirigente del finanziere siciliano Bruno Rapisarda che gestisce alcune aziende, poi fallite, che riciclano denaro di Cosa Nostra. Spiegherà in seguito Rapisarda: «Alberto e Marcello Dell’Utri mi furono raccomandati da Gaetano Cinà che rappresentava gli interessi di Bontade-Teresi e Marchese. Dell’Utri mi disse che la sua mediazione era servita a ridurre le richieste di denaro a Berlusconi da parte dei mafiosi». Gli atti del processo Dell’Utri illustrano i rapporti del senatore con Cosa Nostra. Dell’Utri torna con Berlusconi nel 1980, ai vertici di Publitalia. Nel frattempo, come testimoniano decine di intercettazioni, non interrompe mai le frequentazioni con Mangano. Trentasette ex mafiosi hanno testimoniato che Dell’Utri è stato il principale contatto della mafia con l’impero finanziario di Berlusconi. Lo confermano prove documentali. Altre dichiarazioni di pentiti, da Cancemi a Brusca passando per Siino, Cucuzza, Cannella e Pennino, tutte pubbliche, raccontano dei rapporti diretti tra Fininvest e Cosa Nostra. Nell’interrogatorio del 18 febbraio 1994 il boss di Porta Nuova Salvatore Cancemi spiega: «Nella villa di Arcore hanno trovato riparo latitanti come Nino Grado, Mafara e Contorno (...) Nel 1991 Riina precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate in quanto erano dislocate a Palermo più antenne (...) Il rapporto risaliva almeno al 1989 e più volte ho assistito alle consegne di questo denaro in rate da circa 40-50 milioni». Anche Giovanni Brusca (21 settembre 1999) racconta che «dagli anni ottanta Ignazio Pullarà, boss di Santa Maria del Gesù, a Berlusconi e a Canale 5 gli faceva uscire i piccioli». Sono gli anni della guerra delle tivù e di antenna selvaggia. Dichiarazioni che non hanno mai raggiunto lo spessore della prova. Nel 2002 il Tribunale di Palermo che processa Dell’Utri e Cinà si trasferisce a Roma per sentire il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Prende la parola l’onorevole-avvocato Niccolò Ghedini: «Abbiamo indicato al Presidente Berlusconi l’opportunità di avvalersi della facoltà di non rispondere». 12-continua 26 settembre 2009 l’unità «Mangano ad Arcore per interesse dei boss» «Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza». Così il procuratore generale Antonino Gatto entra subito nel vivo della requisitoria del processo al senatore Marcello dell’Utri (Pdl) per concorso esterno in associazione mafiosa. Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere. Stamani davanti alla seconda sezione della Corte di appello di Palermo, Gatto ha affrontato subito il tema dello «stalliere di Arcore». «Ma davvero - si è chiesto il Pg - non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall’estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole? In realtà - ha proseguito Gatto - non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt’altra natura rispetto a quelli agricoli». Dell’Utri non è presente in aula. Ad ascoltare l’atto d’accusa del pg ci sono i difensori dell’imputato, gli avvocati Nino Mormino, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico. 25 settembre 2009Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia" Alla guerra delle televisioni senza legge ma con Craxi di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Tra il 1974 e il 1990 in Italia c’è stata una rivoluzione culturale ed è stata combattuta una guerra sporca i cui effetti vediamo, e in parte paghiamo, soprattutto adesso. La rivoluzione - l’avvento e, in pochissimi anni, il predominio della tivù commerciale – era nell’aria, bisognava avere il naso per annusarla e l’umiltà per governarla. Silvio Berlusconi ha avuto entrambe queste doti, oltre alla innata propensione per tutto ciò che è commercio, pubblicità e guadagni. Ma poi ha combattuto una guerra sporca che ha vinto solo perché ha avuto un alleato come Bettino Craxi. E disponibilità economiche precluse ai suoi diretti concorrenti, come Rusconi e Mondadori. Occorre fissare alcune date. Il 10 luglio 1974 la Corte Costituzionale decide (sentenza 226) ”la libertà d’intrapresa delle tivù in ambito locale via cavo”. Due anni dopo (28 luglio 1976) la tivù locale può trasmettere anche ”via etere” ma sono vietati ”monopoli o oligopoli privati”. Il Parlamento, avverte la Consulta, ”dovrà comunque disciplinare l’intera materia perché l’etere è un bene collettivo”. Periodicamente, nei sedici successivi anni, la Corte si pronuncerà altre tre volte nello stesso modo invocando una legge. Quando arriverà, la legge renderà legittimo quello che era illegittimo. Intorno alla metà degli anni settanta in Italia ci sono Rai 1 e Rai 2, appaltate alla Dc e al Psi di Craxi, con il Pci che chiede ”la fine della discriminazione anticomunista”, e 434 tivù private. Tra queste Telemilano 58, nata nel settembre 1978 in due locali del Jolly Hotel di Milano 2. l’embrione di Canale 5. Impegnato tra i cantieri delle sue new town intorno a Milano, corteggiato e sedotto da Licio Gelli, amico intimo di Craxi e nelle grazie delle banche, l’imprenditore edile Silvio Berlusconi comincia ad essere stufo di mattoni e licenze edilizie. Anche perché il mercato è quello che è e i fatturati tentennano. Ripensa, così, al suo primo amore, la pubblicità, e capisce che il matrimonio con il mercato delle tivù private sarebbe felicissimo oltre che assai vantaggioso. Anche perché la Rai sa offrire poco a chi vuol fare pubblicità – entrare nel Carosello è impresa da titani – sia per lo spazio (la legge stabilisce un tetto massimo) che per la qualità. Il mercato invece è lì che bussa: un formaggio dove il topo-Berlusconi s’infila beato. Il marchio Canale 5 Music è registrato il 2 novembre 1979. Poi nascono – o vengono comprate – Reteitalia, Publitalia e Elettronica Industriale. L’intuizione di Berlusconi è capire che se il futuro è delle tivù private, quella tivù deve essere autonoma da tutto e in grado di autoalimentarsi per la pubblicità, dal punto di vista tecnico, soprattutto per i palinsesti e la programmazione, la vera identità delle rete. ”Una tivù al servizio delle merci” l’ha definita Giuseppe Fiori. ”Io non vendo spazi, vendo vendite” ripete Berlusconi come un mantra ai venditori di Publitalia, la concessionaria di pubblicità. Mentre Reteitalia acquista film, telefilm, serial, format di quiz e sit-com, Publitalia arruola venditori istruiti ad essere ”sorridenti”, ”positivi”, né barba né baffi né capelli lunghi, giacca e cravatta, ”guai alle mani sudate” e ”mai mangiare aglio prima di stare in pubblico”. Se la l’italiano medio da homo sapiens sta diventando homo videns, Publitalia è l’incubatrice di quello che sarà poi l homo berlusconianus, quello di Forza Italia, quello che arriverà in Parlamento e al governo ”col sole in tasca”, per usare un motto della casa. Per essere autonoma la tivù privata e commerciale deve avere trasmettitori in tutto il paese capaci di ricevere e rilanciare segnali tivù. Per riuscirci, Berlusconi acquista Elettronica Industriale, piccola azienda di Lissone che produce apparati di ricezione e ripetizione. I proprietari si chiamano Adriano Galliani e Italo Riccio. E’ Galliani che in poche settimane acquista bande libere e tivù private già operanti dalla Sicilia alla Valle d’Aosta. In meno di un anno, nella totale indifferenza, prende forma lo scheletro del primo network alternativo alla Rai. La Consulta lo ha vietato, ma il Parlamento non legifera. Nell’incertezza gli altri principali operatori – Rizzoli, Rusconi e Mondadori – si attengono agli ambiti locali pur comprando piccole tivù private perché credono che il Parlamento andrà in questa direzione. Berlusconi, invece, punta al network, il contrario del dettato della Consulta. Dalla sua ha i rubinetti sempre aperti delle banche e l’intima amicizia con Craxi che nel 1983 diventerà presidente del Consiglio e perno del Caf. 26 settembre 2009 La Silvio story affronta il capitolo cruciale dei rapporti tra Dell’Utri e Cosa Nostra e fino a che punto questo legame, riconosciuto da una sentenza di primo grado, può, nel caso, aver influito nell’ascesa del Cavaliere. Come Berlusconi e Dell’Utri diventano amici, gli anni dello stalliere Mangano, del suo ruolo all’interno di Cosa Nostra prima a Palermo e poi a Milano. Paolo Borsellino, due mesi prima di essere ucciso, disse: «Mangano era la testa di ponte dell’organizzazione Vittorio, Marcello e Cosa Nostra storie di relazioni pericolose di Claudia Fusani Vittorio & Marcello, il guru di Publitalia e lo stalliere di Arcore, il senatore fondatore di Forza Italia e il boss che numerosi pentiti hanno indicato come il cassiere di Cosa Nostra, l’erede di Pippo Calò. Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, le amicizie pericolose di Silvio Berlusconi eppure coltivate e mai rinnegate dal Cavaliere. Un intreccio così complesso e scivoloso che occorre sapere a che punto è adesso la storia prima di raccontarla dall’inizio. La situazione dell’amicizia oggi è questa: Mangano è morto a 60 anni il 23 luglio 2000 agli arresti domiciliari scontando una condanna all’ergastolo per un duplice omicidio, associazione mafiosa, traffico di droga e estorsione; Marcello Dell’Utri è stato condannato in primo grado l’11 aprile 2004 (un dibattimento lungo sette anni) a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, una condanna che si somma a quella per false fatture e frode fiscale (2 anni e 3 mesi) quando era amministatore delegato di Publitalia. E’stata precritto il procedimento per minaccia con il boss Virga e tra breve ci sarà la sentenza di secondo grado per mafia. Berlusconi non ha a che fare con tutto ciò. Tirando il filo di Dell’Utri, sono stati entrambi indagati, prima a Firenze (Autore 1 e Autore 2) poi a Caltanissetta (Alfa e Beta) per concorso esterno nelle stragi di mafia del 1993 (Firenze, Roma e Milano). Alcuni pentiti chiave li hanno chiamati in causa come mandanti politici delle stragi. Ma entrambe le inchieste sono state archiviate perchè le prove erano «insufficienti» e le dichiarazioni dei pentiti «senza riscontro». Disavventure che non possono certo intaccare un’amicizia e un sodalizio che comincia a Milano alla fine degli anni cinquanta. Otto anni dopo la morte di Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, hanno detto che «Mangano a suo modo è stato un eroe» perché pur malato terminale di tumore «si è rifiutato di inventare dichiarazioni (contro Berlusconi o lo stesso Dell’Utri, ndr) nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli». Una rivendicazione postuma e non richiesta. Marcello e Silvio s’incontrano la prima volta nel chiostro del collegio Torrescalla a Milano nel 1961, matricola in arrivo da Palermo il primo, laureando il secondo. Un’amicizia benedetta dall’Opus Dei e dal dio pallone. La prima cosa che fanno insieme è proprio una squadra di calcio, la Torrescalla-Edilnord, Marcello allena, Silvio fa - manco a dirlo - il presidente, Paolo Berlusconi allena. Solo di recente, nel processo di Palermo, è saltato fuori che il giovane Marcello, neo laureato in legge, è stato impiegato della Edilnord ai tempi di Brugherio (1964-1965) con la qualifica di «segretario del presidente Berlusconi». Un particolare sempre omesso che invece per i giudici assume significato perchè «negli anni Settanta e Ottanta la banca Rasini (il primo finanziatore di Berlusconi, ndr) è stata crocevia di interessi della malavita milanese e di Cosa Nostra». Dell’Utri si sposta per tre anni a Roma (dal ”65 al ”67) come direttore sportivo del Centro Ellis dell’Opus Dei e poi a Palermo, dipendente di una microscopica banca e direttore sportivo della Athletic club Bacicalupo, un’altra squadra di calcio. E qui che conosce, «erano tifosi, commerciavano in cavalli», Gaetano Cinà e Vittorio Mangano. All’epoca due giovanotti del mandamento di Porta Nuova, quello del ferocissimo clan Inzerillo. Nel 1996 sono tra i coimputati di Dell’Utri nel processo per associazione mafiosa. Silvio e Marcello sembrano essersi persi di vista. Anche fisicamente lontani, uno a palermo, l’altro a Milano. E qui succede come nei film. La vulgata narra che «una mattina Dell’Utri sentì squillare il telefono mentre alzava la serranda della banca. ”Pronto Marcello, ti ricordi di me? Sono Silvio Berlusconi. Senti, sono qui in rada, ho la barca pronta per salpare, ti va di venire su al nord a lavorare con me?». Dell’Utri non se lo fa ripetere due volte, chiude tutto e raggiunge l’amico al porto di Palermo. E’ il 1974. Approda ad Arcore, alla villa San Martino, a seguire i lavori di ristrutturazione. Dove, pochi mesi dopo, lo raggiunge Vittorio Mangano con il ruolo di stalliere e autista per i figli di Berlusconi. Nel 1974 a Palermo Mangano è già noto come uomo d’onore: è passato dalla prigione tre volte per estorsione, minacciava le vittime inviando scatole con dentro teste di cane mozzate. Non male per un angelo custode che doveva portare i bambini a scuola. 11- continua 25 settembre 2009 E Gelli disse: «Berlusconi ha copiato il mio progetto politico» di Claudia Fusani. Gelli non ha dubbi: «Berlusconi ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi tutto», dice al quotidiano l’Indipendente nel febbraio 1996. Berlusconi ha già governato due anni e la sua idea di premiership è perfettamente sovrapponibile con il progetto di Gelli. Il Piano di rinascita democratica è un documento di quindici pagine suddiviso in capitoli: premessa, obiettivi, procedimenti e programmi a medio e lungo termine. E’ un programma politico e la sua prima stesura risale al 1974. Maria Grazia Gelli, figlia del Maestro, lo aveva nascosto, male, nel sottofondo della valigia. Lo trovano al primo controllo, a Fiumicino al ritorno da Nizza, Non è dato sapere se Berlusconi abbia mai avuto visione di «quella scaletta di appunti». un fatto che tra il 1977 e il 1978 il Cavaliere è l’astro nascente dell’imprenditoria italiana. Legatissimo a Craxi, ammicca ad Andreotti e Forlani unici possibili antidoti «contro la deriva comunista», un rischio che teme forse più della calvizie che si fa largo sul capo. Scrive editoriali sul Corriere della Sera; nel 1974 ha creato la prima tv via cavo (Telemilano) per i residenti di Milano 2 e nel ”78 la trasforma in Telemilano 58, una delle 434 tv private spuntate in Italia come funghi in Italia e ha ingaggiato la guerra contro la Rai. Soprattutto ha capito il verbo della pubblicità e il 3 ottobre 1979 fonda Publitalia, la cassa del suo impero multimediale. Insomma, mentre Gelli organizza il suo club ispirato al Piano di Rinascita democratica, Berlusconi è inarrestabile. Sembra che nessuno gli possa dire di no. Oltre che capacità e lungimiranza, ha anche possenti disponibilità economiche e gode di incredibili linee di credito presso le banche, Bnl e Monte dei Paschi di Siena più di tutte, entrambe ben rappresentate tra i soci della P2. Se degli affari con Bnl (risultano iscritti 4 membri del cda, il direttore generale, tre direttori centrali e un segretario di consiglio), sappiamo solo che furono cospiscui «con appoggi e finanziamenti