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 2009  settembre 18 Venerdì calendario

LA MAMMA DI SANAA: «LEI SBAGLIAVA»


Vorrebbe seppellire Sanaa in Marocco. Suo marito è già seppellito dentro un carcere. Divisa tra disperazione e dolore, Fatna Dafani ondeggia accasciata su una sedia davanti all’obitorio dell’ospedale di Pordenone. Ha appena riconosciuto sua figlia. Non piange perchè non ha più lacrime. Ogni tanto tormenta il velo e sussulta in quella tunica di uno stridente colore rosa. Davanti alle telecamere di «Studio Aperto» prima condanna e poi assolve quel marito padre padrone che ha ucciso la loro figlia, per ignoranza e fanatismo: «Perdono mio marito. Ha commesso un gesto orrendo ma è mio marito. Il padre di altre due mie figlie. Forse ha sbagliato anche Sanaa».
L’ospedale è lo stesso. Solo un piano più sopra. Reparto di Chirurgia 1. In un letto bianco come il suo pallore, Massimo De Biasio stringe le bende che gli fasciano l’addome ferito dalle coltellate del padre di Sanaa e stringe i denti per trattenere parole rabbiose. «La differenza di età tra me e Sanaa non c’entra. C’entra la religione. La loro mentalità. Lui non mi conosceva. Mi ha conosciuto solo l’ultimo giorno. Non aveva neanche idea di chi fossi o cosa». Il perdono e il risentimento. L’odio e l’incomprensione. La gelosia di un padre e l’ignoranza di tradizioni antiche. El Katawi Dafani aveva imparato a fare le pizze negli undici anni passati a Pordenone. Aveva imparato a guidare la Fiesta rossa, a bere la grappa, troppa grappa anche se si sforzava di osservare il Ramadan. Ma non aveva imparato a rispettare sua figlia che a 18 anni si metteva il rossetto, indossava la minigonna, navigava su Facebook e sognava una vita all’Occidentale.
Fatna Dafani in una lingua che non è nemmeno la sua, trova a fatica le parole per spiegare quello che è successo. I vicini della villetta di Azzano Decimo sapevano delle liti in casa. Al ristorante di Pordenone dove lavorava come aiuto cuoco conoscevano i suoi tormenti, anche se lui preferiva non parlarne troppo. Quello che succedeva davvero dietro la porta dove adesso ci sono i sigilli dei carabinieri, lo sa questa signora che per una volta non abbassa gli occhi davanti alle telecamere. «Mio marito non voleva che Sanaa uscisse la sera con i ragazzi brutti o con gli amici. Mio marito era contrario alla convivenza con quel ragazzo italiano tanto più grande di lei».
Il racconto sofferto è quello di una famiglia che si sgretola. Dove la perdita di valori ancestrali possono armare la mano di un coltello. Fatna vorrebbe spiegarlo bene, ma ci sono cose che non si possono dire neanche con tutte le parole del mondo: «Mio marito non dormiva più fino alle quattro del mattino. Non mangiava. Fumava sempre. Sempre sbatteva i pugni contro il muro. Era sempre arrabbiato e voleva vedere sua figlia a casa con noi».
E invece Sanaa se ne era andata. Se ne era andata da tempo. Forse già due anni fa quando aveva deciso di lasciare la scuola per iniziare a lavorare. Un modo per inseguire la propria autonomia. Un modo per scappare da Azzano Decimo, dalla villetta con la parabolica puntata sulla televisione marocchina. L’anno scorso aveva trovato lavoro come cameriera a Montreale Valcellina, al ristorante «Monte spia» di Massimo De Biasio. Un ragazzo come tanti che le aveva dato un lavoro e poi un futuro. Un futuro che Massimo De Biasio cerca di far sopravvivere anche con un cuscino a forma di cuore di rose rosse, lasciato su un albero all’inizio del boschetto dove Sanaa è stata uccisa e dove lui ha fatto scrivere «Per sempre Massimo».