Federico Rampini, Angelo Aquaro, la Repubblica, 21/9/2009, 21 settembre 2009
DUE PEZZI SUL CRACK DI NEW YORK
la settimana in cui New York diventa a tutti gli effetti la capitale del mondo. Il vertice Onu raduna qui i potenti della terra. Vedremo i cieli solcati da elicotteri 24 ore su 24, colonne di limousine nere scortate dai servizi segreti, il tutto esaurito negli alberghi e ristoranti di lusso. L´hotel Pierre in questi giorni può permettersi di dire no ai petro-dollari del colonnello Gheddafi, pur di non scontentare la propria clientela esclusiva. Ma l´immagine che i Vip avranno di New York da domani, è del tutto fasulla. La città è stremata da due anni di crisi: quarantamila licenziamenti nelle banche, centomila in tutto il settore privato. Le vendite di case nei quartieri popolari sono giù perfino del 50%. Settantamila appartamenti aspettano l´ufficiale giudiziario per il pignoramento: i loro proprietari hanno smesso da mesi di rimborsare le rate dei mutui. questa la vera New York. la città angosciata che il 3 novembre si appresta a rieleggere per la terza volta il sindaco miliardario, Michael Bloomberg, sperando che dal suo fiuto per gli affari venga un miracolo.
Il tutto esaurito negli hotel a cinque stelle durante l´assemblea Onu è una breve parentesi, in un anno drammatico anche per il turismo, che dopo la finanza è la seconda fonte di reddito a Manhattan. Non basta l´euro a 1,47 dollari per raddrizzare la situazione. Meno 35% è la caduta di fatturato che ha sconvolto negli ultimi dodici mesi gli hotel della Grande Mela. Costringendo gli albergatori a sconti un tempo inauditi, per attirare i turisti. Il disastro ha travolto luoghi che appartengono alla leggenda di questa città. Chiude per bancarotta la Tavern on the Green, celebre ristorante immerso nel Central Park, che all´apice del successo arrivava a servire 650.000 clienti all´anno. In bancarotta il Café des Artistes vicino al Lincoln Center, famoso per gli affreschi murali del 1917, frequentato da grandi musicisti come Lorin Maazel. Fallita la Rainbow Room, magnifico bar-ristorante con una delle viste più belle in cima al Rockefeller Center. Frequentata negli anni d´oro da Frank Sinatra e Bob Dylan, rilevata dalla famiglia Cipriani, la Rainbow Room con la sua scomparsa dà un segnale sinistro: era nata nel 1934, cioè nel bel mezzo della Grande Depressione, c´è voluta la recessione del 2008 per darle il colpo di grazia.
In ogni angolo della città affiorano i segni dello stress economico e sociale. Le finanze municipali dipendono in modo prevalente dalle tasse sugli immobili. Oltre al crollo del mercato per le abitazioni, un´altra zona fatta a pezzi dalla crisi è l´edilizia commerciale: il 12% degli uffici sono desolatamente vuoti. A corto di entrate, l´amministrazione comunale deve ricorrere a soluzioni estreme. Una di queste è visibile ogni mercoledì mattina alle 9, al numero 570 della Kent Avenue. E´ l´asta settimanale in cui la città vende camion dei pompieri e ambulanze usate, per raccogliere un po´ di fondi. «Cash only», solo in contanti, avvisa il banditore d´asta. Per 300 dollari ci si porta a casa un furgone del pronto soccorso.
