RAPHALLE BACQU, la Stampa 18/09/2009, 18 settembre 2009
L’OSSESSIONE DI CHIRAC: CAPIRE IL SUO KILLER
Parata militare del 14 luglio 2002: il presidente Jacques Chirac e il capo di stato maggiore Jean-Pierre Kelche scendono lungo gli Champs-Elysées a bordo di un veicolo militare. Pochi minuti dopo, lo sparo, che andrà a vuoto 2. I poliziotti trascinano via Maxime Brunerie, che la folla assiepata lungo il viale ha subito provveduto a neutralizzare: nel caricatore della sua carabina 22 LR c’erano ancora cinque colpi 3. Maxime Brunerie ventenne a una serata di militanti di estrema destraEra il 14 luglio 2002. Rieletto all’Eliseo, Jacques Chirac sfilava sulla sua auto lungo gli Champs-lysées per l’anniversario della presa della Bastiglia quando un giovanotto mescolato al pubblico punta il fucile contro di lui. Il colpo devia, non ci sono feriti, lo sparatore è subito arrestato. Si chiama Maxime Brunerie, ha 25 anni, frequenta l’ambiente dell’estrema destra. Lo scorso 3 agosto è uscito dal carcere: condannato a dieci anni, ha beneficiato dei classici sconti di pena per buona condotta.
In questa vicenda c’è però un aspetto sconosciuto: l’interesse di Chirac per quel giovanotto, l’attenzione verso la sua famiglia, la sollecitudine con cui ha seguito i suoi anni di carcere e le terapie. Il Presidente voleva capire le ragioni dell’uomo che voleva ucciderlo. E non ha battuto ciglio quando il ministro della Giustizia l’ha informato della sua liberazione. Maxime Brunerie ha lasciato nella massima discrezione la prigione in Normandia dove aveva chiesto di essere rinchiuso per raggiungere la casa dei genitori nell’Essonne. Qualche giorno prima il ministero della Giustizia aveva fatto sapere ai collaboratori dell’ex presidente della Repubblica che il giovane, oggi trentaduenne, aveva scontato sette anni di prigione e non aveva goduto di alcun atto di clemenza. Il suo comportamento in carcere era stato esemplare e a detta degli psicoterapeuti il rischio di recidiva era molto basso. Precauzione inutile: Jacques Chirac non ignorava nulla della redenzione di colui che il 14 luglio 2002 aveva sparato nella sua direzione prima di tentare il suicidio.
Da sette anni Maxime Brunerie è il suo assillo segreto. E il suo enigma. Il giorno dell’attentato il presidente era parso minimizzare l’accaduto, limitandosi a dire: «Credevo fosse un petardo». In seguito però si è interrogato a lungo sulle motivazioni di quel ragazzone alto e magro, che a 25 anni voleva morire «entrando nella Storia». Per giorni Chirac aveva guardato attentamente le fotografie che, sui giornali, mostravano il ragazzo in mezzo ai militanti di estrema destra, il braccio teso nel saluto hitleriano. Due mesi prima era stato rieletto presidente nelle circostanze più sorprendenti, un duello con Jean-Marie Le Pen. Era possibile odiare fino a quel punto?
Tra il vecchio animale politico e il ragazzo sbandato, si snoda una storia stupefacente. Già il 16 luglio 2002 Maxime Brunerie scrive al presidente della Repubblica per scusarsi del gesto «insensato e intollerabile» e dire tutta la sua disperazione. Chirac non risponde e il suo silenzio addolora i genitori. Ma l’Eliseo è ancora sotto lo choc per l’attentato e le gravi falle nella sicurezza presidenziale che ha rivelato. Soprattutto Bernadette Chirac è terrorizzata: da anni vede il marito lanciarsi letteralmente in mezzo alla folla e vive nel terrore di un attentato.
Ma c’è un uomo che intercede presso l’Eliseo: Stéphane Beaudet, il giovanissimo sindaco Ump - il partito del presidente - di Courcouronnes, la cittadina dell’Essonne dove vivono i Brunerie. Li conosce bene: lui ha consigliato l’avvocato, lui ha raccontato al presidente la disperazione di quella coppia e la vita desolata del loro figlio, con il quale non vanno d’accordo, completando il quadro già abbozzato nella perizia psichiatrica. Il padre, un tecnico con la passione del gioco delle bocce, non si è mai molto occupato del suo primogenito, di cui praticamente ignora le inclinazioni politiche. Ma non riesce a credere che da solo abbia potuto procurarsi il fucile e arrivare fino agli Champs-lysées, per di più in prima fila, senza essere arrestato. E’ convinto che ci sia stato un complotto, di cui suo figlio sarebbe stato strumento e vittima.
Nel dicembre 2004 comincia il processo. Il tentato «magnicidio» - come vengono chiamati i crimini contro i personaggi importanti - o da parte di un ragazzo travolto dal fascismo lascia rapidamente il posto all’esposizione del deserto affettivo in cui è vissuto, ai suoi complessi, al cancro ai linfonodi che l’ha colpito a 21 anni. Chirac è colpito: più che l’alfiere di un complotto di estrema destra, gli sembra un ragazzo molto infelice. Confida agli intimi: «Non personalizziamo il gesto. Non ero io il suo bersaglio, ma ciò che rappresento. Quando si è respinti dalla società, si cerca di colpire il suo simbolo più alto».
Annie Brunerie vorrebbe incontrare Chirac, chiedere il suo perdono. Beaudet intercede ancora una volta. Alla fine arriva il sì, a condizione che la donna non chieda la grazia per il figlio. L’incontro avviene nel maggio 2005.
Maxime Brunerie intanto è diventato un altro. In carcere si è diplomato, si è riconciliato con la famiglia, è diventato più sicuro di sé, più maturo. Il suo avvocato, che inizialmente aveva considerato un fallimento della sua difesa la condanna a dieci anni - sperava nella metà - comincia a pensare che tutto quel tempo non solo ha fatto capire a Brunerie la gravità del suo atto, ma lo ha reso capace di assumersi le sue responsabilità. Oggi, quando gli chiedono se ha patito gli anni in carcere, risponde che non gli sono sembrati troppo lunghi. Intanto Chirac prosegue la stesure delle sue memorie. Al momento non ha ancora affrontato il 14 luglio 2002.
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