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 2009  settembre 19 Sabato calendario

”Millennium”: viene dalla Svezia il nuovo Dumas - Ho iniziato a leggere romanzi a 10 anni e ora ne ho 73

”Millennium”: viene dalla Svezia il nuovo Dumas - Ho iniziato a leggere romanzi a 10 anni e ora ne ho 73. In tutto questo tempo, devo averne letti centinaia, forse migliaia, un buon numero li ho riletti e altri ancora li ho studiati e insegnati. Senza vanto posso dire che tanta esperienza mi ha reso in grado di capire quando un romanzo è buono o cattivo o pessimo e, a volte, ha avvelenato il mio piacere di lettore facendomi scoprire, sin dalle prime pagine d’un libro, le sue incongruenze, gli errori di prospettiva dell’autore nell’invenzione e nella contestualizzazione del racconto: tutto quello che il semplice lettore (il «lettore-femmina», come lo definisce Cortazar con grande scandalo delle femministe) non percepisce e che è proprio ciò che gli consente di godere meglio e più del critico della narrazione. Perché questo preambolo? Perché tutte le mie difese critiche sono state smantellate dalla forza ciclonica d’una storia, i tre ponderosi tomi di Millennium - circa 2100 pagine - la trilogia di Stieg Larsson, che ho letto provando la stessa gioia e febbrile eccitazione con cui, da bambino, leggevo la serie di Dumas sui moschettieri o i romanzi di Dickens e Victor Hugo domandandomi, a ogni pagina, «e adesso, che cosa succederà?», e rallentando la lettura spinto dalla tristezza di sapere che la storia presto sarebbe finita sprofondandomi nella solitudine dell’orfano. Quale miglior prova che il romanzo è un genere «impuro» per eccellenza che non potrà mai raggiungere della poesia? Per questo è possibile che un romanzo sia imperfetto dal punto di vista della forma e, nello stesso tempo, sia eccezionale. Mi rendo conto che a milioni di lettori nel mondo sia successo, succeda o succederà quanto è accaduto a me e mi spiace solo che l’autore, questo sfortunato scrittore svedese, Stieg Larsson, sia morto prima di conoscere la fantastica impresa che ha compiuto. Ripeto senza nessuna vergogna: fantastica. Il romanzo non è scritto bene e la sua struttura mostra, spesso, cadute, ma non importa niente, perché la forza persuasiva dell’argomento è così potente e i personaggi così nitidi, imprevedibili e ammalianti che il lettore sorvola senza problemi sulle carenze tecniche ingolosito, felice, spaventato ed eccitato dai contrattempi, dagli intrighi, dagli atti di coraggio, dalle bassezze e dalle grandezze che, continuamente, raccontano una vita intensa, scoppiettante di sorprese in cui, nonostante la presenza sorprendente e ubiqua del male, il bene finirà sempre per trionfare. La trilogia s’inquadra perfettamente nella più antica tradizione letteraria dell’Occidente, quella del giustiziere, quella di Don Chisciotte e di tutti i campioni di civiltà che, vedendo il fallimento delle istituzioni nel porre un freno agli abusi della società, si assumono la responsabilità di raddrizzare i torti e castigare i cattivi. Questo sono, appunto, i due protagonisti, Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist: due giustizieri. La novità, e il grande successo di Larsson, consistono nell’aver invertito i termini consueti e aver fatto del personaggio femminile quello più attivo, audace e intelligente della storia e di Mikael, il giornalista donnaiolo, un magnifico secondo, un po’ passivo, ma simpatico, di buona indole e con un senso della dignità assoluto e quasi biologico. Che cosa sarebbe della povera Svezia senza Lisbeth Salander, questa hacker che si fa amare in modo viscerale? Il paese che noi eravamo abituati a considerare il più vicino all’ideale democratico di progresso, di giustizia e di uguaglianza nelle opportunità, diventa una succursale dell’inferno dove i giudici prevaricano, gli psichiatri torturano, i poliziotti e le spie delinquono, i politici mentono, gli imprenditori imbrogliano e sia le istituzioni, sia