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 2009  settembre 19 Sabato calendario

IL PADRE DI SANAA: CI PROVAVO DA GIORNI


«So di ri­schiare l’ergastolo». Non un segno di sconforto, né di pen­timento. Ora che è in cella d’isolamento, per aver sgozza­to la figlia diciottenne Sanaa e ferito il fidanzato Massimo De Biasio, El Katawi Dafani non sbatte più la testa contro il mu­ro, non dà più in escandescen­ze, come faceva a casa, impre­cando contro quella figlia trop­po indipendente, troppo italia­na.

Imperturbabile, ora. Imper­meabile a tutto. Come se si fos­se liberato di un peso. Di quel mostro che nelle ultime setti­mane, parole della moglie Fat­na, gli impediva «di mangiare e dormire», divorandogli la mente. «Dovevo farlo» dicono abbia biascicato in una delle poche occasioni in cui, dal mo­mento dell’arresto, ha aperto bocca. Era intollerabile, «una vergogna», ai suoi occhi di aiu­to cuoco nato in un sobborgo di Casablanca, scoprire che sua figlia aveva una relazione con un italiano di 13 anni più vecchio di lei e che, addirittu­ra, non avesse esitato a lascia­re il tetto familiare per andare a convivere con quell’uomo. E poi i sussurri e le mezze paro­le della comunità marocchi­na, dove non mancava chi gli rinfacciava di non riuscire a te­nere a freno quella figlia trop­po occidentalizzata.



Non sarà semplice, di fron­te ai giudici, accreditare la li­nea difensiva del raptus di fol­lia, dell’incapacità di intende­re e volere, ipotesi non esclu­sa ieri dall’avvocato Leone Bel­lio. Lo stesso Dafani, secondo quanto trapelato dagli ambien­ti investigativi, avrebbe infatti pronunciato una frase dal si­gnificato sibillino. «Era una settimana che ci provavo...» ha detto in risposta a un cara­biniere che gli chiedeva se si rendeva conto di ciò che ave­va fatto. Non è chiaro se si rife­riva al fatto di provare a ripor­tare a casa la ragazza o piutto­sto di ucciderla. Di certo, co­me dimostrano l’acquisto del coltello poco prima dell’omici­dio e la lunga serie di minacce telefoniche alla coppia, Da­fani aveva deciso da tempo di dare una le­zione alla ragazza.

Il gip di Pordeno­ne, Alberto Ros­si, ha impiegato ieri meno di due ore per convalidare il fermo del ma­rocchino, ina­sprendo il far­dello delle accu­se: oltre all’omici­dio premeditato, aggravato dal rap­porto di parentela, dovrà rispondere anche di sevizie, crudeltà e di aver agito per motivi abietti.



Il film della mattanza anda­ta in scena martedì pomerig­gio nel bosco di Grizzo di Montereale è impressionante. Qualche ora prima del delitto, Sanaa aveva ricevuto un sms dall’amica Donatella France­schetto: «Oggi non andare a la­vorare, resta a casa, tuo padre ha scoperto che vivi con un uomo, stai attenta». Ma Sanaa e il fidanzato hanno preferito non ascoltarla. Sono saliti in auto e si sono diretti al motel Spia, dove entrambi lavorava­no. All’improvviso hanno in­crociato la vettura dell’uomo. Ed è stata la fine. «Sembrava una belva mentre uccideva sua figlia – ha raccon­tato il fidanzato Massi­mo ”: non dimenti­cherò mai i suoi oc­chi ». Dopo aver tenta­to di tirar fuori Sanaa dall’auto, «afferrando­la per i capelli», Dafa­ni, ha proseguito il ra­gazzo, «ha preso un col­tello dall’abitacolo, ha in­seguito la figlia, l’ha gettata a terra e, dopo essersi inginoc­chiato, le ha tagliato la gola». Poi, ferito anche Massimo, «ha preso una bottiglia e l’ha rotta in testa a Sanaa, già ago­nizzante ». Quindi è tornato a casa, ha messo gli abiti in am­mollo e si è seduto davanti al­la tv. E alla vista dei carabinie­ri, arrivati a lui su indicazione dello stesso fidanzato, ha of­ferto i polsi, senza dire una pa­rola, lo sguardo perso.



Oggi a Pordenone sarà cele­brato un rito funebre prima che la salma di Sanaa venga portata a Ramat, dove sarà se­polta. Massimo però non ci sarà, nonostante l’imam Oua­tic lo abbia pubblicamente in­vitato a essere presente («Dobbiamo stare insieme, qui la religione non c’entra»). incontenibile la rabbia del ragazzo: «Non voglio parteci­pare a nessuna delle loro atti­vità. Sanaa mi raccontava che in famiglia la vita era impossi­bile: suo padre beveva e di­ventava violento. Per non par­lare degli zii e dei cugini che lo assillavano: perché tua fi­glia se n’è andata? Perché tu non fai niente? Non voglio avere più niente a che fare con loro...».