«Una nuova specie di club esclusivi sta fiorendo in città - rivela il New York Times - ma è il tipo di club di cui nessuno vorrebbe mai diventare membro. Si chiamano job-club. Il vero nome dovrebbe essere jobless-club, i circoli dei senza lavoro». Il più grosso ha un nome altisonante: New York City Job Seekers and Career Strategy. Ha 800 membri, per ritrovarsi una volta alla settimana devono occupare un grande bar, il 65 Café nel cuore di Midtown Manhattan. Presidente di turno è un pilota d´aereo 45enne, Hal Gassman: uno dei 1.400 licenziati nell´ultimo giro di "alleggerimenti" della United Airlines. Insieme a lui si ritrovano Valerie Lucas, 47 anni, che lavorava nella grande distribuzione. Pamela Pia, 53 anni, ex redattrice del Reader´s Digest (fallito). Norman Eagle, sessantenne venditore di software. Come si vede, la realtà della crisi va ben oltre i confini di Wall Street e del sistema bancario. Certo, l´epicentro è proprio lì vicino a Ground Zero. Il trauma fatale per questa città è stato l´effetto-domino che ha travolto a turno Bear Stearns, Lehman Brothers, Aig, Merrill Lynch, Wachovia, Washington Mutual. Questi colossi finanziari avevano il loro quartiere generale oppure importanti uffici operativi qui a Manhattan. Che siano falliti come Lehman, o smembrati e venduti a prezzi di saldo ad altre istituzioni, questi big hanno lasciato per strada 40.000 dipendenti. Il fatto che da marzo la Borsa abbia recuperato un po´ delle sue perdite, e che i banchieri tornino a intascare ricchi bonus, non deve ingannare: l´emorragia di occupati nel settore creditizio è stata immane, ci vorranno anni per riassorbire il trauma, e forse Wall Street non tornerà mai ai livelli di impiego pre-crisi. In questo senso la botta del 2007-2008 è stata perfino più dura dell´11 settembre, nel bilancio economico e occupazionale. E poi c´è tutto l´indotto. Per ogni bancario che ha perso il posto, "soffrono" il suo barista, il parrucchiere, la donna delle pulizie, il giornalaio, l´asilo-nido dei figli. E´ così che sono spariti gli altri 60.000 posti nell´economia di New York. Tanti anche per una metropoli di 8,2 milioni di abitanti. Che con la sua area metropolitana ha un Pil di 1.000 miliardi di dollari. Se fosse una città-Stato, indipendente come Singapore, questa sarebbe la 12esima economia mondiale. Perciò la grande crisi che attraversa New York è un problema nazionale. Non può permettersi di godere delle disavventure della storica rivale neppure Washington, la capitale della politica. E infatti l´Amministrazione Obama segue con i nervi a fior di pelle le convulsioni della politica locale. Il governo federale ha aiutato il municipio di New York a tamponare una falla di 11 miliardi di dollari ad aprile: un finanziamento-ponte, un soccorso d´emergenza per poter continuare a pagare gli stipendi agli insegnanti e ai poliziotti. Non basterà neppure ad arrivare a fine anno. Obama è esasperato dal governatore, il democratico David Paterson: palesemente inadeguato per far fronte a una sfida così ardua. Il presidente è arrivato al punto da scendere in campo personalmente per dissuadere Paterson dal ripresentarsi alle elezioni. Un gesto inusuale, tanto più che Paterson è uno dei due soli governatori neri di tutti gli Stati Usa. Alla fine per la loro salvezza i newyorchesi tornano a puntare sul sindaco, come hanno fatto altre volte nella loro storia. E così Michael Bloomberg, l´ottavo uomo più ricco d´America con un patrimonio personale di 16 miliardi, si appresta a vincere con ogni probabilità le elezioni del 3 novembre. E´ un paradosso: la città ultra-democratica continua a eleggere un sindaco indipendente-repubblicano. Lo fa turandosi il naso, dopo lo strappo istituzionale di Bloomberg che ha stravolto le regole per potersi candidare a un terzo mandato. Ma è proprio il suo talento negli affari - il gruppo Bloomberg fornisce al mondo intero servizi d´informazione finanziaria - a fare la differenza. Per i newyorchesi Bloomberg è la reincarnazione dell´uomo della provvidenza, una figura ricorrente nelle vicissitudini di questa città. Lo ricorda chi ha vissuto la sua ultima grande crisi, quella degli anni Settanta. «Allora - racconta Kathryn Wylde che dirige l´ong Partnership for New York - fuggirono da Manhattan la metà delle grandi corporation che figuravano nella classifica Fortune 500. Solo ad Harlem sparì il 40% della popolazione. C´erano 15.000 appartamenti abbandonati, in preda a incendi ricorrenti». Era