al di là di ogni merito creditizio» (Commissione Anselmi), l’inchiesta del sindacato ispettivo del Monte dei Paschi non lascia dubbi. «La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato» scrivono i sindaci del Monte il 9 ottobre 1981. Due giorni dopo il direttore generale si dimette. Un successo merito dei «canali privilegiati» garantiti dalla Loggia? un fatto che le scelte dei governi Berlusconi dal 1994 a oggi hanno, viste oggi, un che di profetico e sembrano la fotocopia degli obiettivi del Piano di rinascita e del meno noto «Schema R». Si prevede, infatti, di «usare gli strumenti finanziari per l’immediata nascita di due movimenti l’uno sulla sinistra e l’altro sulla destra». Tali movimenti «dovrebbero essere fondati da altrettanti club promotori» come poi è stato per Forza Italia. Con circa 10 miliardi è possibile «inserirsi nell’attuale sistema di tesseramento della Dc per acquistare il partito». Con «un costo aggiuntivo dai 5 ai 10 miliardi» si potrebbe poi «provocare la scissione e la nascita di una libera confederazione sindacale tale da rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti» e «limitare il diritto di sciopero». Per quanto riguarda la stampa, «occorrerà redigere un elenco di almeno due o tre elementi per ciascun quotidiano e periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro»; «ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di simpatizzare per gli esponenti politici come sopra». Poi bisognerà: «Acquisire alcuni settimanali di battaglia», «coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un’agenzia centralizzata», «coordinare molte tv via cavo con l’agenzia per la stampa locale», «dissolvere la Rai in nome della libertà d’antenna». Punto chiave è «l’immediata costituzione della tv via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione». Da buon venditore di materassi, Gelli fa i conti: «30 o 40 miliardi sembrano sufficienti a permettere a uomini ben selezionati di conquistare posizioni chiave necessarie a controllare stampa, partiti e sindacati» che sono i primi obiettivi del Piano. Obiettivi a medio termine sono la modifica dell’ordinamento del governo, del parlamento, della Costituzione e della Corte Costituzionale, e della magistratura. La giustizia così com’è è «eversiva» e «va ricondotta alla sua tradizionale funzione di equilibrio». Per questo, è necessaria la separazione delle carriere del pubblico ministero e dei giudici, la «riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento». Pensa anche alle scuole, il Maestro Venerabile: vuole «sfollare le università» e nelle scuole «combattere l’equalitarismo assoluto che provoca una pericolosa disoccupazione intellettuale con gravi deficienze, invece, nei settori tecnici». Molto è già stato realizzato. Quasi tutto. 24 settembre 2009 Tessera n. 1816, codice E.19.78 L’apprendista muratore della P2 di Claudia Fusani La prima reazione è di quelle tipiche sue: «Ma vi pare che un Re del mattone come me possa essere socio di un club dove risulta apprendista muratore?». Così Silvio Berlusconi all’indomani della scoperta a Castiglion Fibocchi degli elenchi con i 962 nomi degli affiliati alla loggia massonica Propaganda 2. Il blitz dei magistrati di Milano Gherardo Colombo,Giuliano Turone e Guido Viola risale al 17 febbraio 1981. A quei tempi Berlusconi è non solo un Re del mattone, sta già diventando il tycoon dell’editoria multimediale: ha il 12 per cento de Il Giornale e ha aperto lo scontro politico giudiziario tivù private-Rai. «Apprendista muratore» è la sua qualifica in Loggia. Indagando sul crack di Michele Sindona, i pm arrivano prima a Villa Wanda e poi negli uffici di Castiglion Fibocchi e trovano una valigia con dentro documenti dei servizi segreti, fotocopie e originali che raccontano di esportazioni clandestine di capitali, operazioni finanziarie e gli elenchi degli iscritti. Ci sono pezzi di ogni settore che conta nella vita del paese: tre ministri in carica (tra cui Gaetano Stammati e Enrico Manca),due ex ministri, il segretario del Psdi, parlamentari, il capo di gabinetto del presidente del Consiglio Forlani,l’intero vertice dei servizi segreti, il comandante e ufficiali della Guardia di Finanza, banchieri, editori, giornalisti, magistrati. Ci sono tutti i partiti, più di tutti Dc e il Psi di Craxi (segretario dal 1976) tranne Pci, Pdup e Radicali. Le liste restano segrete per circa due mesi. Diventano pubbliche solo il 20 maggio per volere del Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani fino a quel momento contrario. Per sintesi diciamo che l’inchiesta penale sulla P2 ”muore” il 17 marzo 1983 presso la procura di Roma con un decreto che è un capolavoro di detti e non detti. Il lavoro di analisi e di scavo più importante lo fa la Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi (novembre 1981-luglio 1983) che definisce «la P2 un fenomeno gravissimo che coinvolge ad ogni livello di responsabilità gli aspetti più qualificati della vita del paese»; un fenomeno che è «un’insidia perchè colpisce il sistema nella sua più intima ragione di esistere: la sovranità dei cittadini, ultima e definitiva sede del potere che governa la Repubblica». Quindi la P2 non è esattamente, come dice Berlusconi, «un Club con le persone migliori del paese». La Loggia di Gelli nel 1990 costa al Cavaliere una condanna, poi amnistiata, per falsa testimonianza. «Sono stato iscritto per pochi mesi, forse settimane, e non ho mai versato una lira» disse in un processo a Verona per diffamazione contro Guarino e Ruggeri autori di Inchiesta sul signor tv poi assolti. In realtà Berlusconi si iscrive alla P2 il 26 gennaio 1978 e paga la quota come risulta agli atti della Commissione Anselmi. Interrogato nel 1981 dal giudice istruttore di Milano spiega così la sua adesione: «Me lo ha chiesto Gelli dicendomi che ci teneva molto perchè sono uno degli imprenditori emergenti e che dall’iscrizione avrei avuto canali di lavoro e contatti internazionali». E’ il 1977, Berlusconi è stato nominato Cavaliere del lavoro, è già molto amico di Craxi, vede come un incubo l’ipotesi compromesso storico così come tutta la deriva a sinistra del paese, la politica non lo tenta ma ambisce a quei contatti che gli possono dare il controllo della situazione. Gelli è uno che la pensa come lui e s’intendono alla perfezione quando s’incontrano nel 1977 a Roma tra l’Excelsior e il Grand Hotel. E poi c’è Roberto Gervaso (tessera 622, grado di maestro) che «insiste per farmi iscrivere» spiega sempre Berlusconi, «Gelli ci teneva e magari lo avrebbe fatto scrivere sul Corriere della Sera». Minimizzare, appunto, ignorare. Ma la P2 non è stata per Berlusconi una distratta adesione formale. La P2 per Berlusconi è un club di amici garanzia, come gli aveva promesso Gelli, di molti vantaggi. Economici, prima di tutto. Fiori ha calcolato che tra «dal 1974 al 1981 il Cavaliere ha avuto dalle banche fidi per un totale di 198 miliardi di lire e 622 milioni, 150 miliardi e rotti di fidejussioni e altre decine di miliardi di mutui». Vantaggi, anche, in termini di visibilità, un altro modo di ottenere credito: il 10 aprile 1978 sul Corriere della Sera, il più diffuso quotidiano finito però nella mani della P2 (Rizzoli, Tassan Din e il direttore Di Bella sono iscritti), esordisce un nuovo analista economico. Si chiama, e si firma, Silvio Berlusconi. (9-continua) 23 settembre 2009 L’acquisto della villa a Arcore. Un giallo da Agatha Christie di Claudia Fusani […] I protagonisti. La