Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 19 Sabato calendario

FENOMENOLOGIA DELL’APE. UN TRICICLO GLOBAL ED ECOLOGICO


Come è fatta la globalizzazione? Quali sono i suoi caratteri specifici? Disponiamo di una imponente bibliografia in proposito, spesso verbosa e ripetitiva. Per capire qualcosa a volte è più utile individuare una immagine-chiave. L’intelligenza dell’antropologo ha da essere analogica, visiva, financo poetica. Il libro di Franco La Cecla, illustrato dalle fotografie di Melo Minnella, L’Ape, antropologia su tre ruote (Eleuthera, 14 euro) è la poco edificante storia di un suicidio industriale (del nostro paese) e soprattutto un ritratto strepitoso del veicolo multiuso che meglio rappresenta la globalizzazione attuale.
Do you remember l’Ape (o Lupa), il glorioso mezzo di trasporto, quasi sfida alla legge di gravità - poggia su tre ruote! - derivata da scooter e costruita dalla Piaggio nel 1948, in una Italia uscita dalla guerra e ancora poverissima? Beh, il suo brevetto è stato acquistato da molte altre aziende e così oggi se ne producono milioni di esemplari, dagli altipiani etiopici a quelli guatemaltechi, dal Mali alla Cina (magari cambia nome e diventa il Tuk-Tuk o il Gua-Gua, e comunque si è persa la percezione dell’Ape come di un prodotto del genio italico). In Italia invece - da inguaribili provinciali - sembra che ci vergogniamo della sua origina proletaria e dunque viene trasformata in calessino per turisti a Capri e Amalfi o anche come possibile alternativa alla Smart (e non parliamo dell’Ape Poker, quadriciclo prodotto negli anni 90, snaturamento del modello originale)! E invece l’Ape, traballante e un po’ ridicola, resiste ad ogni design, ad ogni gusto sofisticato, ad arie condizionate e autoradio, e conferma ostinatamente la sua appartenenza all’universo rude dei camion e camioncini.
Perché l’Ape costituisce il simbolo della globalizzazione? Perché quest’ultima non è tanto ipertecnologica e scintillante quanto rattoppata, ibrida, "creola", fatta di vecchio e di nuovo, di cose riparate, riusate, riciclate (pensate al futuro immaginato da film di fantascienza come Mad Max e Waterworld). Nell’abitacolo del motofurgone, che diventa una tenda beduina, una casa-rifugio, troverete a diverse latitudini santini, rosari di preghiera, immagini di Krishna, sura del Corano, stickers di Bollywood…. il mezzo ideale per i poveri del mondo, che non necessariamente sognano di diventare come i ricchi (e di avere le loro auto) ma che solo vogliono fare i loro traffici quotidiani più liberamente e comodamente possibile, e dunque si rivolgono al risciò motorizzato. Chi lo guida resta quasi in piedi, maneggia un manubrio da bici, mentre parla al cellulare e il caos della città scorre a pochi centimetri di distanza, come dimostrano le immagini coloratissime e quasi "materiche" del libro, tra Sicilia (gli autori del sono entrambi siciliani) e Terzo Mondo). vero, il mezzo è poco veloce (la cilindrata varia da 50 a 175cc) però assai maneggevole, manipolabile per gli usi più diversi, da taxi low cost a furgone per le merci (avete presente i transformer, i robot-veicoli in grado di trasformare il loro aspetto?). Questo veicolo si piega alla personalizzazione di ogni driver, permette cioè all’utente di diventare artigiano del suo strumento, in ciò stravolgendo le nostre idee su brand e marketing. Insomma è, come dice La Cecla, il «Google del trasporto».
Inoltre, come ci ricordano queste pagine, l’Ape (involontariamente) ha avuto un prezioso ruolo «ecologico»: per un lungo periodo infatti riforniva da noi fruttivendoli, vinai, pescivendoli, carrozzieri, etc., salvando così i centri storici, oggi invasi dai Suv e da grossi furgoni. Tanto che qui viene addirittura proposta come utopia della mobilità in un futuro metropolitano e affollato ma dal volto umano, se solo ci si ingegna a dotarla di motori meno inquinanti.
La Cecla ci offre poi una indicazione metodologica fondamentale: l’antropologo del quotidiano, del contingente («ciò che nel presente la gente fa e sente») non ha tanto bisogno di statistiche e interviste quanto dell’esperienza (che è sempre personale e imprevedibile). La soggettività, sempre umorale e fallibile, resta il suo principale mezzo di esplorazione della realtà. Deve riuscire a guardare le cose più familiari con un sentimento di stupore, senza pregiudizi ideologici, attento a come esse sono e non a come dovrebbero essere, alternando distacco e coinvolgimento. Suggerirei di immaginarlo alla guida di un’Ape. Ed è proprio questo sguardo, ad altezza della strada, a permetterci oggi di conoscere qualcosa della società.