l´epoca in cui comprare un seggio operativo alla Borsa (New York Stock Exchange) costava meno di una licenza di taxi. In quel caso l´uomo del destino fu un banchiere di Lazard Frères, Felix Rohatyn, che risanò le finanze municipali. Poi seguito da un altro risanamento spettacolare, l´operazione-sicurezza che fece scendere ai minimi storici la criminalità, grazie alla "tolleranza zero" di Rudolph Giuliani. Cioè il sindaco che passò la staffetta a Bloomberg proprio mentre New York subìva la sua tragedia più grave, l´attacco alle Torri gemelle. «Oggi - dice lo storico della città John Steel Gordon - tutti sono convinti che New York avrà bisogno di molti anni per riprendersi, ammesso che sia possibile risollevarsi da questa caduta. Solo il tempo dirà se New York può rinascere dopo questo disastro economico. Ma guardando alla sua storia io dico: non scommettete mai contro questa città». FEDERICO RAMPINI
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Il faò della vanità l’ha spento il vento della recessione, Sen & the city non abita più qui. "September issue" porta al cinema la saga miliardaria di Vogue e Anna Wintour, ma il film racconta la settimana della moda nell’anno felix 2007: tre mesi dopo, l’inizio della fine. Dov’è la New York da bere? Cha ha addormentato la città che non dorme mai? No, non è questa la metropoli che sogna Steven Schnipper quando lascia il suo paese dall’altra parte dell’Hudson, Summit, New Yersey, per le mille luci di New York. Schnipper arriva alla fin degli anni Settanta, magari sbarca come tanti nell’inferno di Port Authority, la centrale degli autobus sulla 42esima strada, dietro a Times Square, l’ingresso degli immigrati d’America descritto da Colson Whitehead: «Non ci soo paparazzi che scattano foto. Non ci sono barricate per trattenere l’assalto dei fan. Questa è la porta secondaria, dopotutto». L´importante è entrare. Eccola, la vita sognata. Qui c´è Barney, lì c´è Bergdorf, ecco Armani. Creme, profumi, hotel a cinque stelle. Steven ha in tasca un master preso a Yale in graphic design e in testa, racconta il fratello Scott al New York Times, soltanto la voglia di farcela. Finisce da Esté Lauder, al 767 di Fifth Avenue, il grattacielo che guarda Central Park, oggi lì sotto c´è il cubo di Apple. Lavoro, lavoro, lavoro. Apprezzatissimo, pagatissimo. Packaging, progetti, design. Ricchezza e libertà. Questa è la città che non ti chiede più di che sesso sei. Anzi. Questa è la città in cui è nato l´orgoglio gay. Questa è la città della battaglia di Stoneway, 1969, ricostruita nelle scene iniziali di "Milk", la mega-retata nel locale omosessuale al Village che fece partire la rivolta omosex. Schnipper vive nel lussuoso Upper East Side ma si trasferisce Downtown, a Chelsea, nel cuore del sofisticato quartiere gay. Sembra l´uomo più felice del mondo. Lo è. Poi nel 2003 la sua azienda rifà i conti e accompagna alla porta chi è dentro da più di vent´anni. Per Schnipper non è un problema: nel suo mondo ha un nome e infatti finisce subito alla Revlon. Ma dietro l´angolo c´è una crisi vera che incombe. Profumi e creme vendono sempre meno. La bestia nera sorprende Steven senza lavoro e una casa troppo cara da pagare. Mette fondo ai suoi risparmi. Cerca lavoro dove può. Nei negozi di design: niente. In banca: ma per carità. L´uscita di sicurezza è un´overdose di farmaci: ascesa e morte di un designer. A 55 anni.
Dicono le statistiche che i babyboomer sono quelli più a rischio depressione in America: la fascia d´età tra i 45 e i 64 anni è quella con la più alta percentuale di suicidi. Stress, lavoro, matrimoni finiti, nuova sessualità. Negli Usa i suicidi sono diventati l´ottava causa di morte. E la recessione, spiegano gli esperti, non fa che aumentare il rischio depressione. L´80 per cento degli americani accusa stress legati all´economia, in un anno le chiamate al numero verde antisuicidi sono salite da 39.465 a 50.158. Daniel Cohen, psichiatra a Manhattan, dice che "ansietà e depressione" ormai si avvertono anche nei bambini e che lui e i suoi colleghi hanno avvertito un trend curioso e preoccupante: l´aumento di pazienti che lamentano di "fare degli incubi".
Per uno come Steven che non ce l´ha fatta ci sono naturalmente tanti che resistono. Scott, il fratello, ha raccontato al figlio di 4 anni che lo zio se l´è portato via una malattia che si chiama depressione. Forse quell´altra avrebbe spaventato il piccolo Adam ancora di più: recessione.Angelo Aquaro