faccenda ruota intorno a Villa San Martino ad Arcore, ex convento rinascimentale, per secoli appartenuta alla famiglia Casati Stampa Soncino, 145 stanze con relativi arredi, collezioni pregiate di quadri e libri, ettari di parco con rarità di flora e caprioli al pascolo. Ne è proprietaria una ragazzina di 19 anni, Annamaria Casati Stampa, rimasta orfana all’improvviso il 30 agosto 1970 quando il padre, il marchese Camillo, uccide la moglie Anna Fallarino sorpresa con l’amante. Un ruolo, nella vicenda della villa, ce l’ha da subito un giovane avvocato di nome Cesare Previti, figlio di quell’Umberto che negli stessi anni già compare nei busillis societario di Silvio Berlusconi. E c’è lui, Berlusconi, che nel 1970 sta costruendo Milano 2. Nel tentativo di smettere i panni del palazzinaro per indossare quelli di Sua Residenza, è in cerca di una dimora adeguata per rappresentare se stesso nell’elite dell’imprenditoria. I fatti Passata la curiosità per l’omicidio-suicidio del marchese e della moglie, restano la ragazza e il suo patrimonio. Anzi, a dire la verità, qualcuno prova a mettere in dubbio la legittimità dell’erede. La famiglia Fallarino, infatti, chiede di verificare tramite autopsia chi è morto per primo: nel caso fosse il marchese Camillo, i legittimi eredi sono i Fallarino. Cesare Previti, 36 anni, origini calabresi ma da tempo residente a Roma, assiste legalmente la famiglia Fallarino, ma il dubbio viene in fretta archiviato. Annamaria resta unica erede, ha 19 anni ed è minorenne. Viene affidata ad un avvocato amico di famiglia, Giorgio Bergamasco, che siede in Senato tra i liberali. E chi spunta fuori tra gli assistenti di Bergamasco? Di nuovo il giovane Previti, che riesce nella non facile impresa di passare in un batter di ciglio da ”nemico” (aveva assistito i Fallarino per togliere l’eredità ad Annamaria) ad ”amico”. La ragazza si ritrova così un’eredità pari a due miliardi e 403 milioni di lire tra beni mobili e immobili e gioielli, che diventano un miliardo e 965 milioni al netto di debiti e tasse. Decide di lasciare l’Italia e lo scandalo, va a vivere in Brasile e il 27 settembre 1972 affida i suoi beni - senza limitazioni di mandato - a Bergamasco, il suo ex tutore, nel frattempo diventato ministro del governo Andreotti. Il vice tutore Previti resta tra i legali. E a lui Annamaria nell’autunno del 1973 dà l’incarico di vendere Villa San Martino «con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca e delle circostanti proprietà terriere». Pochi mesi e l’acquirente si materializza nei panni di Silvio Berlusconi. Mediatore è Previti. Il prezzo pattuito 500 milioni, tutto compreso, anche quello che l’erede aveva esplicitamente escluso dalla vendita, terreni e annessi, pinacoteca e biblioteca. In Inchiesta sul signor Tv (Guarino e Ruggeri, Kaos editore), il libro che più di tutti ha indagato sulla vendita della villa e i cui autori nel 2000 hanno vinto la causa per diffamazione avviata nel 1994 da Previti, si dice chiaramente che 500 milioni sono nulla per una villa settecentesca di 3500 metri quadrati. Nel libro si parla di «raggiro». In più momenti. Il primo: Berlusconi dilaziona il pagamento fino al 1980 (atto di cessione il 2 ottobre) ma Annamaria Casati continua a pagare le tasse. Il secondo: il 4 maggio 1977 nasce l’Immobiliare Idra, spa della già affollata galassia berlusconiana, che ancora oggi gestisce almeno dodici dimore del premier tra cui Arcore, Villa Certosa e Macherio. Bene; nel cda di Idra siedono da subito Umberto e Cesare Previti. Idra otterrà dalle banche due superfinanziamenti sulla villa di Arcore appena pagata mezzo miliardo a rate: oltre 7 miliardi subito rigirati alla Cantieri Riuniti, società di Berlusconi, più altri 680 milioni. Un delitto perfetto, appunto. Sempre che delitto vi sia stato. Arcore poi è diventata quello che tutti sappiamo: il rifugio del Presidente, la cabina di regìa degli alleati di governo, dimora vincolata dal segreto di Stato, custode di un mausoleo e di più grandi segreti. Si dice, anche, della longevità. (8-continua). 21.9.9 Fiduciarie svizzere, casalinghe, zii, cugini e P2: i soci di Silvio di C.Fusani e J.Bufalinitutti gli articoli dell’autore Dopo la prima parte sul risiko delle società, la Cantieri riuniti milanesi e le prime due Edilnord, ecco gli altri tasselli del puzzle. La terza Edilnord - Dopo quella della cugina, c’è la società intestata alla zia. La società nasce il 15 giugno 1970 da un semplice cambio di carta per cui la zia Maria prende il posto della figlia Lidia, cugina di Berlusconi. La società resta una Sas, socio accomandante è sempre la finanziaria di Lugano Aktien. Italcantieri srl- Nasce a Milano il 2 febbraio 1973. Il gioco societario si complica ed è sempre meno palese. Italcantieri deve portare avanti la costruzione di Milano 2. Berlusconi resta un fantasma, ormai dai tempi della seconda Edilnord. La Italcantieri è figlia di due fiduciarie ticinesi: la Cofigen sa di Lugano rappresentata da un avvocato praticante, Renato Pironi; la Eti A.G. holding di Chiasso rappresentata dalla casalinga Elda Brovelli e da uno zio anziano di Berlusconi, Luigi Foscale. La Eti è stata registrata il 24 aprile 1969, numero di protocollo 518, e ha tre soci: Arno Ballinari, Stefania e Ercole Doninelli a sua volta rappresentante della Aurelius Financing company sa (legata alla Interchange bank coinvolta nello scandalo finanziario Texon). A Ercole fa capo anche la Fi.MO, finanziaria svizzera schierata politicamente a destra e coinvolta in inchieste di riciclaggio. Durante Mani Pulite Fi.MO è sospettata di essere stata il tramite delle tangenti Eni e Enimont. Più di recente è diventata Bipielle Suisse, banca di riferimento di Gianpiero Fiorani. Non meno complesso il dietro le quinte di Cofigen che nasce a Lugano il 21 dicembre 1972 (33 giorni prima della Italcantieri) e fa capo al finanziere Tito Tettamanti, uomo con tre grandi passioni: Opus Dei,massoneria, anticomunismo. Di sigla in sigla, la ricerca sul chi-è Cofigen porta alla Privat Credit bank e alla Cofi che fino al 1977 si chiama Milano internazionale sa il cui legale rappresentante è il senatore Giuseppe Pella, leader della destra Dc. Un vortice che fa perdere la testa. Alla fine si può dire con certezza che dalla Svizzera giungono in quegli anni miliardi su miliardi (solo la Aktien versa 4 miliardi di lire e 600 milioni e 50 mila franchi svizzeri) di cui non si è mai saputa la provenienza. E che in tre anni la Italcantieri porta il suo capitale sociale da 20 milioni a due miliardi. Berlusconi non c’è. Non esiste. Compare solo il 18 luglio 1975 quando Italcantieri diventa spa. Esce zio Luigi Foscale. Silvio è presidente. Immobiliare San Martino spa. Oltre le fiduciarie svizzere c’è un altro punto fermo nella storia delle società del giovane Berlusconi. E’ un indirizzo di Roma, salita San Nicola da Tolentino 1/b, un palazzo che ospita un’infinità di società. Una di queste è la Servizio Italia, fiduciaria del parabancario della Bnl rappresentata da Gianfranco Graziadei, tessera 1912 della P2. Con Servizio Italia hanno trafficato Gelli, Sindona, Calvi. Il 16 settembre 1974, Servizio Italia e laSaf sottoscrivono il capitale sociale della Immobiliare San Martino. Amministratore unico è Marcello dell’Utri. Finanziaria d’investimento. La prima Fininvest nasce in salita San Nicola da Tolentino il 21 marzo 1975. E’ una srl che dopo otto mesi diventa spa e si trasferisce a Milano. Milano 2 spa. E’ il nuovo nome della ex Immobiliare