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 2009  settembre 19 Sabato calendario

QUATTORDICI IN NOVANTA METRI QUADRI LA CASA DI HINA RIDIVENTATA UN INCUBO


Il racconto dei vicini -


«Dov’è l’integrazione? Perché nessuno ha mai scritto che cosa abbiamo passato e tuttora stiamo passando?». Si sfoga, Monica Ghisla. «Deve per forza scapparci un altro morto?» La sua casa, un appartamento su via Dante, uno stradone ingolfato di camion e auto che salgono e scendono dalla Valtrompia, a 15 km da Brescia, è diventata una prigione. Troppi ricordi, troppe notti insonni, troppi pugni picchiati sul muro per fare cessare i litigi. Vive qui con il marito e la figlia. Solo una parete la divide dall’appartamento dei Saleem, i familiari di Hina, la 20enne pakistana sgozzata dal padre nell’agosto 2006 con la complicità degli uomini del clan e poi sepolta nell’orto. Monica c’era. Ha sentito i rumori dalla mansarda, dove il padre - mentre i generi la tenevano ferma - sferrò le 28 coltellate alla figlia. E ha visto scavare la buca – la tomba in cui la ragazza fu sotterrata con la testa rivolta alla Mecca – tra le piante di pomodoro.

La casa degli orrori, sequestrata il tempo delle indagini, da un paio d’anni si è ripopolata. Stessi inquilini. Come nulla fosse. «Sono tornati tutti qui», racconta Monica, «la madre coi sei figli (2 maschi e 4 femmine), i due nipoti avuti dalle sorelle maggiori di Hina (i mariti in carcere, a scontare 17 anni). E poi lo zio (Tariq, prosciolto dall’accusa di omicidio e condannato a 2 anni e 8 mesi per occultamento di cadavere, libero) venuto con i 3 figli dopo essere rimasto vedovo. E da dicembre li ha raggiunti un cugino». In 90 metri quadri 14 persone. Mancano solo il capofamiglia, Saleem, condannato a 30 anni, e i giovani cognati, pure in cella, in attesa della Cassazione, prevista il 12 novembre. «Io ho provato a entrare nel loro mondo, ma è impossibile», continua la vicina. «Il padre arrivò a Sarezzo ancora 20 anni fa con un gruppo di connazionali, li ho aiutati a trovare casa, ho brigato per i ricongiungimenti di moglie e figli».

Ora lei, che ha fatto da maestra alle figlie maggiori – a scuola, in quanto frequentata da insegnanti maschi, non ci andavano - si sente tradita. «Ho visto per giorni il tappeto con la chiazza di sangue steso ad asciugare. E la fossa lasciata aperta nell’orto. Mi è toccato scrivere al Comune perché la chiudessero». Il pensiero va alla ragazza che ha pagato con la vita il voler fare di testa sua: «A Hina hanno spezzato le ali. Anche la madre lo diceva, ”lei no buona, puttana”». Ora il timore è che la follia si scateni di nuovo: «Le sorelle maggiori, mentre i mariti sono in carcere, si sono rifatte una vita, sono state viste con nuovi fidanzati. Pakistani, d’accordo. Ma, quando gi altri usciranno, che succederà?».