l’establishment sembrano preda d’una pandemia di corruzione dalle proporzioni fujimoriste. Meno male che c’è, lì, questa ragazza piccolina e scheletrica, con tatuaggi di draghi, capelli dritti come aculei di riccio, la cui arma letale non è né la spada né la pistola, ma un computer attraverso cui può trasformarsi in Dio - beh, in Dea - essere onniscente, ubiqua, violare ogni intimità per raggiungere la verità e affrontare, con la sdegnosa indifferenza della sua faccina ostinata - dietro cui nasconde al mondo l’infinita tenerezza, la rettitudine morale e la volontà di giustizia che sono in lei - gli assassini, i pervertiti, i trafficanti e le canaglie attorno. Il romanzo offre molti, importanti personaggi femminili perché in questo mondo in cui, ancora, si compiono tanti abusi nei confronti delle donne, ce ne sono ormai molte che, come Lisbeth, hanno conquistato l’uguaglianza e persino la superiorità investendo in questo impegno un coraggio smisurato e un istinto di cambiamento solitamente non così diffuso tra i maschi. Osservando queste eroine è difficile non avere sogni erotici al pensiero di Monica Figuerola, la poliziotta atletica e gigantesca per cui fare l’amore è uno sport, a volte più divertente dell’aerobica, ma non del jogging. E che dire della direttrice della rivista Millenium, Erika Berger, sempre elegante, furba, giusta e sensata in ogni comportamento, nei reportage che ordina, con i giornalisti che promuove, con i potenti che affronta e negli amplessi che divide, equamente, tra marito e amante? Il romanzo si dipana tra milionari, ruffiani, giudici, poliziotti, industriali, banchieri, avvocati, ma l’ambiente che viene raccontato meglio - anche perché l’autore lo conosce a fondo - è quello del giornalismo. La rivista Millenium è un mensile con tiratura limitata. La sua redazione è piccola e le persone che vi lavorano si contano sulle dita d’una mano. Ma il lettore entra volentieri in questi locali caldi e puliti, con persone che scrivono forti delle loro convinzioni e dei loro principi, che non hanno paura di scontrarsi con nemici potentissimi e, se è necessario, di mettere in gioco la propria vita, che preparano ogni numero profondendo talento professionale e amore, persuase di fornire al lettore non solo un’informazione degna di fede, ma anche, e soprattutto, la speranza che, per quanto molte cose vadano male, ce n’è qualcuna che va bene. Perché, appunto, esiste un giornale che non si lascia comprare o intimidire e si sforza, in tutto ciò che ricerca e pubblica, di far emergere la verità dalle ombre e dai veli che la nascondono. Se si prendono le distanze dalla storia narrata da questi tre romanzi e la si esamina freddamente, ci si domanda: come ho potuto credere in modo tanto acritico e supino a certi eventi così inverosimili, a certe coincidenze di stampo cinematografico, a certe prodezze fisiche davvero improbabili? Nel racconto la verosimiglianza è raggiunta grazie all’istinto di Stieg Larsson che si dimostra infallibile nel vestire ogni episodio di particolari concreti, indirizzi, luoghi, paesaggi che portano il lettore in una dimensione perfettamente riconoscibile e quotidiana. Così questa scenografia ammanta di realtà e di verismo il fatto importante, l’invenzione miracolosa. E ciò accade anche perché, sin dall’inizio, il romanzo rispetta certe regole del gioco: nel mondo di Millenium lo straordinario è la normalità, l’inconsueto il consueto, l’impossibile il possibile. Come tutte le grandi storie di giustizieri che popolano la letteratura, la trilogia segretamente ci rincuora facendoci pensare che, forse, non tutto è perduto in questo mondo imperfetto e bugiardo perché, magari, là, nella «moltitudine cittadina», esiste ancora qualche moderno Don Chisciotte che scruta il mondo con occhi inquisitori e, senza vacillare, si preoccupa delle vittime da vendicare, dei guasti da riparare e dei malvagi da colpire. Benvenuta nell’immortalità del romanzo, Lisbeth Salander!