San Martino. E’ il 15 settembre 1977. La sede passa da Roma a Segrate. Dell’Utri esce. Edilnord, l’ultima. E’ la quarta della filiera e il 6 dicembre 1977 entra come socio accomandatario, dopo cugine, zie e zii, Umberto Previti, 76 anni, padre di Cesare, con il mandato di chiuderla. Negli uffici dell’ultima Edilnord il 24 ottobre 1979 arriva una visita della Finanza. Dura un attimo. Gli ufficiali sono Massimo Berruti, dal ”94 deputato di Forza Italia, e Salvatore Gallo, tessera 2200 della P2. Fininvest 2. L’8 giugno 1978, sempre in salita da Tolentino, le solite Servizio Italia e Saf danno vita alla Finivest Roma srl, un solo impiegato, che il 26 gennaio 1979 incorpora la prima Finivest, quella di Milano. Amministratore unico diventa Previti senior. Dopo 6 mesi, nel luglio 1979 la Finivest si trasferisce a Milano. Previti esce. Berlusconi diventa presidente. Nel cda siedono il fratello Paolo e il cugino Giancarlo Foscale, figlio di Luigi. Le 22 holding. Si chiamano Holding Italia I, II, III, così via fino alla 38. Nascono il 19 giugno 1978 e sono le proprietarie di Fininvest che poi, negli anni scendono a 23, poi a 22, a 20 infine a otto. Appartengono al 90% a un prestanome, Nicla Crocitto, anziana casalinga abitante a Milano 2, e il 10% al marito Armando Minna, ex sindaco della Rasini. Il 5 dicembre 1978 escono a loro volta di scena e sono sostituiti da due fiduciarie, Saf e Parmafid. Ogni holding ha il minimo possibile di capitale sociale (20 milioni). Ma tra il 1978 e il 1985 nelle holding entrano circa 94 miliardi di lire. Sconosciuta l’origine, noti i nomi dei prestanome: dalla casalinga al meccanico a un invalido in carrozzina di 75 anni. Numerose le banche che lavorano con le holding: la Popolare di Abbiategrasso, Popolare di Lodi, anche la vecchia Rasini presso la quale però le società sono catalogate sotto la voce «servizi di parrucchieri e istituti di bellezza». Tanta fantasia, hanno spiegato i vertici Finivest, per pagare meno tasse. (7-continua) Le grandi opere 20 settembre 2009 Il grande risiko societario dell’imprenditore Berlusconi di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Come le carte di un mazzo a un tavolo da gioco: studiate, calate, scartate, ammucchiate costruiscono scale reali, full, doppia coppia, poker d’assi. Giochi sapienti e vincenti. Solo che quasi mai si scorge il volto del giocatore avvolto da nubi di fumo, ombre e penombre, oppure confuso dalla luce della lampadina bassa sul tavolo. Così la storia delle società di Silvio Berlusconi che, forse perchè figlio di un alto funzionario di banca, laureato in legge e non in economia, ha sempre avuto un debole per i giochi societari. La storia di queste società è un romanzo appassionante assai di più di una mano di poker con folle di prestanome, fiduciarie svizzere, incastri di holding tutte intestate a «servizi di parruccheria e istituti di bellezza». Due precisazioni prima di affrontare la trama societaria. La prima: le varie inchieste giudiziarie che dal 1994 in poi hanno indagato Berlusconi per vari reati, dalla frode fiscale al falso in bilancio (depenalizzato dal 2002, governo Berlusconi 2), dalla corruzione al finanziamento illecito ai partiti passando per l’appropriazione indebita e la corruzione in atti giudiziari, non lo hanno mai visto condannato. I verdetti sono di prescrizione o di assoluzione. Tranne che nel processo Mills (corruzione di testimone) e quello sui diritti cinematografici (appropriazione indebita), procedimenti entrambi congelati dal lodo Alfano, lo scudo che mette le quattro più alte cariche dello Stato al riparo da eventuali processi. La seconda precisazione: il 26 novembre 2002 i magistrati di Palermo che indagavano su Dell’Utri e su un’ipotesi di riciclaggio e cercavano di ricostruire i percorsi di quei capitali hanno sentito Silvio Berlusconi come persona informata sui fatti. Il premier però si è avvalso della facoltà di non rispondere. Fininvest, da parte sua, non è stata in grado di fornire tutto il materiale necessario. Cantieri riuniti milanesi. E’ la prima società, quella che costruisce in via Alciati appartamenti per gli immigrati in arrivo dal sud Italia. E’ il 1961. Il giovanissimo Berlusconi (25 anni) ottiene credito (circa duecento milioni di lire) dalla Banca Rasini dove lavora il padre Luigi che gli procura anche il socio, Pietro Canali. Primi passi in assoluta trasparenza. La prima Edilnord. quella che tra il 1963 e il 1969 costruisce e vende, tra qualche difficoltà risolta a modo suo dal brillante giovane Berlusconi, gli appartamenti per 4000 persone a Brugherio, luogo di nebbie ma dove per B. «brilla sempre il sole». Qui cominciano ad inabissarsi i soldi, nel senso che cominciano a schermarsi dietro società straniere di cui è impossibile stabilire con certezza il reale intestatario. La Edilnord sas, società in accomandita semplice, vede sei soci d’opera, tra cui Silvio, mentre i soci accomandanti, quelli che mettono i capitali, fanno capo alla finanziaria di Lugano Finanzier ungesellschaft fur Residenzen Ag rappresentata dall’avvocato svizzero Renzo Rezzonico. La seconda Edilnord. E’ un anno speciale, il 1968. Dalle università e dalle fabbriche arrivano messaggi di cambiamenti importanti, anche drammatici. Il 29 settembre Berlusconi compie 32 anni e decide di regalarsi - lui è fatto così - una nuova società. Si chiama Edilnord Centri Residenziali, è sempre una Sas ( come la prima Edilnord che resterà in vita fino al 1972) ma stavolta Silvio non figura più tra i soci d’opera accomandatari. Scompare dalla compagine societaria e al suo posto spunta fuori la cugina Lidia Borsani, quasi coetanea, 31 anni, figlia di una sorella di mamma Rosa Bossi. I soldi li mette una fiduciaria di Lugano, che con la precedente condivide solo il legale rappresentante, l’avvocato Renzo Rezzonico. e si chiama Aktiengesellschaft fur Immobilienanlagen in Residenzentren Ag. Per semplificare, Aktien. Chiunque ci sia dietro, ha un sacco di soldi. La seconda Edilnord è quella che edificherà Milano 2 a Segrate. E’ una società che è in grado di affrontare un investimento iniziale di circa tre miliardi per l’acquisto dell’area dal conte Bonzi e un cantiere costosissimo durato 4-5 anni (un’inchiesta della Padania, nel 1998, diceva ”500 milioni al giorno”). Lecito chiedersi da dove arrivassero tutti quei soldi per un imprenditore sconosciuto e appena trentenne. Le inchieste negli anni si sono dovute fermare davanti al muro di gomma della fiduciarie. Si può aggiungere che la Aktien è nata il 19 settembre 1968 dall’agenzia lussemburghese di una finanziaria americana, la Discount Bank Overseas Limited che ha soci di vari paesi. E che la Aktien può operare solo fuori dalla Svizzera. (6-continua) Il labirinto delle società 20 settembre 2009 Silvio Story La microbanca di piazza Mercanti all’origine di tutti i miracoli di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Piazza Mercanti, cinquanta metri da piazza Duomo, ieri e oggi il cuore della Milano degli affari. Bisogna tenere a mente questo indirizzo perché qui al piano terra, interni eleganti e un po’ barocchi, sono custoditi l’alfa e l’omega della fortuna e della carriera di Silvio Berlusconi. Il primo cent, fosse stato Paperon dè Paperoni, di un’immensa fortuna. Già prima dell’ultima guerra in piazza Mercanti operava un piccolo ma raffinato istituto di credito, la Banca Rasini, la preferita dall’alta borghesia meneghina. Luigi Berlusconi ci arriva come impiegato negli anni trenta, ne diventa