Aldo Grasso, Corriere della Sera, 19/09/09, 19 settembre 2009
Il talk show mostra i suoi anni - Grazie anche alle polemiche scatenate dallo spostamento, ho seguito con molta attenzione «Ballarò» (Raitre, giovedì, ore 21
Il talk show mostra i suoi anni - Grazie anche alle polemiche scatenate dallo spostamento, ho seguito con molta attenzione «Ballarò» (Raitre, giovedì, ore 21.10). Confesso che mi sono un po’ annoiato. Mi pare che lo schema della contrapposizione (tre giocatori da una parte, tre dall’altra) abbia fatto il suo tempo: non c’è mai imprevedibilità, non ci sono sorprese e, di conseguenza, non c’è racconto. Tutt’al più qualche battuta. Più spesso, un livello molto deprimente della discussione (così impone la politica italiana). Comincio anche a credere che il genere sia in crisi. Il talk show, se manca di brillantezza, se non sa incuriosire lo spettatore, mostra gli anni. Quando Giovanni Floris ha comunicato i nomi dei partecipanti si sarebbe già potuto scrivere una scaletta della trasmissione, al massimo non calcolando i solerti assistenti del ministro Angiolino Lodo Alfano o l’intemerata di Concita De Gregorio sul potere dei soldi («Hanno vinto i soldi non i valori!»). Ma il terzo e decisivo fattore di noia è l’inevitabilità degli argomenti. Si parli dei militari morti in Afghanistan o del terremoto, si parli di vita o di morte, si parli della ripresa economica o di quelli che non arrivano alla quarta settimana, alla fine si parla sempre e solo di lui. Di Berlusconi. Che ormai non è più un imprenditore, un politico, un presidente del Consiglio. un’ossessione: magnifica per alcuni, detestabile per altri. Ma sempre ossessione, la nostra balena bianca (quello che più mi spaventa è che non siamo mai noi a scegliere le ossessioni, ma sono sempre le ossessioni a scegliere noi). A inizio trasmissione lo studio ha reso omaggio alle vittime della carneficina di Kabul con un lungo applauso (cui non si è unito il ministro Giulio Tremonti). Ma perché si applaude? Non sarebbe più giusto un minuto di raccoglimento? Non sarebbe più consona una partecipazione silenziosa al senso della tragedia?