Michele Serra, la Repubblica 19/09/2009, 19 settembre 2009
CORSIVI
Dalle poche, asciutte parole che i media riescono a estorcere ai colleghi dei militari italiani morti a Kabul, si ricava l´impressione di solidi professionisti che mettono in conto il rischio di non tornare. Ne consegue una seconda impressione: che un cordoglio troppo enfatico li infastidisca, vuoi per antico costume virile, vuoi perché la nuova condizione professionale non è facilmente imparentabile con la vecchia retorica patria.
La guerra è cambiata. Non siamo più di fronte a coscritti strappati alle famiglie dall´obbligo di leva, siamo di fronte a giovani uomini che consapevolmente scelgono un lavoro di Stato di alta responsabilità e buona remunerazione. Chi li chiama «mercenari» li insulta con stupida ignoranza (lavorano per il loro Paese), e in rete circolano parecchie bestialità di ultras (ci sono frange politiche, povere loro, che hanno la testa curvaiola). Ma non c´è dubbio che da quando fare il soldato ha smesso di essere una condizione popolare condivisa, per diventare una scelta professionale, anche il dibattito in materia dovrebbe essere aggiornato. A partire dal fatto che i caduti sul lavoro vanno onorati sempre, e con speciale rispetto.