direttore nel 1957, la lascia nel 1973 per seguire gli affari del figlio. Il conte Carlo Rasini è, come abbiamo già visto, il primo socio in affari del venticinquenne Silvio, mette a disposizione il capitale per l’acquisto del terreno in via Alciati, offre garanzie per il prestito per la costruzione dei palazzi, fidejussioni e malleverie ancora più consistenti per la realizzazione dei mille appartamenti a Brugherio. La presenza del conte Rasini nelle prime avventure imprenditoriali di Silvio è stata sicuramente, come minimo, una garanzia che ha poi aperto la porta all’arrivo di altri capitali, dalla Svizzera come dal Liechtenstein. Merito dell’intraprendenza di Silvio, dicono le biografie autorizzate. Verissimo, senz’altro. Merito anche di Luigi, fedele dipendente dei Rasini e brillante banchiere. Certo è che il ”nulla” da cui emerge Berlusconi ha dietro di sé la sostanza e i capitali di una banca. E allora il nodo da sciogliere è: cosa fa veramente la banca Rasini? E perchè si mette a disposizione, sulla fiducia, per operazioni immobiliari traballanti anche se poi azzeccatissime? Rispondere a questa domanda significherebbe avere in mano la chiave della soluzione. Berlusconi sorvola, parla d’altro, sarebbe stupefacente il contrario. Tocca arrangiarsi incrociando quanto raccontano i libri inchiesta (tra cui l’ultimo, appena uscito, "L’unto del signore", di Ferruccio Pinotti e Udo Gumpel, Bur) con il contenuto di alcuni atti giudiziari. Tenere in conto i fatti e cercare di metterli in fila. Per farli parlare da soli. Sapendo subito quale è stata la conclusione: nel 1983 l’istituto resta coinvolto (il profilo penale riguarda solo il direttore generale Antonio Vecchione, il successore di Luigi Berlusconi) in un’inchiesta di riciclaggio di capitali mafiosi; tra il 1991 e il 1992 la Rasini viene acquisita e assorbita dalla Popolare di Lodi per poi scomparire del tutto. Fondamentale è fissare alcune date e i relativi passaggi. L’istituto, abbiamo detto, è il salotto buono dell’alta borghesia meneghina e Luigi Berlusconi è l’uomo di fiducia dei conti. Negli anni cinquanta una prima svolta: entra nella Rasini - la banca è una sas, società in accomandita semplice - la famiglia Azzaretto, siciliani di Misilmeri, con forti legami in Vaticano, con i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro. Nel 1973 la banca si trasforma in società per azioni e cresce il ruolo dei soci isolani. Nello stesso anno Luigi Berlusconi decide di pensionarsi per dare una mano al figlio già lanciato verso i piani alti dell’imprenditoria. Nel 1974 anche Carlo Rasini abbandona la banca, «il mondo finanziario era cambiato, estraneo a quello del conte» dicono alcune testimonianze. La maggioranza del pacchetto azionario della banca passa nelle mani di Dario Azzaretto con il 29,3 per cento delle azioni. Un pacchetto consistente pari al 32,7 per cento viene gestito da tre società del Liechtenstein, la Wootz Anstalt di Eschen, la Brittener Anstalt di Mauren e la Manlands Financiere SA di Schann, tutte rappresentate da Herbert Batliner. Uomo d’affari e discusso mecenate, Batliner è personaggio che merita di essere approfondito. Nella loro inchiesta Pinotti e Gumpel ricordano che Batliner non solo avrebbe ”prestato” la sua consulenza a narcotrafficanti latino-americani ma anche che nel 2007 è stato riconosciuto colpevole di una maxi evasione fiscale in Germania dalla procura di BOchum, in prima linea nella lotta all’evasione. Batliner ha riconosciuto le sue colpe, ha accettato di pagare una sanzione di 2 milioni ed è oggi in pari con la giustizia. Le indagini continuano (sono 900 le società che lavoravano con lui) ma lo stato tedesco ha già recuperato 900 milioni. Nel 2006, nonostante non potesse mettere piede in Germania, Batliner ha avuto un permesso speciale per incontrare papa Ratzinger a Ratisbona. E donargli un organo a canne del valore di 730mila euro. (4 - continua) 18 settembre 2009 Silvio Story Azzaretto, Rovelli, Popolare Lodi: tutti i padroni della Rasini di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Ma torniamo in piazza Mercanti e seguiamo le sorti della microbanca Rasini. La Milano del boom economico poi della crisi e del terrorismo prima della Milano da bere è una città amministrata ininterrottamente dai primi anni sessanta da sindaci di area socialista, da Bucalossi fino a Pillitteri. Fino a Mani Pulite. In questo contesto tra il 1961 e il 1972 sono inviati al soggiorno obbligato in Lombardia 372 mafiosi che costruiscono una fitta rete d’affari criminale. Molti di questi nomi compaiono nell’informativa della Criminalpol (rapporto 0500/C.A.S del 13 aprile 1981), duecento pagine sulle indagini sulla mafia a Milano e in Lombardia e i suoi collegamenti con le famiglie siciliane e con quelle americane di Cosa Nostra. Sulla base dei nomi, dei legami e delle intercettazioni finite in quel rapporto, la notte del 14 febbraio 1983 vengono arrestati vari imprenditori perchè legati a Cosa Nostra e si scopre che lo sportello-gioiello di piazza Mercanti serviva come lavanderia di denaro sporco. In manette finiscono Giuseppe Bono, Antonio Virgilio, Salvatore Enea e Luigi Monti, tramite i quali erano diventati clienti della Banca Rasini i clan mafiosi della famiglia Fidanzati, Bono e Gaeta. Virgilio e Monti hanno legami, documentati da intercettazioni telefoniche, con Vittorio Mangano, il mafioso palermitano assunto come stalliere ad Arcore da Berlusconi e amico di Marcello Dell’Utri (ma questi saranno protagonisti di alcune prossime puntate). Un giro d’affari pazzesco per quegli anni: sul conto corrente di Antonio Virgilio transitano tra il 28 febbraio del 1980 e il 31 maggio del 1982 operazioni per quasi cinquanta miliardi; la Rasini ha scontato a Virgilio oltre un miliardo di lire (360 milioni da una gioielleria di piazza di Spagna); Salvatore Enea, un altro della mafia dei colletti bianchi ha fatto versamenti per 828 milioni di euro. Questo il mondo che si muove intorno allo sportello di piazza Mercanti. Va precisato e messo in evidenza che la famiglia Berlusconi non ha più alcun tipo di contatto o legame operativo con la banca a partire dal 1973 quando Luigi si dimette e il conte Rasini cede il comando agli Azzaretto. In rispetto alla cronaca va anche aggiunto che un incendio distrugge tutti i documenti bancari relativi al periodo antecedente al 1973 (così risulta dalle dichiarazioni dei responsabili della banca nell’ambito del processo Dell’Utri). A ben vedere, l’unico, a parte Berlusconi, ancora lucido e vivente che conosce i segreti della Banca è Batliner (vedere puntata precedente) che controllando un terzo del capitale sociale dell’istituto è decisivo per ogni scelta. Non solo: il libro inchiesta di Pinotti e Gumpel ricostruisce il dietro le quinte delle tre fiduciarie del Liechtenstein e arriva ad ipotizzare che «tre protagonisti della finanza vaticana (Sindona, Calvi e Marcinkus) avrebbero una partecipazione coperta nella Rasini». Dopo il blitz di San Valentino anche gli Azzaretto decidono che è meglio lasciar fare. Tra l’83 e l ”84 il controllo dell’istituto passa alla famiglia di Nino Rovelli, ”re della petrolchimica” sarda, protagonista dello scandalo Imi-Sir. Le più recenti cronache giudiziarie ci hanno spiegato che uno dei protagonisti di quell’affaire, l’avvocato Cesare Previti (nello staff legale di Berlusconi già dai primi anni settanta), riuscì a corrompere i giudici per far avere ai Rovelli un risarcimento di mille miliardi di lire. Perché Rovelli, mai stato banchiere, si prende la Rasini? Chi gli chiede questo favore? Ancora una volta Pinotti e Gumpel, che a loro volta riprendono un’intervista alla baronessa Cordopatri cliente della Rasini, arrivano ad alcune conclusioni: dietro la Rasini c’è Giulio Andreotti, già dai tempi degli Azzaretto. «Certo è - scrivono a proposito dei motivi che hanno convinto i Rovelli prima e la Popolare di Lodi poi a rilevare la banca di piazza Mercanti - che una bancarotta della Rasini non avrebbe giovato a nessuno. Avrebbe richiamato gli ispettori della Banca d’Italia e creato uno scandalo. Andava impedito un altro caso Sindona. Si spiega così il colpo dei Rovelli: salvare una banca amica del Vaticano». Nel 1992 la Popolare di Lodi assorbe la Rasini. E il 5 settembre 2003 anche le tre società del Liechtenstein vengono cancellate. Evapora così, prima nel fuoco poi nel nulla, la memoria della banca dei segreti. (5 - Continua) 19 settembre 2009 I segreti del successo: palazzi più alti e linee aeree deviate di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Cantieri, vendite, amicizie, moglie e figli, soldi. Tanti soldi, tantissimi. Ma da dove vengono? Giovanissimo - ha 28 anni - e laureato in legge, non in economia, Berlusconi è già un mago di giochi societari. Sciolta la Cantieri Riuniti Milanesi di via Alciati, crea nel 1962 - quando apre il cantiere di Brugherio - la Edilnord sas, che significa «società in accomandita semplice»: ci sono i soci accomandatari (o d’opera), quelli che si occupano di appalti, licenze e permessi, e i soci accomandanti, i finanziatori che mettono i capitali. Silvio è un socio d’opera con il commercialista Edoardo Piccitto, i costruttori Giovanni Canali ed Enrico e Giovanni Botta. Tra i finanziatori ci sono Carlo Rasini, sempre lui, il proprietario della banca dove papà Luigi nel frattempo è diventato direttore, e un avvocato d’affari svizzero, Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano, Finanzierungesellschaft fur Residenzen Ag. Le finanziarie servono sempre a schermare, a nascondere i proprietari. E infatti mai sarà possibile sapere chi si muove dietro questa ed altre coperture d’oltreconfine che sono la prima ragione del successo imprenditoriale di Silvio Berlusconi. Il cantiere di Brugherio sarà completato nell’estate del 1969, mille appartamenti venduti, quattromila abitanti. Il tutto in una stagione in cui vendere case è difficilissimo. Dopo il primo palazzo rimasto invenduto, i soci vorrebbero chiudere. Berlusconi insiste. Le biografie autorizzate (Berlusconi in concert, D’Anna e Moncalvo, Otzium Ltd, 1994) sono ricche di aneddoti in odore di mito. Almeno uno merita di essere raccontato. Il socio d’opera Silvio Berlusconi non si rassegna al fallimento di Brugherio. S’impegna coi soci, ghe pense mì a trovare gli acquirenti. Decide di puntare sul mercato dei fondi professionali. «Io non avevo contatti con la politica - racconta quasi vantandosi - e per arrivare agli enti romani dovevi pagare tangenti». Si rivolge al commendator Piero Michiara, presidente della Manzoni Pubblicità, quella della borsa di studio. Michiara è anche il responsabile del Fondo di previdenza dei dirigenti commerciali. Organizza un incontro a Brugherio con il suo vice, è una domenica pomeriggio, nebbia, umido, fango e cemento. Un disastro. E’ no su tutta la linea, in quel posto non ci sono servizi nè negozi. Una condanna a morte. A cui Silvio si ribella. Come? Si fa presentare la segretaria del vicepresidente, la corteggia («non feci fatica a far nascere una relazione amichevole»), si fa dire dove può trovare casualmente il vicedirettore del Fondo (un viaggio in treno Roma-Milano, orario e carrozza) e lo intorta per ore con chiacchiere e volgarità («Arrivammo mezzi sbronzi interessati alla natura delle circasse che sembra cominci qua e finisca là dietro...»). Risultato: il Fondo acquista i mille appartamenti di Brugherio. E la segretaria? «Pagai la penale alla mia informatrice. Fu una cosa molto carina». Oltre gli aneddoti, qualche fatto. I palazzi di Brugherio dovevano essere di cinque piani e invece crebbero fino a otto. Berlusconi assunse come direttore del progetto il responsabile dell’urbanistica del comune, un democristiano. Intervistato anni dopo, l’urbanista Edoardo Teruzzi spiegò: «Un abuso (i piani in più ndr.)? Non esageriamo. Fu un malinteso che venne risolto con 200 milioni e la costruzione di un asilo». L’esperienza di Brugherio diventa preziosa per avviare (1968) il cantiere di Milano 2, a Segrate, 712 mila metri quadrati pagati tre miliardi di lire, un progetto residenziale per 14 mila persone nei primi anni settanta, un’oasi di lusso e abbondanza all’americana. L’intervento politicoè determinante. I terreni di Milano 2 sono vicini all’aeroporto di Linate e il rumore degli aerei deprezza il valore dell’area. L’imprenditore Berlusconi non si perde d’animo: ottiene (1973) la deviazione delle linee grazie ad agganci politici e a uno studio del Poltitecnico che solo in seguito si scopre essere stato commissionato da Edilnord. Il valore degli appartamenti di Milano 2 passa da 130 mila a 280 mila al metro quadrato. Non solo: fa autorizzare, vicino all’area da edificare, la costruzione di una clinica, il San Raffaele del suo amico don Verzè. Un motivo in più per deviare le rumorosissime linee aeree. Don Verzè, già allora, al suo fianco. il sacerdote luminare a cui Berlusconi ha commissionato la ricerca del segreto dell’immortalità. 16 settembre 2009 Costruttore, ma senza soldi spunta l’aiuto di Carlo Rasini di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore il 1961, in dieci anni Milano e l’hinterland hanno visto arrivare seicentomila immigrati, c’è fame di case e appartamenti. Miele per i palazzinari. Zucchero per Silvio Berlusconi che già nell’ultimo anno di università ha lavorato con la Immobiliare Costruzioni. Una volta laureato e schivata – lui che si vanta d’essere di sana e robusta costituzione – la naja, mette insieme domanda e offerta e il gioco è fatto. Sarà un crescendo impressionante: via Alciati, il primo minuscolo, ma significativo gruppo di case; poi i mille appartamenti di Brugherio; il modello new town a Segrate con Milano 2, dove prende forma nel 1974 il primo embrione di Canale 5, e a Basiglio con Milano 3. In pochi anni Berlusconi riesce a ottenere linee di credito riservate e superagevolate, concessioni edilizie, varianti urbanistiche, a diventare socio di già noti finanzieri, a trovare compratori nonostante la crisi, addirittura a far deviare gli aerei che, da Linate, attraversano il cielo sopra i suoi palazzi. Il ”miracolo milanese” di Sua Residenza è in realtà una sequenza di stupefacenti anomalie. E se il mito da lui alimentato favoleggia dell’uomo che si è fatto dal nulla, non si tiene conto, in questo nulla, dei miliardi di lire che gli sono inspiegabilmente piovuti tra le mani. In via Alciati si affaccia un terreno che il giovane Silvio giudica perfetto per costruire abitazioni per gli immigrati che arrivano dal sud e dal Veneto rurale. Giuseppe Fiori ne «Il venditore» (Garzanti) e Giovanni Ruggeri ne «Gli affari del Presidente» (Kaos) ricostruiscono i passaggi dell’investimento. L’area costa 190 milioni di lire, Silvio ne ha solo 10, ma non molla. Anzi. Cerca, e trova, dilazioni nei pagamenti, una fidejussione e un socio. Lo aiuta Carlo Rasini, che ha preso in mano la omonima banca (che alcuni atti giudiziari definiranno «crocevia degli interessi della malavita milanese in genere e in specie quella facente capo a Cosa Nostra») di cui il padre Luigi è direttore nel 1957. Il socio è un cliente dell’istituto di credito, il costruttore Pietro Canali, che accetta non solo di aprire il portafoglio ma anche, racconta Berlusconi («Io ho fatto fortuna così», Capital, aprile 1981), di sottoscrivere «una compartecipazione al 50 per cento». L’operazione va in porto, in due anni vengono costruiti gli appartamenti e i soci della Cantieri Riuniti Milanesi ci guadagnano pure qualcosa. qui che Berlusconi s’inventa «la vendita sulla pianta», non la casa mostrata ma raccontata: sempre ben vestito e sorridente, va in cantiere con il potenziale cliente, lo prende sottobraccio e gli spiega «...qui lei immagini la camera da letto, qui la cucina luminosa, qui il box per la sua 1100». Lo ubriaca di discorsi, strappa l’anticipo al compromesso, un’altra quota con l’avanzamento dei lavori, il saldo alla consegna. Nasce così il tormentone anche della sua carriera politica: «Io sono sempre stato convesso con il concavo e concavo con il convesso». Significa che il cliente ha sempre ragione, o almeno bisogna farglielo credere. Anche se poi chi vende fa come gli pare. Lo ripeterà trenta e passa anni dopo quando parla delle trattative con i potenziali partner e gli avversari politici. Alla fine fa sempre come vuole lui. Vende le case che ancora non esistono, fa patti che restano sulla carta. Come con la nascita del Pdl: una sintesi di più anime, la casa comune, aveva detto ai militanti di Fi e An. Macché: una caserma. Che ora ha pareti con lunghe crepe. Ma torniamo ai palazzi della Milano del boom economico. Nel 1963 si chiude il cantiere di via Alciati e prende forma un progetto innovatore: costruire dal nulla una città dove c’è tutto, dalla clinica dove si nasce al cimitero, la prima new town europea. Giudica perfetta quella fetta di pianura tra l’Adda e il Lambro, a sud del canale Villoresi, avvolta tra le nebbie e i fumi delle fabbriche nel comune di Brugherio. Ma un costruttore e un uomo d’affari deve essere, prima di tutto, un buon marito e padre di famiglia. Così gli hanno insegnato i salesiani. Così pretende la regola dell’Opus Dei. Nel 1964 il ventottenne Silvio incontra Carla Elvira Dall’Oglio, spezzina trasferita a Milano con la famiglia negli anni cinquanta. un colpo di fulmine. Si sposano neppure un anno dopo. Nel 1966 nasce Maria Elvira (Marina), tre anni dopo Pier Silvio. Vanno a vivere in via San Gemignano, ancora la periferia di Milano. 2/continua 16 settembre 2009 Berlusconi-Vespa: in onda il bluff-casette di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autore Tre miracoli nella piana di Onna, dopo cinque mesi di dolore e battaglie. Oltre la ferrovia e il passaggio a livello non più solo macerie e tende, rinasce un paese, con casette di legno e strade e una chiesa e l’asilo, che significa il futuro. Rinasce in un luogo che era stato cancellato dai progetti governativi e dalle cosiddette soluzioni urbanistiche post-terremoto. Il terzo miracolo è un disegno, poco più di un bozzetto, di Giulia Carnevale, 22 anni, studentessa di ingegneria uccisa dal crollo della Casa dello studente: per la tesi aveva immaginato un asilo con la forma di un libro. Adesso è qui, cinque mesi dopo, struttura dolcissima di legno e acciaio e vetro piena di giochi e di libri. Miracoli Tre miracoli, appunto. Si fa fatica a crederci, anche se li hai davanti, li tocchi, ci entri dentro, perché proprio qui, dove cammini, il pomeriggio del 6 aprile c’era un enorme prato, la quercia – che c’è ancora - e 41 lenzuoli bianchi allineati. Ecco, tre miracoli. Il fatto è che nessuno di questi porta la firma di Silvio Berlusconi nonostante l’elegante biglietto fatto trovare in ogni casetta con ”i più affettuosi auguri di salute e serenità nelle nuove case”. Dispiace dover mettere i puntini sulle ”i”. In questi casi quello che conta è il risultato finale. Ma è necessario quando tutto viene invece utilizzato con fini di propaganda. «Berlusconi e il governo consegnano le prime casette ai terremotati, come era stato promesso» è stato lo slogan mediatico che ha accompagnato questa giornata. Falso. O meglio, è vero che entro sabato la tendopoli di Onna sarà smontata e tutti andranno nelle 94 casette color pastello. Ma nessuna di queste casette le ho volute il governo. Anzi. Trento Lorenzo Dellai, presidente della provincia di Trento, a capo di una giunta di centro-sinistra, passeggia nel grande set che i tecnici di Porta a Porta hanno allestito per la puntata regina che ha sconvolto i palinsesti Rai, ha rinviato Ballarò e anche Matrix, pur di essere ”l’appuntamento” della serata. Non cerca i microfoni. Pochi microfoni cercano lui. ”La Provincia di Trento era qui presente a Onna sei ore dopo il sisma. Da allora qui hanno lavorato 2.500 persone, una media di 120 al giorno, prima per la messa in sicurezza del paese, poi per la realizzazione del villaggio”. Passeggiano accanto a lui architetti e progettisti, quelli che hanno dato la vita al disegno di Giulia. ”Abbiamo impiegato 43 giorni esatti per realizzare il villaggio, sono casette antisismiche, abbiamo cercato di renderle anche graziose, colori pastello, parquet in terra, finestre grandi, ognuna ha un pezzetto di giardino davanti e il posto macchina. Se ci avessero dato subito il via libera le avremmo potuto consegnare anche prima”. Miracoli Ecco svelato il primo miracolo: il villaggio di Onna, ”temporaneo” precisa Franco Papola, presidente della pro loco, è nato grazie ai fondi della provincia autonoma di Trento (13 milioni per un totale di 350 casette tra Onna, S. Demetrio, Villa S.Angelo, Coppito, e in più un asilo, tre scuole e tre chiese), della Croce Rossa e di altri donatori privati tra cui Bruno Vespa con gli spettatori di Porta a Porta. E’ stato realizzato su progetto della Regione Umbria e grazie ai volontari trentini, soprattutto vigili del fuoco con l’aiuto della Protezione civile tedesca e il coordinamento di quella italiana. Il palco Alle quattro del pomeriggio, per il taglio del nastro, Guido Bertolaso fa salire sul palco e li nomina uno per uno. C’è anche il Presidente del Consiglio, silenzioso in un angolo, dirà poche cose ma poi sarà lui a consegnare la prima casa. Papola loda ”il lavoro di squadra”. Giustino Parisse, giornalista de ”Il Centro” che ha perso i due figli Domenico e Maria Paola sotto le macerie, ringrazia Berlusconi ma ”la serenità potrà tornare solo quando rivedremo costruito il nostro vero paese. Nel frattempo, rispettate il nostro dolore”. Il dolore Nessun dolore può essere usato. Neppure la verità, specie se riguarda un luogo di dolore. E la verità è che questo villaggio oggi esiste perché gli onnesi a fine maggio puntarono i piedi. E dissero no. La Protezione Civile, infatti, non aveva previsto alcun insediamento in questa piana e i 300 sopravvissuti sarebbero stati sparpagliati in giro, in qualche new town tra Bazzano e Paganica. Era sera, Papola e altri cittadini si misero dentro una tenda, trovarono il terreno – 46 mila quadrati concessi dalla famiglia Pica Alfieri - e abbozzarono un progetto. Provincia di Trento e Croce Rossa hanno fatto il resto. Ma sono andati perduti almeno tre mesi. Inviti Dellai non è stato invitato nel salotto di Porta a Porta. ”Non voglio fare polemiche – sorride - va bene così, Roma poi è lontana”. Si spengono le luci del set che riprenderà in serata negli studi Rai. Restano le proteste, alcuni striscioni: ”Ma che porta a porta, non tenemo le case”; ”vittim